HECYRA DI TERENZIO

HECYRA DI TERENZIO


-PUBLIO TERENZIO AFRO-
Publio Terenzio Afro (in latino Publius Terentius Afer) fu un commediografo latino. Anche se la sua data di nascita non è nota, sembra plausibile collocarla attorno al 185 a.C. a Cartagine, anche in ragione del suo cognomen, Afro. Sulla sua vita abbiamo una biografia risalente a Svetonio.  Giunto a Roma come schiavo di un nobile senatore, Terenzio Lucano, fu in se-guito affrancato, “ob ingenium et formam”,  per il suo ingegno e per la sua bellezza, diventando un liberto.
Divenne amico di Scipione Emiliano e la sua posizione di prestigio suscitò l’invidia degli altri letterati. Sul suo conto sorse-ro calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di essere un prestanome del suo importante protettore, che sarebbe il vero autore delle commedie terenziane. Era, infatti, considerato disdicevole per i politici romani, dedicare il proprio tempo alla compo-sizione di commedie. Infatti l’unica attività che era concesso coltivare era l’oratoria o la storiografia.
Da questa accusa Terenzio si difese nella sua ultima commedia, l’”Adelphoe” (da adelfoi: fratelli), nel cui prologo egli af-fermava che per lui era motivo di orgoglio essere aiutato dagli uomini più importanti di Roma.
Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, Terenzio lasciò Roma recandosi dapprima in Grecia e in se-guito in Asia Minore, da cui non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali menandrei reperiti in Grecia. Aveva circa 26 anni.


