IL CANE NELLA MITOLOGIA CLASSICA

IL CANE NELLA MITOLOGIA CLASSICA

IL CANE NELLA MITOLOGIA CLASSICA


La mitologia narra che esiste un mondo parallelo a quello reale, popolato di creature divine e fantastiche. Talvolta esse si palesano, affiorando agli occhi dei poeti. La realtà, vista attraverso i poeti e i mitografi, rivela storie divine, metamorfosi di eroi, eventi leggendari. La distinzione tra narrazione del mito e verità è presente in molti pensatori antichi che, solitamente, assegnano al mito un ruolo secondario. Socrate distingue nettamente tra narrazione del mito e verità, Aristotele ritiene il mito una sorta di approssimazione, imprecisa e imperfetta della verità.

Nel rapporto con la verità il mito, secondo la maggior parte dei filosofi, esce sconfitto. Mito è l’opposto di logos, e viene interpretato spesso come una sorta di necessario stadio infantile dello sviluppo dell’attività dell’intelletto. Non è forse nel mito che spesso il nostro inconscio si rifugia? Filosofia, psicanalisi, sociologia e antropologia si sono occupate del significato del mito in questa prospettiva. Se tutta la filosofia moderna è stata attraversata da un desiderio di ritorno alla Grecia (basta pensare a Hölderlin e Nietsche), è certamente al filologo tedesco Wilhelm Heinrich Roescher che va il merito di aver preparato il terreno allo studio scientifico del mito e del simbolo. Nel 1897 esaminò il ruolo del cane e del lupo nell’escatologia (dottrina che si occupa del destino dell’uomo dopo la morte) dei Greci, tentando di scoprire dei nessi tra le idee religiose su questi animali nell’antichità classica e il problema del lupo mannaro e della cinantropia e licantropia. L’esplorazione della mente razionale sia con l’indagine medico-scientifica, che con la ricerca mitologica sulle credenze del passato, culmina in quella che è oggi la psicologia dell’inconscio. Il concetto di archetipo in Jung si basa sulle prove accumulate da queste varie discipline (per archetipo si intende il modello originario). E così la ricerca della Grecia e dei suoi miti si è collegata con la riscoperta di un modello policentrico dove i nuclei sono i vari dèi, in contrasto con il modello monocentrico di cultura che ci ha trasmesso la tradizione giudeo-cristiana. Secondo Jung, gli dèi, scacciati dalle nostre religioni, tornano nelle nostre malattie, nei nostri sintomi, perché erano stati rimossi e, come sostiene Freud, il rimosso torna sempre. ”Tremate, tremate…le streghe son tornate…” citava un ritornello dell’infanzia! E una poesia di Ezra Pound, sugli dèi greci (“Ritorno”) cita: “Guarda, ritornano uno per uno con paura, solo a metà svegli…” ”E dove ritornano?” domanda il più grande pensatore contemporaneo, James Hillmann, “non nei musei, certamente…ma nel nostro rimosso, nel dimenticato. E noi andiamo ad incontrarli nella psicologia”. E’ anche analizzando la figura del cane nel mito classico che abbiamo la chiave percomprenderenoi stessi nel rapporto con questo straordinario e antichissimo compagno di vita e…di attività sportive! Il cane compare nella mitologia classica con significati ambivalenti. Plinio lo definisce fedelissimo, vigile e nobile. Omero non lo apprezza, tant’è che nell’Iliade Agamennone apostrofa Achille con l’insulto “Ubriacone, occhi di cane”. Il termine cinico che indicava impudenza e sfacciataggine (e che propriamente significa simile ad un cane) fu usato anche per indicare l’omonima scuola filosofica che divulgava uno stile di vita semplice, ispirato all’animalità, ma anche alla sfacciataggine. Vari sono i ruoli che il cane assume nei racconti del mito. Per esempio, a chi non viene in mente la sua funzione quale accompagnatore delle anime dei defunti nel mondo dei morti? Fedele compagno dell’uomo in vita, lo guida anche dopo la morte. In questo ruolo è affiancato