GOVERNO GIOLITTI

GOVERNO GIOLITTI

GOVERNO GIOLITTI

Il periodo che va dal 1901 al 1914 prende il nome di ETA’ GIOLITTIANA. Il 4 febbraio 1901 Giolitti espone al Parlamento il suo programma politico: in campo economico egli si dichiara a favore del liberalismo (che avrà invece fine dopo la Prima Guerra Mondiale, spianando così la strada al fascismo), mentre in politica ha un atteggiamento riformista e trasformista. In parte anche per questo suo atteggiamento trasformista, in parte perché non di rado coinvolto negli scandali dell’epoca, non saranno pochi coloro che accuseranno Giolitti di corruzione e favoritismi durante il suo governo. Come Salvemini (fondatore del giornale “L’UNITA’” nel 1911), che lo definirà MINISTRO DELLA CORRUZIONE.

Sono anni, quelli, molto difficili, sia per quanto riguarda la politica interna che estera. Per quanto riguarda i rapporti con l’Europa, Guglielmo II di Germania e il re Umberto I sono soliti incontrarsi spesso, rafforzando così il legame tra Germania ed Italia, cosa che infastidisce non poco la Francia. Per quanto riguarda l’economia italiana, invece, essa è ancora molto in crisi, specie nel sud del paese, e il malcontento si fa presto sentire. Il settore rurale del sud, infatti, risulta essere sempre più arretrato rispetto a quello industriale del nord, tuttavia tra il 1907 e il 1911 c’è una certa ripresa economica, grazie soprattutto all’aiuto dello stato, favorevole a sovvenzionare e proteggere l’ancor debole economia del paese. Si hanno dunque notevoli sviluppi nel ramo della siderurgia, come nelle industrie di Terni, e in molti altri settori. Peccato che il sud sia invece estraneo a tutti questi nuovi sviluppi, ed è infatti la pianura padana a produrre circa il 40% delle risorse italiane.

Nel sud invece persiste ancora il latifondo, e i suoi proprietari sono ben lontani da una mentalità imprenditoriale.. Il 1901 è un anno di grandi scioperi per chiedere l’aumento dei salari, e Giolitti si rivela ancora una volta molto tollerante –a patto naturalmente che essi non abbiano rivendicazioni politiche ma economiche. Lo stesso Giolitti dirà: “Io non temo le forze organizzate.” Nel 1902 il Parlamento respinge il progetto di allargamento della tassazione diretta. Nel frattempo viene varata una legge che tutela il lavoro minorile e femminile. Si vanno anche pian piano organizzando le camere del lavoro. Il socialismo è ormai da tempo suddiviso in due correnti: una estremista (guidata da ARTURO LABRIOLA) e una moderata riformista (guidata da TURATI) che non sarebbe contraria a stringere accordi con Giolitti. Poco tempo dopo, dunque, Giolitti invita Turati ad unirsi al governo. Nel frattempo, però, al Congresso di Bologna del partito socialista, il ramo intransigente riceve larghi consensi, e questo porta l’acuirsi degli scontri e degli scioperi, come quello famoso del 1904, ad opera di rivoluzionari socialisti. Anche contro quest’ennesimo moto di protesta Giolitti si dimostra remissivo, convinto che sia importante dar voce alle lamentele.

Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa, nel 1903 il Papa Pio X consente finalmente l’intervento dei cattolici nella politica italiana e scioglie l’OPERA DEI CONGRESSI, organizzazione rappresentante i cattolici più intransigenti. Nel 1905 il governo Giolitti cade, a causa del malcontento generato dalla questione della nazionalizzazione delle ferrovie. Nel 1906 sale dunque al governo Alessandro Fortis, portavoce di Giolitti, ma di lì a poco anche il suo governo cade e, dopo l’ugualmente breve governo Sonnino che non gode di grande popolarità, torna al potere Giolitti. Giolitti riprende dunque la sua politica riformista, cercando però di non sconvolgere gli equilibri. Tuttavia la sua riforma finanziaria volta a diminuire il debito pubblico tramite una riduzione del tasso d’interesse sui titoli di stato (dal 5% al 3,5%), seppure accettata, determina nel 1907 una grave crisi economica. Superata un pochino la crisi, nel 1909 riprendono gli scioperi, promossi dalla CGL, nata nel 1906. Sempre nel 1906 abbiamo infatti anche una riforma della legislazione del lavoro. A Torino si forma invece la Confindustria, nel 1911.

E sempre nel 1911 vengono introdotti il monopolio statale sulle assicurazione sulla vita e il suffragio universale maschile (indipendente dal ceto sociale). L’opposizione al governo Giolitti prende intanto sempre più corpo: molti vorrebbero infatti una politica più conservatrice che riformista, e la sinistra radicale, così come i cattolici, sono ostili al suo trasformismo e al socialismo moderato. Si acuiscono intanto la questione meridionale ed il divario tra nord e sud, divenuto ormai quest’ultimo, secondo molti, un semplice SERBATOIO DI VOTI. Tra il 1912 e il 1913 si hanno nel paese altri scioperi, dovuti anche al fatto che nel 1907 si poteva ormai dire concluso il processo di industrializzazione italiano. Giolitti cerca di aiutare l’industria come può, attraverso le “COMMESSE DI STATO”. Inoltre, per frenare la grande emigrazione di manodopera all’estero che caratterizza quegli anni, intraprende tutta una serie di importanti lavori pubblici. Nel 1913 il PATTO GENTILONI segna la reintroduzione ufficiale dei cattolici nella vita politica del paese, anche se rappresenta unicamente un primo passo. Difatti, il “non expedit” verrà soppresso definitivamente solo nel 1919, perciò anche se sono presenti CATTOLICI DEPUTATI, non sono ancora presenti DEPUTATI CATTOLICI: in altre parole, fino al 1919 i cattolici possono partecipare alla vita politica (in qualità principalmente di oppositori del socialismo), ma solo come “singoli”, come deputati che, privatamente, sono cattolici, e non invece come rappresentanti del popolo cattolico. Per quanto riguarda la situazione coloniale, è il periodo quello anche della GUERRA DI LIBIA. Giolitti, personalmente, non condivide la scelta di conquistare la Libia, ma è comunque costretto a perseguire quest’obiettivo nella speranza di risollevare l’economia del paese. Anche i socialisti riformisti appoggiano la guerra di Libia, mentre sono contrari i rivoluzionari, che non esitano a definire la Libia un semplice “scatolone di sabbia” senza alcuna ricchezza. Poco vengono infatti stimati all’epoca i giacimenti petroliferi della Libia, che anzi viene vista come “lo scarto” degli altri paesi europei.