OPERE

Come già aveva fatto Plauto, Terenzio adattò commedie greche: in particolare i suoi modelli, dichiarati nei prologhi, appar-tengono alla Commedia Nuova attica e, soprattutto, a Menandro.
L’opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione degli originali greci: l’autore apportò notevoli modifiche nelle trame e nei personaggi.
Terenzio, come Plauto, “contaminava” le sue commedie: introduceva cioè, all’interno di una stessa commedia, personaggi e episodi appartenenti a commedie diverse, anch’esse comunque di origine greca.
La commedia plautina viene denominata MOTORIA  mentre la commedia terenziana viene definita STATARIA.
Rispetto a Plauto, infatti, Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti. Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto.
Rispetto a Plauto, Terenzio mantiene un’ambientazione rigorosamente greca, senza surreali intrusioni di usi e costumi ro-mani. Egli elimina quasi completamente i cantica, facendo invece uso abbondante dei versi lunghi. Altra notevole differenza con Plauto è quella relativa allo stile e al linguaggio: non troviamo in Terenzio l’esuberanza, le acrobazie verbali, i giochi di parole e le parodie dello stile tragico; evita vigorosamente espressioni popolari e volgari; segue, stilizzandolo, il linguaggio della conversazione ordinaria. Quello di Terenzio è insomma uno stile sobrio, naturale, all’insegna della compostezza, della semplicità.
Anche in Terenzio, al centro della vicenda comica, troviamo amori ostacolati che alla fine si realizzano felicemente.
Il commediografo  tende a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia, accanto alla coppia principale, una seconda coppia.. Rispetto a Plauto, Terenzio costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità, caratteri-stiche queste mancanti nell’altro, che puntava sull’efficacia comica della singola scena.
Altra differenza importante con Plauto e Menandro, è l’abolizione del prologo informativo. T. trasforma il prologo informa-tivo in un prologo a carattere letterario; nel prologo parla di sè, del suo modo di poetare e si difende dalle accuse che i suoi avversari gli rivolgono. Plauto e Menandro si servono del prologo per informare il pubblico dell’antefatto e anticipano spes-so la conclusione; ciò metteva il pubblico nella condizione di seguire meglio la vicenda, il cui intreccio era spesso comples-so. Ciò rendeva il pubblico superiore ai personaggi della commedia. Terenzio elimina il prologo informativo, perché punta su effetti di suspense, vuole che lo spettatore si immedesimi nel personaggio, vuole che il pubblico sia coinvolto emotiva-mente nelle vicende, provi le stesse emozioni dei personaggi.
Terenzio inoltre, attenua i tratti caricaturali dei personaggi e ne fa delle figure delicate, tenere, sensibili.
Protagonista del suo teatro non è più il servus callidus, ma padri e figli. Non ridicolizza i sentimenti d’amore dei giovani, ma li segue con partecipazione e simpatia. I padri terenziani sono differenti da quelli plautini, sono disponibili al dialogo con i figli e si preoccupano della loro felicità più che del loro patrimonio e del veder affermata la loro autorità. Nel teatro di Terenzio non esistono personaggi del tutto negativi. Anche i servi sono spesso vicini ai padroni e partecipano ai problemi familiari; non tutte le cortigiane pensano ai propri interessi. Il messaggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali.
Quella di Terenzio era una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Pare tuttavia che la fortuna delle sue commedie sia da attribuire alle capacità del suo attore, Ambivio Turpione, uno dei mi-gliori a quell’epoca. La sua carriera drammaturgica non fu facile come per Plauto: non ebbe lo stesso successo perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano.
Terenzio compose in tutto 6 commedie, pervenuteci interamente con le didascalie relative alla rappresentazione.
La prima commedia terenziana fu L’Andria , “La donna dell’isola di Andro”, che venne rappresentata con scarso successo.
La seconda commedia, l’”Hecyra” (la suocera) fu un fiasco clamoroso: il pubblico dopo le prime scene abbandonò il teatro preferendo assistere ad una manifestazione di pugili e funamboli.L’Heautontimorumenos, “Il punitore di sé stesso”  ed il Phormio vennero invece rappresentate con buon esito, risquotendo un discreto gradimento tra il pubblico romano.
Il maggior successo di Terenzio fu l’Eunuchus “L’eunuco”, una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro: l’Eunucus è la più simile alla comicità plautina.
Durante i giochi funebri per celebrare la morte del padre di Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l’”Adelphoe” “i fratelli”; nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’”Hecyra”, ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro preferendo i gladiatori.
Terenzio tentò una terza rappresentazione dell’”Hecyra” durante i Ludi Romani dello stesso anno e, finalmente, fu rappre-sentata con successo; il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, capocomico ed attore molto ce-lebre, che durante l’introduzione  pregò i presenti  di seguire la commedia fino alla fine.HECYRASi pensa che la trama di “Hecyra (La Suocera)” di Terenzio riprenda il modello dagli “Epitrepontes” di Menandro ma questa attribuzione non è stata ritenuta l’unica infatti altri studiosi ritenevano che Terenzio si fosse rifatto ad Apollodoro e alla sua “Ekurav”. Ma non vi è dubbio che l’impianto principale dell’azione si debba a Menandro, e che Apollodoro avrebbe ripreso l’opera menandrea nella sua opera, inventando però la figura della suocera, personaggio che non appare in Menandro. Perciò Apollodoro sarebbe solo un gradino di passaggio tra le due opere. L’innovazione che però si deve all’autore latino è quella di aver fatto un lavoro di scavo psicologico dei propri personaggi. Infatti per Terenzio la rappresentazione non è presentata come un “ludus”, ma come un’occasione per conoscere se stessi, da ciò scaturisce la solita incomprensione del pubblico del-l’autore (cosa che verrà sottolineata dall’autore stesso nel prologo dell’opera), abituato ancora alle commedie di Plauto che aveva adattato la compostezza dei modelli greci agli effetti più grossolani e immediati della farsa italica; però la capacità dell’autore di innovazione e di ricerca dell’uomo verrà riconosciuta e apprezzata nelle generazioni posteriori. Infatti il suc-cesso delle opere di Terenzio sarà apprezzato per tutto il Medioevo.Considerata la più moderna delle commedie di Terenzio, l’Hecyra è un dramma borghese che mette in scena conflitti e affet-ti familiari. La psicologia dei personaggi è ricca di sfumature ed approfondita. Particolarmente significativa è la figura di Bacchide, che, pur essendo una cortigiana, ha un animo sensibile e desidera la felicità del giovane Panfilo, tormentato e pa-tetico, in perenne conflitto fra amore e pudore.


