GIOVANNI VERGA

GIOVANNI VERGA


LA VITA
Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia di ricchi proprietari terrieri e di origine nobiliare.
Trascorre l’infanzia e la prima giovinezza in Sicilia e fin da allora si esercita in una attività giornalistica e compone romanzi storici sulle orme di Dumas padre.
A undici anni inizia gli studi alla scuola di Antonino Abate, letterario e patriota, e, poi, del canonico Mario Torrisi. Riceve quindi un’educazione patriottica risorgimentale sul piano politico e romantica sul piano letterario.
Viene poi avviato agli studi di legge che però interrompe quasi subito, preso dalle vicende storico politiche seguite allo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Di questa educazione sono testimonianza le prime prove di narrativa: Amore e patria e I carbonari della montagna.
Nel 1861 si arruola nella guardia nazionale di Catania svolgendo intensa attività giornalistica come fondatore e redattore di tre giornali.
Nel 1863 il periodico fiorentino “Nuova Europa” pubblica a puntate il romanzo Sulle lagune.
Dopo la morte del padre, nel 1865 si stabilsce a Firenze, dove rimane fino al 1871 frequentando l’ambiente del Dall’Ongaro che lo introduce nel mondo letterario e inizia un’amicizia strettissima e un sodalizio letterario con Luigi Capuana. Conosce scrittori e poeti e diventa autore di successo con il romanzo Una peccatrice e poi con Storia di una capinera.
Nel 1872 passa ad abitare a Milano, dove rimmarrà, salvo brevi intervalli, fino al 1893; è questo il periodo più importante della sua vita di uomo e di scrittore. Qui viene in contatto con l’ambiente letterario più vivo del tempo (nasce in quegli anni la Scapigliatura) e stringe amicizie con altri vari scrittori. Verga partecipa nei salotti e nei caffè alle discussioni e alle polemiche delle varie tendenze e incomincia a maturare, in collaborazione col Capuana e col critico Felice Cameroni, le idee nuove che approderanno ben presto alla poetica del verismo.
Dopo alcuni romanzi, in cui il proposito dell’osservazione realistica si intorbida per il sopravvento di un inquieto autobiografismo romantico nel 1874 scrive Nedda, il primo racconto d’ambiente siciliano e il primo saggio del suo nuovo orientamento artistico. Nella seconda metà degli anni Settanta la sua scrittura diventa una scrittura narrativa come “ricerca di verità”. Nel 1877 Capuana inizia una battaglia letteraria per il verismo cominciando a scrivere “Giacinta” che appunto si ispira a quella poetica.
Trovata la sua via, Verga scrive in un breve giro di anni quasi tutti i suio capolavoli: Vita dei campi (1880), i Malavoglia (1881), le Novelle Rusticane (1883), Cavalleria Rusticana (1884), il Mastro don Gesualdo (1889). In tutte queste opere domina il paesaggio siciliano e l’attenzione alla vita degli umili.
L’insuccesso non previsto de “I Malavoglia” denota la preferenza dei lettori verso il clima letterario creato dai romanzi del Fogazzaro. Pur scoraggiato Verga continua a pubblicare ed inizia anche l’attività di autore di teatro con alterne vicende di successi e di fiaschi.
Nel 1893 si ritira nella sua Catania dopo aver vinto una causa contro il musicista Mascagni per i diritti d’autore di “Cavalleria rusticana”. Vive una sorta di isolamento scontroso, molto geloso della esagerata ammirazione che i suoi concittadini dimostravano nei confronti del poeta Rapisardi.
Avverso agli intrighi che vedeva trionfare nel mondo letterario e colpito da dispiaceri e lutti famigliari, si allontana sempre più dall’arte.
Durante brevi soggiorni a Milano e a Roma, nel 1895 incontra insieme a Capuana, Zola, il maestro del Naturalismo francese.
Continua la produzione per il teatro e nel 1896 a Torino viene rappresentata La Lupa.
Si fa sempre più vivo l’interesse per le vicende politiche; sempre fedele ai suoi ideali patriottici e unitari, si oppone al movimento separatista dei “Fasci siciliani” e nel 1896 si fa sostenitore di una rivincita africana e di una incisiva politica coloniale.

Nel 1911 accoglie con entusiasmo la decisione della campagna libica e nel 1912 aderisce al partito nazionalista.
Nel 1911 riprende a lavorare alla Duchessa di Leyra, il terzo romanzo del ciclo dei vinti ma scrive un solo capitolo che sarà pubblicato postumo.
La sua ultima opera Dal tuo al mio è un contrasto tra gli interessi dei padroni e la miseria degli operai.
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale, le sue opere perdono interesse, ma dopo la guerra grazie ad un saggio di Luigi Russo, il riconoscimento dei suoi meriti diventa sempre più unanime e l’arte verghiana inizia ad essere apprezzata proprio per quello che ha di più vivo e più originale.
Nel 1920 viene festeggiato solennemente a Roma e a Catania in occasione del suo ottantesimo compleanno, occasione in cui viene nominato senatore.
Muore a Catania, colpito da una paralisi cerebrale, il 27 gennaio 1922.


