I sofisti

I sofisti

I sofisti


La sofistica, a causa della tradizione tramandata dalla scuola di Socrate e di Platone, è sempre stata considerata come la “pecora nera” della filosofia, una riduzione del discorso filosofico ad un discorso eristico. Solo recentemente è stata riscoperta come scuola filosofica che, mentre il logos era stato fino a quel momento logos physikos, spostò l’attenzione sull’uomo. “L’uomo è misura di tutte le cose” come diceva Protagora. La sofistica ha anche gettato le basi per la ricerca della verità nell’uomo propria di Socrate. E inoltre, sono i primi ad aver sollevato la questione del contrasto tra uomo e natura. E inoltre bisogna considerare i sofisti come i filosofi di un momento di grande crisi per tutta la Grecia: la guerra del Peloponneso. Ma cominciamo a parlare di Protagora

Protagora il relativista

Per Protagora non esiste una verità oggettiva, poiché è la verità è prodotta dall’esperienza ed ogni uomo ha esperienze diverse. L’aletheia perde il valore magico-sacrale che possedeva e diventa relativa alla prospettiva di ogni uomo, in base alla propria consuetudine. La verità di Protagora è quindi relativistica e pragmatica (vincolata alla prassi). Anche la conoscenza è ristretta: l’uomo può conoscere solo le cose che cadono nell’orizzonte della sua esperienza.

Con Protagora nasce anche il problema dei dissoi logoi, i discorsi doppi: per ogni esperienza sarebbe possibile fare due diversi discorsi in contrasto fra di loro, o meglio, partendo da due punti di vista differenti è possibile giungere a due conclusioni contraddittorie, senza però poter decidere sulla verità di una o dell’altra. Il linguaggio non è più, pertanto, di rappresentare in modo univoco le cose, sistema alla base della filosofia eleatica, ma tra il logos e la realtà ci sarebbe, a detta del sofista, un divario interminabile. L’unico criterio di “verità” per un discorso è l’universalità: un discorso diventa vero se è condiviso ed è utile alla maggioranza della gente. Se non è possibile elaborare un discorso oggettivamente vero, è possibile formularne uno che rispecchi i punti di vista della maggioranza, che comprenda il più possibile le opinioni particolare. In questo senso l’uomo, unico “metro” della verità, è “misura di tutte le cose”.

Gorgia e il non essere

Se Protagora ha messo in crisi il rapporto tra realtà e linguaggio, Gorgia lo distrugge completamente. Gorgia si pone polemicamente contro il pensiero di Parmenide, confutandone l’identità tra realtà, pensiero e parola alla base della filosofia eleatica. Si parte da un’identità: il non essere è il non essere. E fin qui non ci piove. Ma se il non essere è non essere, vuol dire che “è” qualcosa. Quindi il non essere è. E negando il contrario, l’essere non è. Tutto quello che si vede è una pia illusione. E nemmeno i ragionamenti possono essere logicamente corretti perché “anche se qualcosa fosse, sarebbe in conoscibile”. E la parola non può tentare di descrivere la realtà perché “anche se fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile”. Queste tre proposizioni negative riassumono il nichilismo di Gorgia, ancora più radicale del relativismo di Protagora: non c’è modo di verificare oggettivamente se un discorso è vero (perché la parola non è in grado né di esprimere il pensiero, né di descrivere la realtà), ma l’importante è che sembri vero, affinché susciti “credenza” nei confronti del pubblico. L’unico metro di verità di un discorso è la retorica: un discorso è vero se convince. Ugualmente, dal confronto non può nascere un accordo ma si deve continuare la discussione fino a imporsi sull’interlocutore e generare così un discorso “vero”. Anche le filosofie precedenti erano, a detta di Gorgia, discorsi retorici più o meno persuasivi, ma incapaci di descrivere quella verità universale di cui erano oggetto. Con Gorgia la filosofia è ridotta a eristica, all’arte di sopraffare l’interlocutore; saranno Socrate e Platone a ricostituire la relazione tra realtà, pensiero e parola e a reintrodurre una verità oggettiva.

Nomos e physis

È in questo periodo che nasce la grande distinzione tra legge naturale o physis e legge dell’uomo o nomos. Fino all’inizio del quinto secolo nel pensiero greco non si avvertiva una sostanziale differenza tra il mondo dell’uomo e il mondo della natura, e quindi si avvertiva un’unità tra le norme che regolano l’armonia della natura e le norme che regolano i rapporti tra i cittadini delle singole polis. Ma nel quinto secolo, con l’imperialismo ateniese e la crisi della guerra del Peloponneso, il nomos divenne sempre più oggetto di critica e di revisione da parte del demos, il popolo. I problemi dell’umanità, a detta della seconda generazione dei sofisti (quella di Antifonte, Ippia, Trasimaco e Crizia), provengono dalla differenza tra nomos e physis. Secondo la sofistica, infatti, come non è possibile trovare un discorso vero per tutti, non è possibile neanche trovare una legge giusta per tutti. Il nomos diventa espressione di interessi di parte e oggetto di contese tra fazioni. L’unica speranza per il cittadino è nel confidarsi alla legge superiore della physis, regolatrice dell’armonia dell’universo. E qui sorgono i problemi. Secondo Antifonte e Ippia, democratici, la legge della physis impone l’uguaglianza dei membri della specie, culminante in una sorta di cosmopolitismo. Secondo Trasimaco e Crizia, aristocratici, la legge predominante della physis è la legge del più forte: il più nobile ha così il diritto di sopraffare il più debole; il nomos non può garantire la giustizia e non dovrebbe fare altro che legalizzare questa sopraffazione. Secondo Crizia anche la religione è strumentale al potere. Ancora più radicale la posizione di Callicle: il nomos è un’invenzione dei deboli per cercare di arginare il giusto predominio dei più forti sancito dalla physis. Ma se il nomosè così lontano dal logos physikos, è para o kata physein? È giusto o sbagliato che ci sia e che gli uomini lo seguano?

Questo divario tra nomos e physis e il modo in cui possa essere affrontato ha attraversato tutta la filosofia moderna, passando anche per la teoria di Darwin. Hobbs diceva “homo homini lupus”, ma oltre alla componente bestiale è presente in lui una componente razionale che gli consente di appianare le discordie e di suggellare un pactum societatis per garantire l’armonia della società.