GIUSEPPE PARINI 1729-1799

GIUSEPPE PARINI 1729-1799


Nasce a Bosisio (oggi Bosisio Parini), in Brianza, sul lago di Pusiano in provincia di Como, ultimo di quattro figli, il 23 maggio 1729, da Francesco Maria Parino e Angela Maria Carpani (o Carpana), modesti mediatori di seta. Successivamente egli modificherà il suo cognome in Parini: la sua sarà una vita relativamente lunga, ma soprattutto operosa, condotta all’insegna di un severo rigore morale, che investirà una concezione dell’arte altrettanto severa, in un’epoca di grandi trasformazioni politiche e di straordinaria crescita della società sul piano della consapevolezza dei diritti umani: l’età dell’Illuminismo, della rivoluzione francese, dell’epopea napoleonica.

Giuseppe Parini ha rappresentato, soprattutto per la generazione successiva alla sua (quella di Manzoni e di Foscolo), un esempio di coerenza, amore sincero per la virtù, fede nell’uomo e nei princìpi di onestà e lealtà. Soprattutto è stato quasi il simbolo dell’incarnazione del concetto di arte per la vita, ossia della poesia come dono dell’artista all’umanità, per la sua crescita, per la sua educazione morale, per il progresso civile e politico.

Nel 1738, per proseguire gli studi, viene inviato a Milano presso la prozia Anna Maria Parino vedova Lattuada e senza figli, che, morendo nel 1741 all’età di novant’anni, gli lascia una piccola rendita, secondo un testamento che aveva firmato nel 1739: un materasso a scelta e la costituzione del beneficio ecclesiastico di una messa giornaliera, che gli avrebbe consentito di dedicarsi agli studi letterari, purché prendesse gli ordini sacerdotali. Arrivato a Milano, viene iscritto alle classi inferiori delle scuole di Sant’Alessandro (o Arcimbolde) allora tenute dal Barnabiti, e in quel tempo frequentate, nelle classi superiori, da Pietro Verri e Cesare Beccaria. La frequenza della scuola, risulta un po’ irregolare a causa della salute malferma e delle precarie condizioni economiche, che lo costringevano spesso a lavorare per contribuire al bilancio familiare.

Nello stesso anno viene raggiunto a Milano dai genitori, rimasti oramai privi degli altri nove figli.

Al dolore per i lutti si accompagnano però gli stenti di una vita quotidiana, operosa ma quasi priva di mezzi di sostentamento, sopportati però con animo fermo, come ci testimonia lo stesso Parini con accenni sparsi nelle poesie giovanili e in una celebre polemica che nel 1760 ha avuto con un suo maestro, il Padre Onofrio Branda, accusato di intendere la continuità della tradizione linguistica italiana in modo pedantesco e di farsi difensore di una lingua toscana priva di legami con la realtà quotidiana.. Superati gli esami di ammissione nel 1740, frequenta le scuole dei Padri Barnabiti di Sant’Alessandro (già scuole Arcimbolde) fino al 1752; ma nei primi anni il suo rendimento scolastico è piuttosto modesto (tanto da ripetere addirittura alcune classi) sia per la salute malferma che ne ha attardato lo sviluppo fisico, sia per una istruzione elementare compiuta in fretta e con mezzi fortunosi, sia infine l’istintiva antipatia per i mediocri e antiquati metodi pedagogici in uso nelle scuole ecclesiastiche del tempo. Ma a poco a poco comincia a distinguersi e a manifestare, in mezzo a compagni nobili e ricchi, fra i quali sentiva forte la sua condizione di povertà, pur sopportata con una grande coscienza di sé, una certa vivacità di temperamento e uno spiccato gusto per il bello, che gli permettono di rivelare una forte propensione per la poesia e fors’anche per la professione di educatore e di formarsi un carattere indipendente e autonomo.

Nel 1752 termina gli studi e nello stesso anno pubblica la sua prima raccolta di poesie: Alcune poesie di Ripano Eupilino (che recavano il nome dello stampatore Tomson con pubblicazione a Londra nel MDCCLII, in realtà il volumetto fu pubblicato a Milano dallo stampatore Bianchi); la raccolta, 94 componimenti tra poesie serie e piacevoli, sonetti petrarcheschi d’amore e religiosi, sonetti berneschi, capitoli ed egloghe piscatorie, è un documento abbastanza importante della prima educazione letteraria del poeta, che in questa prima prova si ispira allo stile dell’Arcadia e ai poeti cinquecenteschi. Questa prima opera gli permette di farsi conoscere presso gli intellettuali milanesi, tanto che l’anno dopo, presentato da Gian Carlo Passeroni, viene accolto in seno all’Accademia dei Trasformati, di origine cinquecentesca e rifondata nel 1743 dal Conte Giuseppe Maria Imbonati (l’Accademia durerà fino al 1768), col programma di una moderata apertura alla problematica illuministica insieme a una certa attenzione ai problemi della società, e della plebe in particolare, oltre che di una letteratura più vicina alla realtà quotidiana. Proprio in seno all’Accademia dei Trasformati partecipa all’entusiasmo che in vari campi agitavano idee di rinnovamento, come Verri e Beccaria. Da notare, infine, che Ripano è l’anagramma di Parini ed “Eupilino” si riferisce al fatto che nei pressi di Bosisio si trovava il lago di Pusiano, che in latino veniva denominato Eupilis, ora prosciugato.

