GLI AZTECHI

GLI AZTECHI

L’arrivo degli Spagnoli

Alla fine del XV secolo la Spagna usciva dalla guerra con gli Arabi per la riconquista dell’intero territorio nazionale (Granada, ultimo dominio arabo, fu liberata nel 1492): dopo anni di scontri e distruzioni, una notevole massa di combattenti, avventurieri, nobili spiantati restavano disponibili a qualsiasi impiego mettesse alla prova la loro intraprendenza. Molti di loro guardano alle terre da poco scoperte oltre Atlantico come al paese dell’oro: un avventuriero che si era spinto sulle coste della penisola dello Yucatan aveva riferito al governatore spagnolo di Cuba, Diego Velasquez, che si era aggirato tra grandi edifici in pietra, aveva visto estesi campi coltivati e incontrato gente vestita d’oro. Era arrivato, senza saperlo, tra i Maya. Velasquez decise di organizzare una spedizione nel territorio inesplorato del futuro Messico e scelse come capo Hernan Cortez. Nel 1519 Cortez entra in contatto con il popolo dei Mexica, etnico di origine incerta, chiamato anche Azteca dal nome del luogo di provenienza, la misteriosa Aztlàn, “luogo bianco”.

La cultura azteca

A partire dal 1440, sulla base della precedente triplice alleanza fra i centri di Tenochtitlàn, Texcoco e Tlacopàn, Montezuma I era riuscito a istituire un impero che arriverà poco dopo fino al Pacifico nei pressi della regione di Acapulco. Sotto il suo regno il potere si centralizza attraverso la codificazione normativa (numerose leggi vengono emanate da Montezuma, dirette in particolare contro la nobiltà), la riforma dell’apparato giudiziario, il rafforzamento del controllo militare del territorio, la riorganizzazione del fisco (che si serve di registrazioni scritte nel triplice sistema pittografico, ideografico e fonetico-sillabico) e l’irrigidimento della gerarchia sociale: a partire da quest’epoca un complesso cerimoniale scandisce l’esistenza del sovrano e dei cortigiani; il re e la sua corte godono di privilegi straordinari che li distinguono dall’aristocrazia; il rango di una persona è riconoscibile dal lusso e dalla raffinatezza degli abiti e degli ornamenti. Mentre il popolo deve accontentarsi di perline di ossidiana e pelli di coniglio, i guerrieri che danno prova di valore sono gli unici individui che possono usufruire di una limitata mobilità sociale.

Uno degli aspetti che più colpisce gli spagnoli è costituito dai sacrifici umani officiati in cerimonie grandiose in cui sono i nemici di guerra a svolgere il ruolo di vittime: durante la cerimonia del trionfo successiva a una vittoria militare colonne infinite di prigionieri preparati alla morte partono dai quattro punti cardinali per convergere alla capitale Tenochtitlàn. Il sovrano dà personalmente il via ai sacrifici, circondato dai più alti dignitari di corte, presso il Templo Mayor di Tenochtitlàn: quando questi personaggi sono stanchi di squarciare petti e di strappare i cuori palpitanti delle vittime, decine di sacerdoti danno loro il cambio. Per certi aspetti è uno spettacolo grandioso: nei templi tutti adorni di fiori si susseguono canti e danze senza interruzione; sulle pareti e sulle gradinate delle piramidi scorrono fiumi di sangue. Un secolo dopo la conquista spagnola, il cronista azteco Alva Ixtlilxochitl scriverà, riferendosi al complesso di riti sacrificali svoltisi nel 1486 per celebrare la repressione condotta dal sovrano Ahuitzotl contro la città ribelle di Tlatelolco: “Fu un massacro senza uguali nella storia”. Molteplici sono le spiegazioni per simili cerimonie, organizzate fin nei minimi particolari. La prima e la più importante è di ordine religioso e cosmico: gli dei degli Aztechi sono mortali e dunque bisogna continuamente nutrirli, rigenerare il cosmo e aiutare il sole nella sua corsa quotidiana, tutto al fine di evitare, o meglio ritardare, la scomparsa di un mondo condannato all’annientamento. Bisogna poi ottenere il ritorno regolare delle piogge e la fertilità dei terreni. Inoltre, il sacrificio umano costituisce uno strumento di governo, il sostegno di una politica fondata sul terrore, in virtù del quale è lecito eliminare fisicamente i vinti più pericolosi. Si potrebbe dire che le società messicane, in maniera simile a quella romana, sono fondate sullo spettacolo: il potere si esprime e si esibisce non tanto attraverso l’apparato di una burocrazia complessa e ramificata, quanto con un gigantesco dispiegamento della potenza inesorabile dei vincitori. Aspetto religioso e politico concorrono dunque a spettacolarizzare il sacrificio, i cui officianti appaiono con i paramenti della divinità: anzi, i sacerdoti sono gli dei, considerato che questi ultimi entrano nella loro pelle; uomo e divinità si fondono in un singolo individuo per consentire alla potenza divina di manifestarsi davanti agli occhi incantati delle folle.

