GIOVANNI VERGA VITA

GIOVANNI VERGA VITA

GIOVANNI VERGA VITA


Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia di origine nobile, in condizioni di discreta agiatezza. Il nonno, di idee liberali, aveva partecipato da protagonista ai primi moti carbonari (negli anni venti dell’Ottocento); egli stesso, da ragazzino, aveva respirato i fermenti rivoluzionari del ’48. Il clima familiare tranquillo, il carattere accondiscendete e aperto dei genitori, l’assenza di preoccupazioni economiche garantiscono a Verga un’infanzia serena, caratterizzata dai giochi con i coetanei e con i fratelli, ma anche dalla precoce manifestazione della vocazione letteraria. Verga legge con avidità tutto ciò che trova nella biblioteca di famiglia, ed è favorito dal fatto di avere come precettore personale uno dei pochi insegnanti laici (di scuola pubblica non se ne parlava ancora) disponibili:Antonino Abate, personaggio di grande cultura e grande umanità, fervente repubblicano. Da questa formazione nasce la prima prova letteraria di Verga (ancora quindicenne), rimasta inedita: un romanzo storico avventuroso, di ambientazione risorgimentale.

[La partecipazione ai moti risorgimentali] Allo scoppio dei tumulti, dopo lo sbarco garibaldino in Sicilia, Verga si arruola nella Guardia Nazionale, un corpo volontario guidato dai moderati, spesso in aperto contrasto con le truppe garibaldine, non di rado utilizzato per reprimere con la forza gli sparsi tentativi di sollevazione popolare. Dopo quattro anni di servizio militare, deluso dai compiti sempre più chiaramente polizieschi assegnati alla Guardia, Verga decide di dimettersi; allo stesso tempo, sceglie di abbandonare gli studi giuridici alla facoltà di legge di Catania, presso la quale si era iscritto pur senza provare alcuna propensione. Ormai il suo destino è segnato e, dopo aver ottenuto l’approvazione paterna, si dedica a tempo pieno all’attività letteraria: scrive nel giro di pochi anni altri due romanzi e comincia a collaborare con giornali e riviste locali. Ben presto però l’ambiente provinciale siciliano gli appare asfittico e paralizzante; come molti altri giovani siciliani di belle speranze, decide di tentare l’avventura sul Continente.

[Il soggiorno fiorentino] Nel 1869, dopo alcuni anni di viaggi frequenti e di periodi sempre più lunghi di permanenza, Verga si trasferisce a Firenze. All’epoca la città sta attraversando una straordinaria trasformazione: nel giro di un brevissimo lasso di tempo, la vecchia città granducale diventa la capitale del regno italiano appena nato, vede crescere a dismisura il suo giro d’affari, acquista una posizione di privilegio nella vita culturale e letteraria della nuova Italia. Nei primi tempi Verga, per quanto sostenuto dall’eleganza e dal fascino naturale della sua persona, si muove con timore, sempre preoccupato di fare brutta figura e di rivelare la sua formazione ‘provinciale’. Comincia a frequentare l’ambiente letterario fiorentino, segretamente animato da una tenace ambizione: farsi conoscere e apprezzare, raggiungere il vero e duraturo successo. L’insoddisfazione per i risultati raggiunti e la speranza di trovare condizioni più favorevoli lo spingono nel 1872 a un nuovo trasferimento:  Milano.

Gli anni milanesi e la scoperta del naturalismo

 [Il trasferimento a Milano e la ‘conversione’ al verismo] Nella nuova città Verga arriva sotto la protezione di Salvatore Farina, all’epoca romanziere alla moda e di gran successo, di cui in seguito diventerà amico e confidente fedele. Grazie all’appoggio di Farina, entra ben presto in contatto con un ambiente culturale molto più vivace e variegato di quello fiorentino: frequenta i cosiddetti ‘scapigliati’ (vedi pag. xxx), ma anche il raffinatissimo e aristocratico salotto della contessa Maffei; si interessa di musica, teatro e pittura. Soprattutto grazie al sodalizio con l’amico Luigi Capuana (anche lui trasferitosi di recente a Milano), si avvicina al positivismo e al naturalismo francese, assimilandone i principi e i modelli narrativi. L’evento decisivo è la lettura di Madame Bovary di Flaubert, testimoniata in una lettera a Capuana, del 1874: dalla suggestione dell’opera deriva quella che è stata definita una vera e propria ‘conversione’ al verismo.

 [Il ciclo dei vinti] Nasce così il progetto di un ciclo unitario di romanzi (sull’esempio di Zola: cfr cap.xxx), presentato per la prima volta in una lettera del 1878: «Ho in mente un lavoro che mi sembra bello e grande. Una specie di fantasmagoria della lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro ed all’artista ed assume tutte le forme, dall’ambizione alla avidità di guadagno, e si presta a mille rappresentazioni del gran grottesco umano, lotta provvidenziale che guida l’umanità attraverso tutti gli appetiti, alti e bassi, alle conquiste della verità». Per quanto rallentato dal dolore per la scomparsa della madre e dai frequenti viaggi a Catania, il progetto procede e si concretizza nel 1881 con la pubblicazione dei Malavoglia, preceduti dalla prima raccolta di novelle ‘veriste’, Vita dei campi. Ma, nonostante l’accoglienza calorosa di critici e amici, il romanzo rimane pressoché sconosciuto, e non ottiene il successo di pubblico sperato.