da Ermes (figlio di Zeus e Maia) ed Ecate (figlia d’Asteria e Perseo), della quale si diceva che vagabondasse con le anime dei morti e che il suo avvicinarsi fosse preannunciato dal latrare dei cani. Il famoso Cerbero (che Omero si limita a chiamare “cane e custode di Ade”) è il guardiano dell’aldilà. Cerbero diventerà prima nel mito greco, e poi in quello romano, una creatura mostruosa, con il corpo di cane, la coda di serpente e un numero variabile di teste al cui collo si avvinghiano serpenti. Inflessibile con i defunti, Cerbero scodinzolava per accoglierli al loro arrivo nell’aldilà, ma non permetteva ad alcuno di tornare indietro. Pare che, se esposto alla luce, abbaiasse furiosamente e dalla sua saliva spuntasse la pianta velenosa dell’Aconito, una ranuncolacea già conosciuta in Grecia per le sue proprietà medicinali. Catturarlo è una delle dodici fatiche imposte ad Eracle e tutti gli eroi che scendono nell’Ade (Ulisse, Orfeo, Enea) devono eluderne la terribile vigilanza. Enea vi riesce somministrandogli una focaccia soporifera. La figura di Cerbero è ripresa nel medioevo da Dante, che lo pone a guardia dei golosi: qui sarà Virgilio a placare le sue tre bocche fameliche, con una manciata di terra. Al legame del cane con il mondo funerario e insieme al tema della fedeltà dell’animale, è ispirato il mito di Mera. Questo era il cane d’Icario, il cittadino ateniese che ospitò Dioniso che, per riconoscenza, gli insegnò l’arte di coltivare la vite. Icario fu tuttavia ucciso da alcuni contadini convinti che li volesse avvelenare con il vino che non conoscevano e che li aveva ubriacati. Il fedele cane, con i suoi latrati, indicò ad Erigone, figlia di Icario, l’ubicazione della tomba del padre e quando Erigone si uccise, Mera restò sulla sua tomba, senza staccarsene più sino alla morte. Dioniso, colpito e commosso dalla fedeltà dell’animale, lo trasformò nella costellazione del Cane o Procione. Secondo altre versioni del mito, Mera era invece il cane d’Orione (il bellissimo e mitico gigante cacciatore greco) e lo accompagnava nelle sue battute di caccia. Infatti il cane era anche considerato un abile cacciatore e fedele compagno dell’uomo nell’attività venatoria. Molti sono i miti relativi al rapporto tra i cani e i loro padroni cacciatori. Artemide, dea della caccia, aveva sacri i cani. Il mito narra che Atteone, per aver spiato Artemide al bagno, venne tramutato in cervo e sbranato dalla sua muta di cinquanta cani. Sorte analoga toccò a Leucone, la bellissima sposa di Cianippo. L’eroe si dedicava alla caccia con tanto entusiasmo da trascurare la moglie, la quale un giorno lo seguì, sospettando che dietro quel passatempo si celasse un tradimento. Nascosta in un cespuglio, Leucone venne però aggredita dai cani del marito che la dilaniarono. Disperato Cianippo le eresse un rogo sul quale gettò i cani dopo averli uccisi uno ad uno e infine si uccise. Un portentoso cane da caccia era quello che Cefalo ricevette in regalo da Procri, la quale l’aveva avuto da Minosse. Di nome Lelapo, era abilissimo nell’afferrare tutti gli animali che inseguiva e per volere di Zeus nessuna preda poteva sfuggirgli. Così lo cita Ovidio nelle Metamorfosi: “non spicca più veloce il volo una lancia, un proiettile scagliato dal vortice di una fionda, una freccia sottile che scocca dall’arco di Gortina”. Al cane si riconoscono anche proprietà guaritrici. In Grecia era sacro ad Asclepio, il dio della medicina (Esculapio nel mondo romano), nel cui templio a Roma si allevava un cane. Ma il racconto mitico in assoluto più famoso che abbia per protagonista un cane e ne celebri la fedeltà è quello dell’incontro tra Ulisse, tornato ad Itaca dopo la guerra di Troia, e il suo vecchissimo cane Argo, l’unico a riconoscere l’eroe dopo vent’anni! ”Un cane, là sdraiato, rizzò