L’ATTIVITA’ LETTERARIA
L’attivita letteraria di Verga può essere divisa in tre fasi:la narrativa storico-patriottica degli esordi
i romanzi mondani
la produzione verista
In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come si nota leggendo i romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861)è un romanzo storico, un genere che ormai stava passando di moda.
Fondamentale, nel cambio dei suoi interessi fu l’abbandono dell’isola per Firenze. Introdotto dal Dall’Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio borghese con un interesse particolare per le figure femminili e le vicende sentimentali, come appare dai romanzi di questo secondo periodo “mondano”: Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875), Storia di una capinera (1871). Quest’ultimo in particolare riscosse un grande successo.
Quando si trasferì a Milano, allora capitale dell’editoria, la frequentazione degli scapigliati e l’amicizia con Capuana, scrittore e critico letterario teorico del verismo, ebbe inizio la sua svolta letteraria.

Svolta che si può datare 1874, anno in cui fu pubblicata la novella Nedda , definita dall’autore “bozzetto siciliano”.
L’ambiente non è più urbano ma rurale, la storia non è ambientata al nord ma in Sicilia, i protagonisti sono umili contadini. Anche qui la protagonista è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale.
Da questo momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi.
I due volumi di racconti Vita dei Campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori del Verga, testi divenuti poi molto celebri come La Lupa, La roba, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana.


I ROMANZI DELLA MATURITA
I Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità.
Grazie ad una sapiente scrittura che sa riprodurre alcune caratteristiche del dialetto e che si riesce ad adattare ai diversi punti di vista dei personaggi, il romanzo sa creare l’illusione che a parlare sia il mondo raccontato, rinunciando alla presenza dell’autore.
Mastro don Gesualdo (1889) invece, mette in risalto la storia del protagonista che dà il titolo al romanzo. Gesualdo, di origini modeste, riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella la sua modesta estrazione sociale. Persino la figlia si vergogna di lui. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui.
Anche qui l’ambiente è siciliano e la lingua rispecchia in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo.
Fu un insuccesso inatteso e Verga, amareggiato si ritirò nella sua Catania abbandonando la scrittura. Il progettato “ciclo dei vinti”, cioè coloro che nella lotta per l’esistenza sono destinati ad essere sconfitti, che prevedeva altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso), restò così incompiuto.


LA POETICA
Per riprodurre la società nel modo più “vero”, Verga la osserva scrupolosamente, studiando l’ambiente fisico e il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni.Inoltre usa uno stile impersonale, in modo che il lettore si trovi “faccia a faccia con il mondo nudo e schietto, senza stare a cercarlo attraverso la lente dello scrittore”.
Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l’impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla.
Per ottenere l’impersonalità, Verga adotta il punto di vista della gente evitando di esprimere il suo giudizio personale e i suoi sentimenti.
Per rendere ancora più vera ed impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire, di proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della parlata del popolo. Non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta Italia.
Verga vuole indagare nel misterioso processo dei sentimenti umani in cui la mano dell’artista rimarrà invisibile e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé. Vuole rappresentare la lotta per la vita ripercorrendo la scala sociale, dai livelli più bassi a quelli più elevati.
L’autore utilizza anche la tecnica del discorso indiretto libero tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, per far risuonare i modi tipici del linguaggio popolano e per identificarsi con il pensiero della gente del posto.
Un modo di raccontare i fatti secondo cui quello che è normale appare strano e viceversa.


IL VERISMO
Il Verismo fu un movimento letterario ed artistico, sviluppatosi sul finire dell’Ottocento, che propugnava l’estrema aderenza alla verità.
Nella letteratura, si sviluppò tra il 1875 e il 1890, e pur richiamandosi alla tendenza realistica del romanticismo che faceva capo al Manzoni, si ricollegava alle teorie positivistiche e al modello del naturalismo francese.
In Italia, prese forma nell’ambiente della scapigliatura, ambiente molto fervido di stimoli culturali.
Mentre i realisti freancesi avevano alle spalle una società matura e consapevole, i nostri veristi si trovarono dinnanzi a masse culturalmente sprovvedute ed incapaci di recepire il messaggio che veniva loro rivolto.
Per questo motivo nasce la condizione di isolamento dello scrittore verista che assume un atteggiamento più contemplativo che attivo e rivolge la sua attenzione alla sofferenza delle plebi contadine ma non riesce a sottrarsi al paternalismo né ad indicare concrete possibilità di riscatto.
Teorizzato da Capuana, il verismo ebbe in Sicilia il suo massimo rappresentante in Verga, mentre la remota civiltà racchiusa nel paesaggio sardo viene evocata con un’arte sospesa tra verismo e decadentismo da Grazia Deledda.
Dopo aver nutrito la formazione di Pirandello, il verismo ha trovato una rinnovata fortuna nel secondo dopoguerra, in coincidenza con la fioritura del neorealismo.
La nascita del teatro verista, che puntava sulla oggettività della rappresentazione, risale al 1884, con la rappresentazione della Cavalleria Rusticana del Verga.
Nelle arti figurative il termine verismo indica il movimento di ispirazione al vero, di superamento degli ideali storico-eroici del Romanticismo, di scelta di soggetti umili e quotidiani. Fiorirono una pittura e una scultura con temi attinenti al costume e alla sociologia, sensibili più a problemi di contenuto che di stile. Spesso però il verismo cadde in una pura imitazione della realtà e nella retorica.
Nella musica il termine verismo si applica ad una fase della storia del melodramma, tra Ottocento e Novecento, illustrata da Puccini, Mascagni e Leoncavallo. Il prologo dei Pagliacci di Leoncavallo è da considerarsi una sorta di manifesto del movimento in Italia.

Nel cinema, il periodo maggiormente influenzato da questa tendenza fu il decennio francese prima della seconda guerra mondiale.