La spinta nazionalista ed imperialista è comunque più forte. L’intervento in Libia si prospetta facile, ma in realtà non sarà così. Il 29 settembre 1911, al comando del Generale Caneva, l’Italia attacca la Libia, spingendosi fino in Turchia. L’Italia occupa Rodi, e in seguito arriva fino nel Dodecaneso. Il Capitano di Fregata Enrico Millo si spinge all’attacco dei Turchi, ma è invece costretto a ritirarsi. Solo nel 1912 si arriva alla fine della Guerra di Libia, che si conclude con la vittoria dell’Italia e l’arretramento della Turchia. Nel 1914, alle porte della Prima Guerra Mondiale, il governo Giolitti entra in crisi, probabilmente anche a causa della sua “politica favoritista”. Ormai anche i socialisti considerano debole la politica di Giolitti. Tra parentesi, è in questi anni che entra in scena la figura di Benito Mussolini, inizialmente legato alle idee del socialismo rivoluzionario. Contro Giolitti ci sono anche liberisti e meridionalisti, contrari al suo “protezionismo” e “clientelismo”; allo stesso modo i cattolici, che si sentono considerati un mero strumento del governo. Giolitti dunque si dimette e gli succede Antonio Salandra. E’ durante il suo governo che si ha l’uccisione di tre operai durante un comizio. L’episodio genera grandi agitazioni (la famosa “settimana rossa”, tra il 7 e il 12 giugno 1914), e Salandra capisce che è ormai inarrestabile in Italia la crisi del liberalismo

LA CULTURA GIOLITTIANA

Nonostante Giolitti non abbia alle spalle una conclamata ideologia, la sua si può definire una politica “liberale illuminata”, affine negli obiettivi alle idee dei socialisti riformisti. La cultura del periodo è però anti-giolittiana, contraria ai socialisti riformisti, e rimprovera a Giolitti di fare la volontà di questi ultimi. Fra coloro che rimproverano questo a Giolitti abbiamo conservatori, avanguardisti, meridionalisti e neo-idealisti.

Prezzolini definisce la politica di Giolitti “scrivanile eccellezza”, volendo alludere alla burocratizzazione della vita politica, incentrata sulla diplomazia, che il governo attua in quegli anni. La verità è che è scarsa la presa culturale del mondo che Giolitti rappresenta (come l’industria, che non integra il mondo economico con una precisa mentalità o ideologia). Inoltre Giolitti trascura sempre il favore degli intellettuali, non curandosi di dare alla sua politica anche una DIREZIONE CULTURALE. Molti descrivono come “meschina” e “basata sull’empirismo di ogni giorno” la politica di Giolitti. Sostengono che quella che emerge nel suo governo sia un’Italia provinciale creata da un atteggiamento arrendevole ed opportunista. Per Salvemini Giolitti è un CONSERVATORE PATERNALISTA, che approfitta delle condizioni del sud per ottenere l’appoggio dei meridionalisti, creare brogli e servirsi della malavita. Quella di Giolitti sarebbe cioè una POLITICA CONSERVATRICE SOTTOFORMA DI UNA POLITICA RIFORMATRICE. Nel 1911, su “La voce”, Salvemini accusa anche la borghesia meridionale di approfittarsi del latifondismo –grazie al bene placito del governo, che essi appoggiano. Essi cioè sono colpevoli di investire nella terra –come i “vecchi” baroni- anziché nell’industria. Salvemini sarà poi esiliato dall’Italia durante il fascismo, ma nel 1945, nella prefazione del libro “L’età giolittiana”, scritto da un suo allievo, dichiarerà di non aver mai veramente inteso la politica di Giolitti.

Il fatto è che Giolitti e Salvemini hanno idee politiche molto diverse: per Salvemini, infatti, la democrazia è un ideale etico in un contesto anarchico, mentre Giolitti vuole attuare il liberalismo attraverso una politica di riformismo. Secondo Croce Giolitti attuò un governo liberale, in grado di soddisfare sia la destra che la sinistra, pronto ad accogliere sia le richieste degli industriali che dei lavoratori, e nello stesso tempo capace di mantenere l’ordine. Inoltre Giolitti ebbe il pregio di aver chiamato nuovi strati sociali a far parte della vita politica del paese. Ecco perché, nonostante le critiche, l’età giolittiana è conosciuta anche come DECENNIO FELICE, come decennio democratico.

(QUESTO TESTO E’ STATO INVIATO E PUBBLICATO ANCHE NELLA SEZIONE APPUNTI
DEL SITO “SKUOLA.NET”).