I PATTI LATERANENSI

I PATTI LATERANENSI

I Patti del Laterano regolarono i rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa dall’11 febbraio del 1929 al 18 febbraio del 1984.

Il trattato sancì definitivamente la composizione della “questione romana” apertasi nel settembre del 1870 con l’occupazione di Roma e delle province pontificie.

L’atteggiamento della Chiesa dal ’70, assolutamente contrario a qualsiasi inizio di trattativa con lo Stato se non fossero state restituite al papa le terre occupate e, d’altra parte, l’impossibilità del Regno d’Italia di rinunciare a Roma e di permettere la ricostruzione dello Stato Pontificio, consentirono come unica soluzione possibile un atto unilaterale, che fosse imposto alla Chiesa.

E’ così che venne approvata la legge delle Guarentigie (1871-1929).

L’importanza che assunse questa legge fu storica, data l’interruzione, dopo secoli, nella gestione del potere temporale da parte papi.

In essa si definiva la persona del papa come “sacra e inviolabile”, a questi i pieni poteri dell’esercizio spirituale, la dotazione annua di 3.225.000 lire, dei palazzi apostolici, Vaticano e Lateranense, e della villa di Castel Gandolfo, nonché l’importante abolizione dell’ “exequatur” e “placet regio” (forme di controllo governativo per la pubblicazione ed esecuzione di atti della autorità ecclesiastiche).

Ma i papi ed il mondo cattolico non accettarono mai un atto deciso senza l’assenso della Chiesa, ed è così che il fascismo, una volta assunto il potere, non tardò ad accorgersi della grandissima utilità che poteva trarre da un eventuale appoggio di quest’ultima.

Il fascismo era un movimento istintivamente anticlericale, un movimento con a capo un uomo che nella sua vita non accolse mai un segno di animo riconquistato dai valori del cristianesimo, un uomo che all’atto stesso dell’approvazione degli Accordi Lateranensi, tenne a che si sapesse che era stato esonerato dal bacio della mano dovuto al pontefice in occasione della visita ufficiale di quest’ultimo, un uomo, Mussolini, che aveva però un non comune intuito.

Grazie a questo capì che la Chiesa non solo non era un’avversaria che si poteva schiacciare, umiliare o abbattere, ma che poteva essere quell’appoggio che gli mancava, una sorta di instrumentum regni, quel sistema di controllo della ramificazione sociale cattolica, che all’epoca poteva dirsi più che considerevole, indispensabile per la piena realizzazione di quel regime totalitario che tanto gli stava a cuore, e che forse mai riuscì a creare.

(la tesi di alcuni storici, tra i quali De Felice, è infatti di un fascismo come totalitarismo imperfetto). 

Ma se i motivi che portarono Mussolini ad avvicinarsi alla Chiesa possono sembrare chiari, quelli che portarono il papa ed i cardinali ad accordarsi con il fascismo appaiono molto complicati e in alcuni casi assolutamente controversi.

E’ infatti lecito, e altrettanto logico, chiedersi come nel Clero non si avvertisse la radicale inconciliabilità tra la dottrina fascista e i precetti del cristianesimo, un’inconciliabilità che dovrebbe apparentemente troncare ogni possibilità di compromesso.

Il fascismo era esaltazione della violenza, della guerra, dell’importanza della bellezza del gesto, del prestigio nazionalistico portato all’esasperazione; precisamente l’antitesi della dottrina cristiana che esalta l’umiltà, la rinuncia, la mitezza e la pace.

Il fascismo proponeva inoltre un vero e proprio sistema rituale, con i suoi abiti, le formule, i gesti, ed una figura di riferimento a cui essere quasi devoti.

In qualche modo una specie di religione.  

E’ evidente l’incompatibilità.

Allora perché questo avvicinamento?

E’ innanzi tutto fondamentale comprendere la volontà della Chiesa di riaffermare, in aperta polemica con il liberalismo, e con il principio cavouriano, “libera Chiesa in libero Stato”, la propria dimensione sociale e politica, come strumento di cristianizzazione, come la Chiesa volesse quindi essere attiva, contrariamente a quanto avesse fatto dal 1874, con il “non expedit”.

La “pupilla” del papa (come egli stessa la definì) non a caso era l’Azione Cattolica.

