I LIMONI BREVE ANALISI DEL TESTO

I LIMONI BREVE ANALISI DEL TESTO

DI EUGENIO MONTALE


Composta fra il 1921 e il ’22, questa è una delle più antiche poesie accolte nel libro, ma è già un caratterizzante formulazione di poetica, spoglia delle preoccupazioni rivoluzionarie delle avanguardie, e da inserire, piuttosto, nel solco di una tradizione “liberata”, che da Pascoli giunge a Sbarbaro. Lo scarto avviene nei confronti del gusto analogistico – simbolistico, di cui Montale accetta – e accetterà – certe lezioni sul piano espressivo, rifiutandone però la versione “musicale” allusiva, non impiantata su un’ansia di verità da conquistare attraverso un impegno intellettuale e conoscitivo. Su questa via, egli ricerca subito una solida travatura sintattica, un discorso concatenato. Se anche, alla fine, il poeta riscontrerà l’impossibilità di conoscere e di essere, e rifletterà propria in quella strenua ricerca di concatenazione, una sempre delusa ma non mai intermessa, volontà di comprendere, di ritrovare, cioè, una coerenza logica negli eventi.

La lirica ha un inizio chiaramente polemico: il rifiuto dei poeti “laureati”, testimoni d’una realtà falsata, e cioè edulcorata, secondo l’attesa d’un volgo che, appunto, li laureerà in compenso della loro mistificazione. Di contro si afferma un paesaggio di trita esistenza: i ragazzi che acciuffano sparute anguille fra le pozzanghere di aree suburbane grigie, dimenticate: i piccoli orti, con gli alberi – e col profumo – dei limoni. Ma qui si attua il contatto con una vita elementare, contrapposta alla falsificazione cittadina, con un ambiente “povero”, dove la povertà coincide con la scelta dell’essenziale, con la non adulterazione di sentimenti e pensieri. La liberazione dal pregiudizio, da una civiltà artificiosamente costruita su bossi, ligustri, acanti – piante nobili per essere nobili, contrapposte a un’esistenza diseredata ma vera – consente di ascoltare la voce dei limoni, d’una natura – vita nella sua verità: di ritrovare nel loro giallo oro la creazione perenne del sole. Il rifiuto dell’estetismo dannunziano si coglie anche a livello stilistico. A un lessico non ignaro di preziosità, ma pur sempre fondato su ragioni morali e intellettuali, si accompagnano forme di voluta prosasticità, immagini “povere”, un ritmo versale frequentemente spezzato per seguire le volute d’un pensiero presentato come discorsivo, senza pretese di bandiere inedite e sublimanti verità. Un lettura della lirica nell’intero contesto della poesia montaliana rivela già fondamentali approdi ideologici e poetici; in primo luogo i riconoscimento della realtà come non conoscibile, da considerare in forma assolutamente relativistica: d’un relativismo che riconosce la problematicità d’ogni consistere, anche di quello dell’io anche della poesia.

L’immagine “povera” dei limoni, che può anche essere esaltante, nella sua fugace primavera, permane un emblema per la poesia futura di Montale. Ed emblematico è il desiderio di ritrovare un anello che non tiene nella catena di necessità che cinge il mondo e le vita, non per conquistare la verità assoluta, ma una verità da conoscere e vivere, una favilla del “divino” perduto, e cioè della verità del nostro essere, del nostro destino. Per ora Montale vede ancora possibili i momenti di una grazia poetica, che diverrà sempre più difficile. Affidata alle folgorazioni d’un oltremondo sconosciuto.

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