muso e orecchie, Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno lo nutrì di sua mano, prima che per Ilio sacra partisse; e in passato lo conducevano i giovani a caccia di capre selvatiche, di cervi e lepri; ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone, sul molto letame di muli e buoi (…) là giaceva il cane Argo, pieno di zecche. Avvertendo la vicinanza di Ulisse, mosse la coda, abbassò entrambe le orecchie, ma non riuscì a correre incontro al padrone. Questi, voltandosi, si terse una lacrima, facilmente sfuggendo a Eumeo: e subito con parole chiedeva: Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame! Bello di corpo, ma non posso capire se fu anche rapido a correre con questa bellezza, oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi, che per lo splendore i loro padroni li allevano. E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi: Purtroppo è il cane di un uomo morto lontano. Se per bellezza e vigore fosse rimasto come partendo per Troia Odisseo l’aveva lasciato, t’incanteresti a vederne la bellezza e la forza. Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia, qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta. Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano (…)” (Odissea 17.291-327). Per bocca di Omero, invito a notare, per la prima volta nella letteratura, viene domandato se un bel cane possa essere anche un cane funzionale! Pensate che oggi l’uomo, dopo aver costruito molteplici razze, si pone lo stesso quesito che era già nell’Odissea! Gli episodi del mito che hanno per protagonista o per comprimario un cane sono ancora numerosi. A Sparta, durante il regno di Ippocoonte e dei suoi venti figli (gli Ippocoontidi), accadde che Eono, il giovane nipote di Eracle, venisse aggredito da un molosso che usciva dal palazzo reale. Per difendersi il giovane lo colpì con una pietra, ma gli Ippocoontidi a loro volta uccisero Eono. Il cane Ortro, animale mostruoso che custodiva le mandrie di Gerione, fu ucciso da Eracle per poterle catturare. Un altro cane feroce e inavvicinabile custodiva le mandrie di Filacoo, in Tessaglia. Non mancano casi di metamorfosi di persone in cani: famoso è il caso di Ecuba, la regina di Troia e moglie di Priamo, che ebbe un destino semidivino, essendo destinata a non morire come una donna mortale, ma a trasformarsi in una cagna. Dopo la caduta di Troia, ella fu bottino di guerra dei Greci, che la portarono con loro come schiava. Sulle coste della Tracia vendicò l’assassinio del figlio Polidoro. Trasformata in cagna, si gettò in mare (Euripide, Ecuba,1259) nei pressi di un luogo che venne chiamato Cinossema, ovvero tomba del cane. Se nel mondo egizio il cane era sacro ad Iside e alcune divinità, come per esempio Anubi, avevano testa di cane su corpo umano, nel mondo classico il cane era consacrato oltre che ad Asclepio (dio della medicina), anche ad Artemide, Marte, Ermes, Eclate, Plutone, Serapide. Ad un cane era legata la fondazione del culto di Eracle nel tempio di Cinosarge. Sacrifici di cani si compivano in onore di Ecate ai crocevia delle strade e in occasione delle feste romane dei Lupercali. Cani erano sacrificati anche in onore di Lino, che secondo la leggenda era stato ucciso, appena nato, da alcuni cani che lo avevano sbranato. I cani erano sacri al dio Adrano, divinità della Sicilia antica, venerato in un celebre santuario in prossimità dell’Etna dove questi animali erano allevati in gran numero. Bibliografia: H. Hunger “Lexikon der griechischen und röminschen Mythologie“ Vienna, 1998 Anna Ferreri “Dizionario di mitologia greca e latina”UTET, 2002 Torino J. C. Cooper “Dizionario degli animali mitologici e simbolici”, 1997 Vicenza J. Hillmann “Trame perdute” Raffaello Cortina Editore J. Hillmann “Il sogno e il mondo infero” il Saggiatore Liliana Berruto