I TRATTATI DOTTRINALI

I TRATTATI DOTTRINALI

I TRATTATI DOTTRINALI


Durante i primi anni dell’esilio Dante scrisse due trattati dottrinali rimasti incompiuti. Il Convivio (1304-1307 ca.) è un’opera in volgare di divulgazione dottrinaria destinata al ceto politico e sociale emergente nei comuni del tempo, scritta per la formazione di una classe dirigente che fosse adeguata ai compiti di giustizia e di alta moralità. Doveva essere composta di 15 trattati (uno introduttivo e gli altri quattordici a commento ad altrettante canzoni) ma furono portati a termine solo i primi quattro trattati, che avviarono la prosa filosofica in volgare. La scelta del volgare per un trattato era cosa nuova e funzionale alle finalità e ai destinatari dell’opera.

Contemporaneo al Convivio è il De vulgari eloquentia (1303-1305 ca.), trattato in latino (destinato ai dotti, ai “chierici”) sull’uso del volgare come “lingua letteraria” (eloquentia). Il progetto originario comprendeva almeno quattro libri con l’analisi dei vari livelli stilistici secondo la retorica medievale; ma l’opera si interrompe al XIV capitolo del secondo libro. Il De vulgari eloquentia, oltre a un discorso tipicamente medievale sull’origine delle lingue e sulla loro tipologia storico-geografica, affronta la questione di una lingua letteraria unitaria (in seguito continuamente riproposta) e offre preziose e specifiche indicazioni sulla realtà linguistica del primo Trecento.

Incerte sono le date della composizione di un terzo trattato, di tipo politico, questa volta compiuto e in latino, la Monarchia: per alcuni risale al 1308, ma per i più al 1311-1313, al tempo della discesa in Italia di Enrico VII; per altri ancora fu scritto dopo il 1318, al tempo della stesura del Paradiso. L’opera si oppone al potere temporale della Chiesa e delinea un modello della realtà politica contemporanea basato sull’armonica collaborazione delle autorità universali, la Chiesa e l’Impero, per assicurare la giustizia e una vita ordinata, prefigurazione di quella celeste: emerge una passione utopica tipicamente medievale, mentre la realtà politica andava verso il nuovo orizzonte degli stati nazionali (e, in ambito italiano, regionali). Il trattato si snoda con una tecnica argomentativa propria delle dispute filosofiche delle scuole medievali e il procedimento logico che vi si dispiega è quello del sillogismo aristotelico, reso non accademico dalla passione politica e religiosa che anima tutto il trattato.

A queste tre opere vanno aggiunti altri testi, nati spesso da occasioni specifiche. Sono le tredici Epistole (le sole pervenuteci tra le tante prodotte), in latino, scritte anche per conto di chi lo ospitava. Di particolare rilievo è l’epistola XIII, scritta tra il 1316 e il 1320 per accompagnare l’invio e la dedica del Paradiso a Cangrande della Scala. Essa contiene le uniche indicazioni offerte da Dante per interpretare la sua opera maggiore e ripropone la teoria (già contenuta nel Convivio) dei diversi livelli su cui si può e si deve intendere la Commedia (come del resto ogni altro testo letterario). Altre opere sono le Egloghe, due componimenti in esametri latini di tipo virgiliano che riconfermano la dignità della poesia in volgare; e la Quaestio de aqua et terra (Discussione sull’acqua e sulla terra), una conferenza scientifico-filosofica (tenuta a Verona nella chiesa di Sant’Elena il 20 gennaio 1320) centrata su un tema che suscitava grande interesse tra i dotti del tempo, cioè come le terre siano emerse dall’acqua: la tesi sostenuta da Dante è che le sfere della terra e dell’acqua non siano concentriche.

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