Educatore presso i Serbelloni

Nel 1754 Parini viene ordinato sacerdote. Non bastandogli la modesta rendita della prozia, arrotondava i suoi magri introiti insegnando ai rampolli dei nobili milanesi: gli viene offerto, in quello stesso anno, introdotto dall’Abate Soresi, dal Duca Gabrio Serbelloni, l’incarico di precettore per i suoi figli, trovandovi ben presto la protezione della duchessa Vittoria; non è un lauto guadagno, ma quanto basta per aiutare i vecchi genitori e soprattutto la madre bisognosa di cure. Mantiene l’incarico fino al 1762, quando se ne allontana volontariamente in seguito a un contrasto con la stessa Duchessa, che aveva schiaffeggiato, in un impeto d’ira, la giovane figlia del maestro di musica Sammartino; l’episodio, drammatizzato da molti biografi, non è stato che un banale atto abbastanza comune in quei tempi, di scarsa importanza, tanto che Parini si riconcilia abbastanza presto con la Duchessa, alla quale continuerà ad essere legato ancora per molti anni da cordiale amicizia e alla quale dedicherà un’ode rimasta incompiuta: Spesso de’ malinconici sapienti. Casa Serbelloni diventa quasi un osservatorio particolare, dall’interno del quale analizzare vizi e debolezze dell’aristocrazia milanese, oltre che il luogo in cui avrebbe conosciuto importanti intellettuali del tempo, come Pietro Verri e il medico Cicognini: può osservare la vita scioperata e futile dei nobili e sentirne da vicino il contrasto coi suoi nobili ideali, che lo portano a rivedere il presente e la tradizione, a restituire all’uomo la coscienza dei suoi diritti, a combattere l’irragionevole dispotismo del secolo. Casa Serbelloni lo mette direttamente a contatto con la vita aristocratica del tempo, con le sale fastose dei palazzi, i graziosi salotti delle conversazioni intime, i lieti svaghi delle villeggiature, i costumi preziosi e raffinati, la bellezza suggestiva delle donne e il perfetto cerimoniale dei cavalieri.

Le Odi

Nel 1757 comincia a scrivere Le Odi: fino al 1795 ne scriverà in tutto diciannove. Le odi elaborano ideali propri dell’illuminismo e guardano alla società con accenti modernissimi. La vita rustica contrappone l’operosità della vita in campagna all’oziosa corruzione in cui cadono moltissimi tra coloro che vivono in città. La salubrità dell’aria (1759) interviene in quello che era un dibattito assai acceso, in quel tempo, e che riguardava l’impianto di colture quali il riso. Risalgono al 1765 L’innesto del vaiuolo, in cui sostiene l’utilità della vaccinazione, e Il bisogno in cui sostiene l’inutilità della tortura e dimostra che il crimine sempre legato alla povertà. La musica (1769) è un’accusa contro l’evirazione del fanciulli per farli diventare buoni cantanti dalla voce bianca. L’impostura (1761) e L’educazione (1764) mostrano l’attenzione del poeta ai problemi pedagogici connessi con la sua attività di insegnante e precettore. Il pericolo (1787) e Il dono (1790) rivelano un Parini sensibile al fascino femminile. Il messaggio (1793), invece, riflette una vena nostalgica: il poeta, ormai vecchio, riafferma la superiorità della vita e dell’amore sulla morte. Alla Musa (1795) celebra la poesia nella sua funzione consolatrice ed educatrice dell’uomo ai valori immortali. Ma il testamento spirituale del Parini è contenuto ne La caduta (1785), in cui illustra i “buoni consigli” di un passante che lo aiuta a rialzarsi dopo una caduta sul marciapiede sdrucciolevole. Parini ribatte che non utilizzerà mai la sua poesia per procacciarsi beni materiali e che non si umilier mai a farsi intrattenitore dei potenti per avere del denaro.