LA TRAMA

Panfilo è combattuto tra l’amore per la cortigiana Bacchide e la volontà del padre che vuole fargli sposare Filùmena, una ra-gazza perbene, nonostante il giovane non la ami. Dopo il matrimonio forzato, Panfilo si rifiuta di avere rapporti con la mo-glie, che accetta con rassegnazione ed umiltà i torti del marito.
In realtà Panfilo aveva violentato Filùmena qualche tempo prima, senza sapere chi fosse e senza riconoscerla. Durante la colluttazione, le aveva strappato un anello, facendone poi dono alla sua amante Bacchide
In breve il giovane impara ad apprezzare il pudore di Filùmena e a poco a poco se ne innamora scoprendo un sentimento più profondo dell’attrazione che provava per Bacchide.
Panfilo parte con un servo per un viaggio di affari, senza aver mai toccato la moglie. Quest’ultima, non resta un attimo da sola con i suoceri ed abbandona la casa del marito per tornare a vivere dai genitori.
Un servo riferisce che Filumena ha giustificato il suo allontanamento con motivi di salute, una malattia l’avrebbe costretta a tornare a casa. Tutti gli altri personaggi ritengono che la causa dell’allontanamento sia il continuo conflitto con la suocera Sostrata. È soprattutto il marito di Sostrata ad accusarla di aver reso la vita impossibile a Filumena e di averla costretta ad allontanarsi da casa.
Sostrata si ritiene innocente e in un monologo lungo e toccante si dichiara vittima dei pregiudizi che vogliono tutte le suoce-re ostili alle proprie nuore. Nessuno conosce i motivi reali che hanno indotta la giovane sposa a lasciare la casa, ma tutti i personaggi avanzano supposizioni infondate. Il messaggio che Terenzio vuol trasmettere è che non bisogna giudicare dalle apparenze e lasciarsi guidare dai soliti pregiudizi. La realtà è spesso ben diversa dalle apparenze.
Intanto,  Pamfilo ritorna dal viaggio e viene informato dell’accaduto; si reca a casa dei genitori della moglie per constatare di persone le condizioni di salute di Filumena. A casa di Filumena, Pamfilo scopre la verità, ben diversa da ciò che gli altri pensavano. Filumena ha lasciato la casa perché sta per partorire un figlio non di Pamfilo, ma che è stato concepito prima del matrimonio, frutto di una violenza notturna subita da Filumena durante una festa, ad opera di uno sconosciuto ubriaco. In un monologo lungo e patetico, Pamfilo rivela al pubblico questa verità e mette a nudo i suoi sentimenti, il conflitto che si agita in lui fra amore e pudore. Sa che la sua vita senza la moglie sarà una vita vuota, però sa che l’onore e la società lo costrin-gono a separarsi dalla moglie e a non considerare come suo l’alienus puer. Pamfilo non rivela però il vero motivo per cui divorzia per non compromettere il buon nome di Filumena. I due suoceri, all’oscuro della verità, pensano che Pamfilo vo-glia ancora Bacchide e che abbia ripreso la relazione con lei. Vanno a parlare con Bacchide che rivela ai due che non ha più rapporti con Pamfilo dal giorno del matrimonio. Pur essendo una cortigiana, Bacchide accetta un compito che nessun’altra al suo posto avrebbe accettato: andare da Filumena per dirle che Pamfilo la ama. Bacchide è uno dei personaggi più insolito del teatro di Terenzio, perchè si contrappone allo stereotipo della cortigiana, agisce contro i suoi interessi perché affezionata a Pamfilo e vuole la sua felicità.
Bacchide va dunque a parlare a Filumena. Durante la visita  la madre di Filùmena nota al dito della cortigiana un anello che apparteneva alla figlia e che Filumena portava la notte in cui aveva subito la violenza e che le era stato strappato dal giova-ne. Bacchide rivela che l’anello le era stato dato da Pamfilo, il giovane stupratore era quindi il marito. La commedia si con-clude con il ristabilimento dell’unione che una serie di equivoci avevano minato.

Notiamo che  vengono trattati rigorosamente  tutti i classici TOPOI della commedia greca:
il tema dell’innamoramento
il tema dell’esposizione dei figli illegittimi
il tema dell’AGNIZIONE, cioè del riconoscimento
il tema del lieto fine, inteso come il matrimonio

PERCHÈ L’HECYRA NON EBBE SUCCESSO
•    Le aspettative del pubblico romano
•    Le  differenze tra Terenzio e Plauto

Sappiamo che Terenzio morì in terra straniera, lontano da Roma, dalla quale s’era allontanato non tanto per studiare in Grecia, bensì amareggiato da quel pubblico che non lo capiva.
La rappresentazione dell’Hècyra fu un fiasco. Persino il terzo tentativo non fu un successo: semplice-mente il pubblico rimase fino alla fine, grazie alle preghiere di TURPIONE, il più bravo attore dell’epoca.

E’ importante dunque capire perchè il pubblico romano non amasse le opere di Terenzio.

Si dice che Terenzio nacque nello stesso anno della morte di Plauto.
Non che sia vero, ma ciò attesta come tutti si aspettassero che Terenzio ne continuasse l’ opera. Ma ciò non avvenne.
Il teatro di Plauto era un TEATRO POPOLARE. Nelle sue commedie il LINGUAGGIO era quello del popolo, che gli spettatori riconoscevano come il proprio modo di esprimersi.
Terenzio, invece, era abituato al linguaggio dei suoi amici nobili. Il suo pubblico ideale era più COL-TO, più composto.
Terenzio sperava di usare un mezzo popolare, quale era la commedia comica,  per trasmettere un mes-saggio di sensibilità ed interessi nuovi… ma la  gente, a teatro, voleva ridere, voleva divertirsi, voleva sentir parlare i servi di mangiare, di bere e …naturalmente di sesso.
Non usava l’ESUBERANZA plautina, le sue ACROBAZIE VERBALI, i giochi di parole; evitava rigo-rosamente le espressioni volgari.