La situazione che si presentava era, agli occhi della Chiesa, in primo luogo quella di dover scegliere tra un accordo con i socialisti, il caos totale provocato dall’assenza di un Governo, o il fascismo.

La scelta ricadde sul “male minore”:

la Chiesa non chiudeva gli occhi sulle violenze degli squadristi, dove le prepotenze e i soprusi di numerosi aderenti al partito erano all’ordine del giorno, e non sempre tacitate dalle autorità. Ma in quel dato momento storico essa ritenne che un’ipotesi cattolico- socialista non rappresentasse un reale miglioramento della situazione, semplicemente perché il fascismo in quel momento non era propriamente anti- cristiano, mentre nel substrato socialista vi erano teorie affermate (come ad esempio il marxismo) essenzialmente avverse al Cristianesimo, teorie dove non c’è spazio per un Dio cristiano nella concezione dell’uomo.

Forse Mussolini era il primo ad avere una concezione del genere, ma quello che importava alla Chiesa era il fatto sociale, la realtà di crocifissi nelle aule scolastiche, dell’insegnamento della religione cattolica obbligatoria, una concreta maggiore libertà di presenza, cosa che ottenne effettivamente, che poi la ragione fosse di Stato o di privati interessi politici, poco importava.

Usando una citazione da Andreotti la politica non è amore eterno, né odio eterno, ma interesse eterno, e questo furono i Patti: una “reciproca strumentalizzazione”, non un andare a “braccetto” o un condividere per forza gli stessi ideali, ma procurarsi vantaggi; il fascismo tendeva a strumentalizzare le Chiesa per un consenso popolare, che vide in effetti crescere di giorno in giorno. La Chiesa, utilizzava il potere del fascismo per conseguire innegabili conquiste.

E’ inoltre fondamentale concepire le scelte che vennero fatte non con il senno del “poi”, ma cercando di comprendere per quello che era lo scenario, in pochi prima del 1929 consideravano il fascismo per quello che poi realmente si rivelò, lo stesso Benedetto Croce, il più grande intellettuale italiano dell’epoca insieme a Gentile, definì nel ’24 il fascismo come un sistema che “avrebbe accresciuto il sentimento della salvezza dello Stato” e stimava “grande beneficio la cura a cui il fascismo aveva sottoposto l’Italia”.

Era ovvio che si pensasse che in futuro questo fenomeno si sarebbe potuto “normalizzare”; probabilmente il medesimo motivo spinse Giolitti nel ’21 a far entrare deputati fascisti nel parlamento, o Pio XI a descrivere, tre giorni prima della firma stessa sull’atto, Mussolini come “un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”.

Non meraviglia dunque più di tanto, in questo contesto, l’evidente errore di giudizio.

Nel 1926 ebbero inizio le trattative vere e proprie e si prolungarono per tre anni.

Tenuti accuratamente segreti, fino al momento della firma, i Patti Lateranensi vennero distinti in tre atti:

Il Trattato del Laterano

Il Concordato

La Convenzione finanziaria

L’approvazione da parte della Camera fu assoluta, gli unici sei voti contrari si registrarono in Senato, tra i quali ci fu quello di Croce, il quale pronunciò un discorso di opposizione non per il Trattato, ma per il Concordato, con il quale a suo parere lo Stato rinunciava ad una “integrale laicità” e “tradizionale liberalità”.

La conclusione dell’accordo contribuì senza dubbio a rafforzare, all’interno e all’estero, il governo fascista.

La convenzione finanziaria assegnava alla Santa Sede 750 milioni in contanti e il 5% del valore nominale di un miliardo di lire, ma i problemi di gran lunga più importanti furono risolti dal Trattato e dal Concordato.

Con il Trattato venne abrogata la legge delle Guarentigie, la Chiesa riconosceva lo Stato italiano e Roma capitale, e l’Italia riconosceva al pontefice lo stesso territorio concesso nel 1871, ma ora con sovranità piena e non più usufrutto.

Veniva inoltre ribadito (art.1) che la religione cattolica, apostolica e romana era “la sola religione di Stato”, e che al papa veniva riconosciuto (art.12) “il diritto di legazione attivo e passivo.

I vantaggi per la Chiesa furono notevoli: l’insegnamento religioso (art.36) come “fondamento e coronamento” dell’istruzione pubblica fu esteso dalle scuole elementari alle scuole medie inferiori e superiori, la laurea in teologia ( art.40) fu riconosciuta dallo Stato.

