GUSTAV KLIMT

GUSTAV KLIMT

(Baumgartner, Vienna 1862 – Vienna 1918)


Il pittore più rappresentativo dell’Art Nouveau è Gustav Klimt, uno dei massimi esponenti della Secessione viennese. In lui prevalgono il simbolo; l’evocazione della realtà piuttosto che la sua rappresentazione; la linea elegante, morbida e sinuosa; la bidimensionalità delle forme;  l’accostamento dei colori; il preziosismo, in una fusione e in un assorbimento delle più svariate componenti, che vanno dalla conoscenza dei mosaici di Ravenna fino alle più recenti acquisizioni artistiche e psicanalitiche, va infatti ricordata l’importanza che avrà di qui in poi la ricerca di Freud, le cui influenze saranno visibili soprattutto nei movimenti dell’Espressionismo e del Surrealismo, ma che sono già evidenti in Klimt, il quale riesce a penetrare nella profondità dimenticata dell’anima.

Figlio di un orafo e incisore, Klimt si forma e ottiene i primi successi nella Vienna di Francesco Giuseppe, la capitale di un impero che vive una splendida decadenza: la città di Johann Strauss e Gustav Mahaler, di Robert Musil e Joseph Roth e del già citato Sigmud Freud. Inizialmente molto amato dalla società contemporanea, grazie al suo esordio come pittore degli spazi pubblici, attraverso alcune decorazioni di stampo storicistico, nelle quali mette in mostra il suo meraviglioso talento. Nel 1897 fonda, con altri artisti, il movimento della Secessione, che propone l’abbandono delle forme pompose e accademiche del tardo Ottocento e l’avvio di una pittura luminosa, raffinata, di fluessuosa e modulare eleganza, con una forte componente decorativa. La prima mostra della Secessione avrà talmente successo che gli artisti che ne fanno parte saranno in grado di costruirsi un palazzetto (edificato nel 1989 su progetto di Olbrich e Wagner), all’interno del quale tenere le successive esposizioni.

Una serie di viaggi in Europa pongono Klimt al centro del dibattito sull’Art Nouveau, mentre il suo linguaggio si raffina a contatto con le esperienze italiane ed in particolar modo con i mosaici ravennati. I suoi temi prediletti sono gli stessi trattati mille volte dai pittori romantici e simbolisti, tra i quali ritroviamo: ‘La vita e la Morte‘; ‘Il Bacio‘; ‘Salomè‘; ‘Danae‘ e ‘Giuditta‘, ma le interpretazioni di Klimt sono assolutamente personali ed innovative, specialmente grazie alla grande felicità compositiva e alla capacità di giocare sul contrasto tra le definizioni ‘realistiche’ delle figure e l’astrazione decorativa degli sfondi.

Preziosa ed incantata, l’arte di Klimt si sviluppa nei primi due decenni del Novecento in alternativa alle rivoluzioni linguistiche proposte dai pittori di Parigi, sebbene il suo rapporto con i più giovani artisti come Schiele e Kokoschka sarà una delle matrici dell’Espressionismo austriaco, che manterrà sempre un legame con la raffinata eleganza del maestro, Klimt dopo i primi successi venne aspramente attaccato dalla critica, che riteneva troppo spregiudicato ed inadeguato il suo linguaggio artistico, la crisi scoppiò all’esordio dei pannelli proposti per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, nelle quali Klimt presentava non tanto un’allegoria propositiva dei temi trattati, ma piuttosto una loro visione pessimistica. Già in quest’opera possiamo vedere come l’artista colleghi all’immagine della donna, tutta una serie di simboli, dalla morte alla vita, dalla giustizia all’ingiustizia, dalla malattia alla guarigione, ecc. ecc. Klimt procedendo nel suo percorso artistico, usa l’immaginario femminile per costruire un personale linguaggio simbolico, arrivando a rappresentare la donna in situazioni e posizioni, mai viste fino a quel momento, se non tramite alcune rarissime eccezioni come ‘L’origine del Mondo‘ di Gustave Courbet, ma le donne proposte da Klimt hanno qualcosa di diverso, qualcosa di sensuale e delizioso, qualcosa che va oltre all’apparire della realtà effettiva, il suo è un immaginario simbolico, a tratti macabro, nel quale la donna è vincitrice ed emerge come unica vera e potente generatrice del mondo, caratteristica rappresentata in tutta la sua potenza, sia quella effettivamente creatrice, rappresentate dalle diverse figure di donne in stato di gravidanza, sia quella distruttrice, che mostra una donna padrona si se stessa e del mondo, capace di scegliere e di distruggere, se è il caso, ciò che ritiene una minaccia, come nel caso delle due interpretazioni di ‘Giuditta‘ l’eroina ebrea che per salvare il suo popolo, sedusse Oloferne, generale degli Assiri che assediava la sua città, e lo uccise, decapitandolo.