Le forme della conquista

Quando Cortez arriva in territorio azteca, a governare questo regno che si fonda sul triplice strumento di guerre, tributi e sacrifici, si trova Montezuma II, bisnipote del primo Montezuma, che si impegna in un pericoloso processo di ulteriore assolutizzazione del potere. Quando nell’aprile del 1519 Montezuma viene informato dello sbarco spagnolo esita e continuerà a esitare a lungo: non sa se accogliere Cortez come un dio (il dio sacerdote Quetzalcoatl, il Serpente Piumato di Tula, antica città Tolteca conquistata dagli Aztechi, che torna per riappropriarsi del suo regno) oppure come il peggior nemico. Gli spagnoli, pochi di numero, iniziano a prendere contatti con il territorio e a intenderne le caratteristiche, sfruttando le rivalità interne e lo spirito di rivolta delle città e delle etnie sottomesse agli Aztechi di Tenochtitlàn. Il giorno 8 novembre 1519 Montezuma decide di incontrare i nuovi arrivati. Questa è l’impressione che Tenochtitlàn imprime su uno di loro, Bernal Diaz del Castillo: “Contemplando tali meravigliose visioni non sapevamo che dire e dubitavamo della realtà di ciò che vedevamo dinanzi a noi …edifici e templi smisurati sorgevano dall’acqua, tutti fatti di pietra … di fronte a noi stava la grande città del Messico e noi non eravamo in tutto più di quattrocento soldati …ripeto che stetti a lungo in ammirazione, convinto che non si sarebbe più scoperta una terra più bella. E dire che di tutto questo non resta ormai pietra su pietra: tutto è andato distrutto, tutto perduto”. Montezuma si consegna volontariamente agli Spagnoli: nessuna fonte spiega se per timore verso Cortez-dio o perché non si sentisse sicuro dell’appoggio dell’aristocrazia guerriera e delle altre città dell’impero per l’eventuale guerra di difesa. Viene tenuto sotto custodia dagli Spagnoli che si insediano nel suo palazzo e muore misteriosamente poco tempo dopo (ucciso da uno dei suoi? O più probabilmente giustiziato dagli Spagnoli che eliminano così il vertice del potere, la guida politica e spirituale del popolo che si accingono a sottomettere?).

Nell’organizzare il sistema di assoggettazione e controllo del nuovo territorio, trasformato nel Vicereame della Nuova Spagna con capitale a Città del Messico, gli Spagnoli si servono strumentalmente della Chiesa che interviene a svellere sistematicamente i pilastri della società azteca e a intaccare i privilegi che avevano distinto l’aristocrazia dal popolo e legittimato la sua autorità: chiude le scuole in cui da sempre i figli della nobiltà azteca apprendevano le antiche tradizioni; proibisce i sacrifici umani con il connesso cannibalismo rituale; abolisce la poligamia, fino a quel momento il sistema principe utilizzato per rafforzare i legami fra le famiglie nobili. Inoltre, gli evangelizzatori non esitano a impadronirsi dei figli della nobiltà per cristianizzarli e servirsene contro i genitori: consapevoli della resistenza opposta dagli adulti, i religiosi si impegnano particolarmente nella formazione dei giovani, li catechizzano e insegnano loro l’alfabeto occidentale per farne, dopo la conversione, agenti segreti e spie. Un elemento naturale interviene a destabilizzare la società indigena che, a partire dal XVI secolo, inizia a essere decimata da epidemie importate dagli europei: la natura delle malattie non è ben nota, si tratta probabilmente di varietà di tifo e vaiolo contro cui nulla può la limitatezza dei mezzi terapeutici coadiuvata dall’assenza di immunità acquisite. Sterminati dagli eserciti spagnoli, convertiti a forza dalla Chiesa, falcidiati dalle malattie, i sopravvissuti subiscono un ulteriore attacco ad opera del movimento riformatore illuminista nel XVIII secolo, quando lo Stato interviene imponendo dappertutto maestri di scuola e l’insegnamento della lingua spagnola. Contestualmente vengono abolite le manifestazioni più vistose della cultura indigena: le sacre rappresentazioni, le processioni e le feste. Anche l’uguaglianza di diritti civili e politici fra indios e spagnoli, decisa dalla Spagna e confermata dal Messico indipendente dal 1821, sotto l’apparenza della giustizia maschera il disconoscimento della specificità della cultura indigena. A Ciudad de Mexico, ingoiati dalla metropoli moderna, scompaiono i quartieri indigeni, lontani discendenti della Tenochtitlàn azteca. Agli indios non resta altro che cancellare se stessi e perdersi nella massa della popolazione meticcia.

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