Sono anni di grande fervore, in cui alterna composizioni poetiche a saggi su argomenti d’attualità, come il Dialogo sopra la nobiltà (1757) in cui afferma l’eguaglianza fra gli uomini e denuncia gli abusi della nobiltà. Troviamo, in nuce, gli ideali che sostengono Il giorno; nel Discorso sopra la poesia (1761) chiarisce il suo concetto di arte come valore educativo, affermando che la poesia deve indurre al bene e alla virtù, senza tuttavia dimenticare le esigenze formali di armonia ed equilibrio. Negli stessi anni viene scrivendo l’opera sua più importante, Il Giorno, che nel corso degli anni, fino alla morte, subirà cambiamenti radicali sia nella struttura generale che sul piano espressivo e contenutistico.

Lasciata casa Serbelloni, trova lavoro presso il conte Imbonati nel 1763, diventando precettore del figlio Carlo, per il cui compleanno nel 1764 scriverà l’ode L’educazione. È lo stesso nobile e ricco Carlo Imbonati che nel 1792 conoscerà Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni, colla quale, dopo un breve soggiorno in Inghilterra, si stabilirà a Parigi, dove il 15 marzo 1805 morirà improvvisamente lasciandola erede di una cospicua fortuna.

Nel 1763 Parini pubblica Il Mattino e nel 1765 Il Mezzogiorno, le prime due parti del poemetto satirico Il Giorno, che potremmo definire un “poema satirico” in endecasillabi; alla luce dei suoi ideali egualitari, Giuseppe Parini si indigna dell’ozio e del degrado morale della nobiltà che, invece, dovrebbe dare esempio di integrità di costumi e solerzia. In seguito verranno composte altre due parti, Il Vespro e La Notte, che rimane incompiuta, edite postume nel 1801. Queste ultime due parti del poema, però, sottolineano la perplessità e la delusione dell’autore di fronte agli eccessi della rivoluzione francese.

Nel Giorno la voce narrante è costituita da un solerte precettore che insegna al suo “giovin signore” a lui affidato le regole dello stare al mondo. È evidente l’intento satirico dell’autore che, in taluni punti, disapprova palesemente le norme che regolano la vita oziosa e frivola dei nobili, quelle stesse norme che, con grande serietà, finge di inculcare al suo pupillo.

Il Mattino si apre con il risveglio del giovane signore. Il sole è già alto e il lavoro di artigiani e contadini è già iniziato da tempo, ma per il nobile allievo sembra che sia appena spuntata l’alba: naturale, visto che al cantar del gallo andava a dormire! Il resto della mattinata viene trascorso in una girandola di impegni: la colazione, la lezione di ballo e canto, di violino, di francese, che comunque si riducono a cicaleccio mondano. Segue una raffinata toeletta mattutina; ma il pensiero del nobile è tutto per la dama di cui è “innamorato”. Così il servo deve correre a informarsi se la “bella” ha dormito bene e se il marito non l’ha importunata. In attesa del suo ritorno, il giovin signore si abbandona alle mani del parrucchiere oppure posa per un ritratto, senza rinunciare a criticare con arroganza l’opera dell’artista. Ora il nobile allievo è pronto per uscire. Ma c’è ancora un rito da compiere: la distribuzione dei suoi oggetti personali nelle tasche dell’abito nuovo. La lente, il cannocchiale, una boccetta di profumo, un sedativo, un astuccio da toilette… tutto trova il suo posto, ma manca il tocco finale: la cipria: un vero e proprio sacro rito. Altre mattine, poi, ci sarà quello della rasatura, altre ancora il bagno, una sorta di lavacro universale!

E’ l’ora del pranzo: il signore va a casa della “sua” dama. Ne Il meriggio Parini descrive il pranzo e la conversazione che si intreccia tra una portata e l’altra. Intorno alla tavola spiccano due “personaggi”: il buongustaio, che giudica con competenza le vivande, e il vegetariano, che rammenta la crudeltà dei macellai. A questo punto la dama asciuga una lacrima, al ricordo della sua cagnolina che, giorni addietro, era stata colpita con un calcio dal sacrilego piede di un servo. E, anche se la cagnetta ha ottenuto la sua “giusta vendetta” perché lo screanzato servitore viene subito licenziato con la sua famiglia, il dispiacere e l’onta infiammano ancora il viso della signora, che ama gli animali quanto il vegetariano.