Nella prima interpretazione, realizzata nel 1901 Giuditta assume le sembianze di Adele Blochbaur, nobildonna viennese molto vicino all’artista e dipinta in diversi dei suoi quadri, ma invece di essere rappresentata come in precedenza, in modo ‘casto’ all’interno di un luogo oscuro e spoglio, come avviene ad esempio nella celebre tela di Caravaggio, qui la posa è estremamente sensuale. La scena, all’interno del quadro di Klimt è scomparsa, Giuditta, con la veste semi aperta che lascia intravvedere uno dei seni, emerge dal fondo dorato, che ci riporta mentalmente alle immagini sacre medievali, dal quale emerge, quasi come se ne nascesse da questo, tanto che la veste ne riprende la decorazione ed in alcune parti si fonde con esso; l’espressione dell’eroina non è più concentrato sul fatto, ha gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta e uno sguardo compiaciuto e distaccato allo stesso tempo, più che ricordare un’eroina biblica, ricorda la Salomè di Moreau e regalano alla tela un’atmosfera sospesa tra sacro e profano, sottolineata anche dai colori, si noti ad esempio il nero dei capelli che cingono la testa e si pongono quasi come un’aureola nera in contrasto con lo sfondo dorato, alludendo, per contrasto quindi, ad una presenza oscura. La donna porta al collo un pesantissimo gioiello in stile Liberty, che separa cromaticamente il collo dal resto del corpo, alludendo all’atto della decapitazione, mentre con le mani tiene la testa di Oloferne, che diventa una figura quasi del tutto marginale all’interno della composizione. Giuditta si pone quindi in modo duplice, vittima e carnefice allo stesso tempo e per questa sua ambiguità, l’opera viene spesso interpretata in due modi opposti a seconda del significato che vi si vuol scorgere: 1) una figura positiva nella quale la donna, forza creatrice, vince sull’oscurità (la morte) e sul male, 2) una figura negativa, la femme fatale, la tentatrice sensuale e distruttiva, la donna pericolosa per l’uomo proprio in virtù del suo potere seduttivo, simbolo della lussuria, nella quale la donna rappresenta quindi il male della tentazione.

Forse proprio per questa ambiguità e per questa duplicità d’interpretazione che fecero anche i suoi contemporanei, Klimt otto anni dopo, realizzò un secondo dipinto, nel quale esasperò le caratteristiche del personaggio. Nella seconda tela, Klimt riprende l’impostazione delle tele giapponesi, sviluppando il soggetto in verticale, Giuditta è rappresentata di tre quarti, come se volesse sottrarsi agli occhi dell’osservatore, atteggiamento che le da ancor più ambiguità della precedente, la veste è completamente aperta e mostra la totale nudità del seno, il viso ancora una volta presenta un’espressione sensuale di soddisfatto distacco a differenza delle mani febbricitanti che come tentacoli trattengono la testa decapitata. Anche qui la figura è inscindibile dallo sfondo, l’oro, il cui utilizzo è ispirato dai mosaici bizantini di Ravenna, ha la funzione di trasfigurare la realtà e fissare l’immagine in un’eterna, sublime trascendenza, congelandola nella distanza e nella perfezione del metallo. Lo sguardo dell’osservatore è attirato per lo più dal volto e dalle mani sia perché zone chiare su fondo scuro, sia per la presenza di linee di forza quasi verticali nella parte inferiore della tela rappresentate dalle pieghe del vestito. Lo slancio però si ferma sul viso di Giuditta, poiché la linea orizzontale dei capelli impedisce di uscire dai confini del quadro.

La tela è animata da un certo movimento, anche se bloccato sul nascere. Giuditta si slancia verso sinistra, ma il suo impeto è subito fermato dalla fitta trama decorativa che occupa il resto del dipinto. Il capo, inoltre, è anche in questo caso,  nettamente separato dal resto del corpo tramite il pesante gioiello che porta al collo che rappresenta, come in precedenza la decapitazione.

A prescindere dalle interpretazioni, bella, affascinante, crudele, bramata ed odiata, la donna, protagonista indiscussa dei quadri di Klimt è la personificazione della sessualità, l’emblema dell’amore carnale, della passione e dell’istinto, espressione di una natura non dominata completamente dall’uomo, una figura creatrice ma anche distruttrice, dietro la quale si nasconde l’immaginario di una grande madre primordiale allo stesso tempo benevola e crudele.

Del resto nel 1899 Freud pubblica ‘Interpretazione dei Sogni‘ nel quale emerge la caratteristica sessuofobica che vede nella donna un pericolo ancestrale e, contemporaneamente, emerge nella società una il  bisogno dei emancipazione femminile, questo, all’interno di una società puritana  e bigotta, porta alla nascita di un inconfessato senso di paura. È da questo immaginario che Klimt attinge per realizzare le sue tele, attraverso le quali rende ampiamente omaggio alla visione della donna, sprezzante ed enigmatica, simbolo della punizione inflitta dalla donna all’uomo.