La  commedia plautina era chiamata MOTORIA, perchè gli attori correvano sul palco, bisticciavano, si inseguivano, creando una gran confusione, che faceva molto ridere.
La commedia di Terenzio era invece chiamata STATARIA perchè i personaggi dovevano catturare l’attenzione del pubblico soltanto con il dialogo. E questo dialogo era parlato, mai cantato.
Terenzio eliminò completamente la CANTICA e la METRICA, niente più versi corti, facili da ricorda-re, da ascoltare, immediati. Tutto al contrario, il dialogo non sembrava nemmeno più una lirica, i versi erano lunghi, non seguivano più alcuna metrica!!

Anche Terenzio, come già aveva fatto Plauto, adattava delle commedie greche. Però non si limitava a tradurle: lui modificava intrecci e personaggi, per il semplice fatto che così com’erano gli parevano po-co VEROSOMIGLIANTI e la ricerca della  verosomiglianza, del REALISMO, della credibilità di una scena, costituiva la sua particolare aspirazione.
Ecco, allora, che cercava di complicare tutti gli intrecci, aggiungendo personaggi e situazioni.

Comunque anche lui contaminava le sue commedie, inseriva episodi appartenenti a commedie diverse, personaggi ecc ecc.
Curioso il fatto che Plauto non venne criticato per le contaminazioni mentre a Terenzio venne rimpro-verato anche questo.
Probabilmente ha vissuto un periodo in cui ogni cosa era occasione per far polemica, sia politica che letteraria!

Anche altri fattori determinarono l’insuccesso di Terenzio.
Ai romani piaceva guardarsi in faccia, ossia piaceva vedere se stessi sulla scena, riconoscere le proprie abitudini, gli arredi delle loro case. Plauto lo aveva capito ed ambientava le sue commedie inserendo gli usi ed i costumi romani. Le ambientazioni  di Terenzio, invece, erano rigorosamente greche.

Altro che far ridere il pubblico! Terenzio stufava la gente fin dal prologo: è vero che anche Plauto non seguiva esattamente i modelli greci e non raccontava la trama per intero … ma Terenzio addirittura nel prologo parlava di se stesso, del suo modo di poetare, ne approfittava per difendersi dalle calunnie e spiegava i malintesi a cui era andato incontro. Insomma usava il prologo per far dire all’attore le cose che gli premeva far sapere.
In questo modo, il pubblico, al quale non importava certo delle vicende personali del commediografo, non sapeva cosa avrebbe visto e faceva fatica a seguire la trama della storia.
Il teatro di Terenzio non è comico, nel senso proprio del termine. Lo riconosce persino Cesare, chia-mandolo il Menandro dimezzato, che a Terenzio mancava la VIS ovvero la virtus comica. Ed è vero che l’opera di Terenzio ricorda assai più la commedia menandrea di quella plautina.
Il teatro di Terenzio voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana, che inter-pretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Il mes-saggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali. A lui si deve il concetto di HUMANITAS, che è quello di RICONOSCERE E RISPETTARE L’UOMO IN OGNI UOMO.
Per questo motivo i sentimenti nobili, come l’amore, l’amicizia, non vengono ridicolizzati. I suoi per-sonaggi non presentano TRATTI CARICATURALI: su di loro Terenzio compie un lavoro di scavo psicologico.
La commedia dell’Hècyra, avrebbe potuto avere un enorme successo, se quella suocera fosse stata bi-sbetica, avesse cercato in mille modi di ostacolare l’amore tra il figlio e la nuora, magari prendendo quest’ultima a bastonate…
Invece Terenzio pensò ad una suocera completamente diversa. Non solo. Terenzio pensò proprio alla DONNA in un modo differente, personaggio ricco emotivamente ed intellettualmente. E’ vero che ri-troviamo il topoi della fanciulla violentata, che i romani vivevano come un fatto normale, ma comincia ad esistere un’elevazione spirituale femminile.
Interessante a questo proposito un articolo apparso in marzo sul Giornale di Brescia dove si chiarisce come vi siano pochissime testimonianze di processi penali di donne romane, proprio perchè esse gode-vano di una scarsa personalità giuridica. Per intenderci, se la donna romana commetteva una colpa, ve-niva uccisa e basta, senza processo.
E’ chiaro quindi che questa nuova elevazione sociale  della donna terenziana non è facile da accettare per la mentalità romana di quei tempi.