Dopo pranzo si parla di filosofia e di scienza: i convitati citano i grandi intellettuali francesi che vanno di moda, come Voltaire e Rousseau, ma recitano a memoria anche versi di Orazio e Petronio che piacciono tanto alle signore. Passati in salotto, ecco il rito del caffè e il gioco del tric-trac. Il Vespro descrive le visite di amicizia e di cortesia del giovin signore. Il primo della lista è un amico malato cui, prudentemente, lascia solo il biglietto da visita. Invece la dama vola dall’amica del cuore per conoscere i motivi dello svenimento del giorno prima ed è tutto un intrecciarsi di piccanti pettegolezzi, scanditi dall’agitarsi dei ventagli. La notte si apre con la contrapposizione tra la notte dei tempi antichi e quella dei tempi moderni: ora, dice il Parini, le strade sono piene di carrozze, di uomini e donne agghindati che vanno nelle case illuminate a giorno, per invischiarsi nel gioco o farsi inebriare dalle danze e, naturalmente, esibire le proprie elegantissime cose: tabacchiere d’oro, anelli ecc. Nei salotti, gruppi di uomini chiacchierano, altri giocano, altri intrecciano storie d’amore, mentre alcune signore posano a fare le intellettuali. È un maestoso spettacolo di vanità delle “dive” e degli “eroi”.

La sua crescente celebrità nel mondo delle lettere e della cultura milanese, oltre che nella società del tempo, spinge il conte Firmian ad affidargli innanzitutto la direzione della Gazzetta di Milano (1768) e, l’anno dopo, la cattedra di eloquenza alle Scuole Palatine, (riqualificate come Ginnasio Brera nel 1773, anno in cui, soppressa la Compagnia di Gesù, il Parini comincia a tenere la cattedra di “Princìpi generali di Belle Lettere applicate alla Belle Arti”). Il nuovo incarico gli fa cessare il lavoro di precettore in casa Imbonati. Da ultimo gli viene affidato l’incarico di Sovraintendente delle scuole pubbliche della città. Il frutto di questa attività è il trattato Dei principi fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti, una raccolta delle sue lezioni scritte nel 1773/4, uscirà postumo.

“Durante i molti anni d’insegnamento, al quale sempre attese con grande fervore e illuminata intelligenza, suscitando ammirazione e affetto tra i discepoli, il Parini venne stendendo vari scritti in prosa che videro la luce soltanto dopo la sua morte, nella edizione delle Opere curata dal Reina. Questi scritti… ci testimoniano nel Parini un assiduo e coerente sviluppo della sua poetica classicistica, non aliena dalle innovazioni, ma sempre intesa ad armonizzare le moderne esigenze, alle quali il poeta non chiudeva l’animo suo, con il rispetto, che egli sentiva vivissimo, della tradizione letteraria e linguistica. Non c’è nulla dunque, in questi scritti pariniani di teoria e di ammaestramento, proprio nulla di impetuosamente rivoluzionario e spregiudicato.”

Nel 1777 viene accolto nell’Arcadia di Roma con il nome pastorale di Darisbo Elidonio e nello stesso anno diventa membro della Società patriottica di Milano.

Prosegue intanto la sua attività poetica, che culmina nel 1791 con la pubblicazione delle Odi, la cui composizione era cominciata fin dal 1756, curata dal discepolo Agostino Gambarelli, un’edizione comunque poco gradita al poeta che ne curerà una direttamente, con l’aggiunta di quelle composte negli ultimi anni, ma che non vedrà mai la luce. Continua intanto l’elaborazione de Il Giorno, con le due ultime parti, il Vespro (tra il 1767 e il 1780), e la Notte (tra il 1780 e il 1791). L’edizione definitiva del poema non vedrà mai la luce, e le pubblicazioni in nostro possesso sono state assemblate dai critici in base alle carte del poeta in dotazione presso la Biblioteca Ambrosiana.

Sempre nel 1791, oltre all’insegnamento riceve l’incarico di sovrintendente delle Scuole pubbliche, con un compenso finalmente dignitoso che gli permette di uscire da quelle ristrettezze economiche che lo avevano sempre angustiato

Nel 1796 Napoleone, vittorioso contro gli Austriaci, entra in Milano e fonda la Repubblica Cisalpina dopo aver ceduto la Repubblica della Serenissima all’Austria con trattato di Campoformio; viene nominato membro della municipalità democratica e fa parte della commissione che si occupa dell’istruzione e della cultura, assumendo posizioni moderate e critiche e rivendicando il diritto della Lombardia all’autonomia amministrativa; la sua posizione umana e politica lo porteranno però in breve alla rimozione dal suo incarico perché risultava troppo evidente il suo dissenso nei confronti degli eccessi dei dominatori e di quanti, per opportunismo, li assecondavano.

Nell’aprile 1799 gli Austriaci rientrano in Milano, ma non subisce ritorsioni. Muore il 15 agosto 1799, circondato da amici e discepoli, due ore dopo aver dettato il sonetto Predâro i Filistei l’arca di Dio, nel quale, dall’alto della sua riconosciuta umanità e stimata saggezza, saluta sì i nuovi vincitori e padroni, ma alle parole di lode fa seguire il monito ad amministrare Milano con giustizia. Viene seppellito nel cimitero comune di Porta Comasina, oggi Porta Garibaldi, lasciando una traccia profonda nella storia della poesia italiana.