I POETI CREPUSCOLARI
Con il termine poeti crepuscolari si suole indicare un gruppo di scrittori che operano in Italia nel primo decennio del Novecento e sono accomunati, oltre che da rapporti di amicizia, dal gusto per una poesia dai toni grigi, dimessi, quotidiani, malinconici. La loro produzione letteraria, come osservava il critico Antonio Borgese che per primo li definì crepuscolari, faceva pensare alla luce incerta del crepuscolo dopo lo splendore della grande stagione poetica dannunziana e pascoliana che poteva essere paragonata alla luce accecante del meriggio.
• Il movimento ebbe precisi limiti cronologici, gli anni tra il 1903 e il 1911, e una ben definita collocazione spaziale: si sviluppò infatti tra Roma, Torino e Ferrara. A Roma vissero Sergio Corazzini e Fausto Maria Martini, a Torino Guido Cozzano, l’esponente più importante del gruppo, Carlo Chiaves, Nino Oxilia. Si accostarono al crepuscolarismo nella prima parte della loro lunga carriera poetica anche i romagnoli Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni e Marino Moretti, che però successivamente si orientarono verso altre esperienze culturali.
- Vissuti in un’epoca nella quale era ancora imperante il modello dannunziano sia negli atteggiamenti di vita sia nelle scelte culturali, i poeti crepuscolari si distaccano nettamente dai toni trionfali e vitalistici, prediligono semmai la poesia pascoliana delle piccole cose e si agganciano a modelli europei, in particolare a Paul Verlaine, ai fiamminghi Maurice Maeterlinck e Georges Rodenbach e ai francesi Francis Jammes e Jules Laforgue, scrittori intimisti e malinconici.
- Essi non si sentono armonicamente integrati nella realtà in cui vivono: avvertono il vuoto e la falsità degli ideali ottocenteschi (Dio, Patria, Umanità, parole che i retori han fatto nauseosi, scrive Gozzano) e al tempo stesso non sanno adattarsi alle leggi della società borghese, gretta, meschina, volta all’utile, nei confronti della quale assumono un atteggiamento oscillante tra rifiuto e rassegnata, ironica accettazione. Privo di saldi punti di riferimento dunque il poeta crepuscolare si autoemargina, rifiuta la vita e l’azione, si limita a guardare la realtà standosene in disparte e si rifugia in un mondo di cose semplici, quotidiane, le buone cose di pessimo gusto come le definisce appunto Gozzano.
- Muta anche la funzione attribuita alla poesia. I crepuscolari non credono più nel poeta vate, cantore di ideali e abile cesellatore di versi alla maniera carducciana e dannunziana. Sanno che questo ruolo si è esaurito, che nella moderna società di massa la poesia non ha più nulla da dire, si vergognano quasi di essere poeti e assumono atteggiamenti dimessi e autoironici. Corazzini dichiara di non essere un poeta, ma un pioccolo fanciullo che piange; Moretti, in modo esplicitamente riduttivo, intitola una sua raccolta di versi Poesie scritte col lapis; Palazzeschi assume l’atteggiamento del saltimbanco un po’ folle e provocatoriamente invoca E lasciatemi divertire!; Gozzano ringrazia il buon Gesù di non averlo fatto gabrieldannunziano e si definisce un coso con due gambe / detto guido gozzano.
- Le tematiche predilette dei crepuscolari sono i piccoli eventi di una vita provinciale monotona e tranquilla: quieti e noiosi pomeriggi domenicali, giardini abbandonati abitati da statue consumate dal tempo, corsie d’ospedale, organetti di Barberia, suorine pallide e silenziose, interni di case borghesi. Le donne che compaiono in questi componimenti non hanno nulla di fatale e di misterioso, i loro nomi, Carlotta, Speranza, Felicita, sono vecchiotti e rassicuranti, la loro bellezza è semplice e campagnola. Una sensazione di malinconia, di stanchezza, una lieve ombra di morte attraversa questo mondo umile e dimesso, in sintonia con l’esistenza stessa degli autori, alcuni dei quali (Corazzini, Cozzano) morirono giovani, consunti dalla malattia del secolo: la tisi.
- Alla semplicità e quotidianità dei temi corrisponde sul versante stilistico un voluto abbassamento del linguaggio: il lessico è umile, la sintassi lineare, i versi sono lunghi, prosastici, zoppicanti, le rime imperfette e spesso facili.
Pur restando almeno apparentemente ai margini del panorama letterario italiano i poeti crepuscolari hanno esercitato una notevole influenza sulla poesia novecentesca che ne ha ereditato tematiche, atteggiamenti e tecniche espressive. Del resto la definizione stessa di crepuscolari è duplice e ambigua. Come il crepuscolo indica quel momento di passaggio tra la luce e il buio che si verifica sia al tramonto che all’alba, cosi la poesia crepuscolare segna per un verso la conclusione della grande stagione poetica di fine Ottocento, per l’altro l’inizio della poesia moderna