Era riconosciuta inoltre l’organizzazione dell’Azione Cattolica a patto che questa (accorgimento del 1931) svolgesse la propria attività “al di fuori di ogni partito politico e sotto l’immediata dipendenza delle gerarchie della Chiesa”.

Ma il punto che suscitò le maggiori opposizioni fu l’art.34 contenente le norme per il matrimonio: in esso lo Stato riconosceva “al Sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico gli effetti civili”.

E’ indubbio che i Patti Lateranensi siano stati un punto cruciale nella storia della Chiesa, in quella dello Stato italiano, e nel governo fascista.

Quest’ultimo era autoritario da una parte, ma, dall’altra, bisognoso dell’appoggio delle masse, in particolare dei giovani, che trovarono fascinosa la novità.

L’ingegno di Mussolini e del fascismo nell’accordarsi con la Chiesa fu quello di intuire che, fondamentale, era entrare anche nella quotidianità del mondo cattolico, nella quotidianità di quelle persone, che ancora non era riuscito a conquistare, e che seguivano le indicazioni del papa.

Poteva sembrare insignificante” come afferma Carlo Arturo Jemolo nella citazione qui sotto riportata, ma entrare a far parte dei piccoli atti, sarebbe stata per il fascismo la più grande delle vittorie, perché solo così poteva insediare la mentalità, la ritualità, il modo di essere.  

“Poteva sembrare insignificante che, dopo i Patti firmati l’11 febbraio del 1929, anche nelle processioni i ragazzi dell’Azione Cattolica camminassero, a imitazione della milizia fascista, per tre e non per quattro, come si era camminato fino al 1922, portassero, ancora a imitazione dei fascisti, le bandiere con l’asta appoggiata sul ventre e non sulla spalla, come si era praticato fino alla marcia su Roma, che tutti i minuscoli foglietti parrocchiali di associazioni religiose recassero accanto alla datazione cristiana quella del regime, che i cattolici si adattassero a tutto ciò che era < stile >, a cominciare dal saluto romano e dal parlare col Voi, abbandonando, perché così voleva il duce, la secolare terza persona della nostra lingua;

poteva parere insignificante, ma non era.

Così, solo così, facendo scendere la dimenticanza sul passato, tenendo abbassata la tela che doveva dividere il mondo fascista da tutto ciò che era oltre i confini, il governo poteva affermarsi come regime, il regime: non semplice sistema di governo, ma modo di vivere, sentire. (…)

Con ciò si andava oltre il rispetto e la collaborazione al governo legittimo: con ciò si consacrava non il governo, ma la mentalità, il modo di vivere fascista.”

 

(C.A. Jemolo, da “Lo Stato e la Chiesa dal 1870 a Giovanni XXIII”)

 

Da parte sua la Chiesa non era assolutamente disposta a lasciare il monopolio educativo al fascismo, il che era il pericolo più grande.

La stessa Azione cattolica divenne infatti nel 1931 causa del più grande scontro frontale tra il regime e la Chiesa, dal giorno della firma dei Patti.

Vennero denunciate adunate segrete dei consigli della gioventù cattolica, furono devastati circoli e sedi di quest’ultima; il papa stesso deferì la gravità dei fatti.

Era la prima vera spaccatura formale, preannunciata tra l’altro da le diverse interpretazioni degli accordi delle due parti.

Il papa arrivò anche a condannare con un’enciclica lo Stato totalitario.

Per un’ovvia convenienza si arrivò ad punto d’incontro.

Fu infatti deciso da parte dello Stato con l’assenso della Chiesa che l’Azione Cattolica doveva rimanere fuori dalla politica (la stampa fascista insisteva nell’accusa di un complotto politico), al fine di non proporsi compiti di ordine sindacale, e di avere la sola finalità religiosa.

In qualche modo però quel monopolio totalitario che tanto bramava lo stato fascista, e che era un rischio concreto, probabilmente non ci fu mai, anche a causa della presenza di un re al di sopra di ogni potere del governo. E forse è anche questo il merito che, tra errori di valutazione, raggiungimento di concessioni, e una situazione interna non proprio univoca nelle decisioni, ebbe la Chiesa in un momento storico molto delicato.