 [La prosecuzione del ciclo dei vinti] Deluso dal mancato successo (e piccato dal contemporaneo, straordinario primato, raggiunto in un breve lasso di tempo dal più giovane d’Annunzio), Verga decide di sospendere momentaneamente il ciclo dei vinti e si dedica a un nuovo romanzo, Il marito di Elena (cfr. capitolo xxx), con il quale torna alla tematica sentimentale, senza però risolvere le difficoltà riscontrate nei romanzi giovanili; maggiore successo ottengono invece le prime prove teatrali, fra le quali spicca la Cavalleria rusticana, che diverrà celebre per l’adattamento musicale del maestro Pietro Mascagni (e rappresenterà per l’autore una considerevole fonte di sostentamento, in un periodo non particolarmente florido). Nel frattempo, Verga lavora al secondo romanzo del ciclo dei vinti, Il mastro-don Gesualdo, che viene pubblicato a puntate nel 1888, con esito analogo a quello dei Malavoglia: molte recensioni favorevoli e scarso successo di pubblico.

[Le relazioni sentimentali] Convinto assertore della negatività dei legami coniugali, Verga continua a vivere da solo, senza impegnarsi in alcuna relazione sentimentale stabile, dedicandosi in maniera esclusiva al lavoro letterario. Ancora giovanissimo, era rimasto  affascinato da Giselda Fojanesi, infelicemente sposata con Mario Rapisardi, all’epoca intellettuale catanese di spicco, possessivo e gelosissimo. La relazione tra i due era andata avanti  per anni nella massima segretezza, tra i sospetti e le sfuriate del marito; la casuale scoperta di una lettera del Verga fa a un certo punto precipitare la situazione: Giselda viene scacciata di casa dal marito e decide di trasferirsi a Firenze, dove spesso Verga la raggiunge, anche se nel giro di pochi anni la relazione diventa  una tranquilla amicizia. Successiva è la relazione con la contessa Dina di Soredolo, più giovane di lui di quasi vent’anni, che durerà fino alla vecchiaia, anche se Verga si rifiuterà ripetutamente di sancire l’unione attraverso il matrimonio.

 Una gloria tardiva

[L’abbandono della letteratura] Ma la delusione per gli insuccessi va prendendo il sopravvento: dopo anni di dedizione incondizionata all’attività letteraria, Verga si sente incompreso e isolato; sempre più spesso cerca rifugio nella sua città natia, Catania, dove risiede pressoché stabilmente, pur tra continui viaggi a Roma, Firenze e Milano, dal 1893. A poco più di cinquant’anni, i sogni di gloria letteraria si sono infranti definitivamente, e la grande stagione creativa si è ormai chiusa. A parte alcune novelle e alcuni copioni per il teatro, Verga scrive poco: il ciclo dei vinti rimane incompiuto, gli ultimi romanzi solo abbozzati. Parallela alla delusione letteraria procede quella politica: il disgusto per la corruzione e gli scandali della vita parlamentare italiana lo spingono ad avvicinarsi alle posizioni politiche della destra e a sostenere prima il governo autoritario di Francesco Crispi, poi la partecipazione italiana al primo conflitto mondiale.

[«Un uomo finito»] Amareggiato e disilluso, Verga abbandona completamente l’attività di scrittore (facendo mostra di sprezzante disinteresse per qualsiasi questione letteraria) e negli ultimi vent’anni della sua vita si dedica all’amministrazione del patrimonio residuo, sfinendosi in una serie di minute questioni giudiziarie. A settant’anni si sente un uomo finito, e così scrive all’immancabile Dina: «Sono qui, a domicilio coatto, malgrado il caldo, i malanni e tutto il resto. Non ho più la salute, né la gioventù, né denari. Cosa volete che faccia e dica? Se vi scrivo queste cose, a voi, la sola, dovete comprendere e scusare, senza accusarmi d’altri torti, né immaginarne altri a voi. Bruciate queste righe che mi bruciano la penna, se pensate ancora a me come io penso a voi, e dite solo: è un uomo finito, ecco tutto». Annoiato dalle minute beghe quotidiane, infastidito persino dall’interessamento degli amici d’un tempo (il Capuana, in primo luogo), Verga sembra inseguire solo la tranquillità della solitudine e dell’oblio.

[Una riscoperta tardiva] Eppure, proprio negli ultimi anni di vita dello scrittore la sua opera comincia a essere riscoperta e considerata nel suo effettivo valore (divenendo oggetto di attenzione critica, nonché modello e fonte d’ispirazione per le nuove generazioni). Il successo vanamente inseguito in gioventù arriva infine, inaspettato e tardivo: in occasione dell’ottantesimo compleanno, Verga viene celebrato ‘ufficialmente’ dal conterraneo Pirandello, che lo indica come ineguagliabile maestro; quasi contemporaneamente, gli viene notificata la nomina a senatore. La gloria ‘postuma’ sembra però non toccarlo più di tanto, né lo spinge a modificare le abitudini acquisite. Proprio al rientro da una delle consuete passeggiate al circolo locale, la sera del 24 gennaio del 1922, Verga è colpito da un ictus, e muore tre giorni dopo, senza riprendere conoscenza.

 
 

Ricorda le date:
2 settembre 1840: Giovanni Verga nasce a Catania
1869: si trasferisce a Firenze, scegliendo di dedicarsi esclusivamente all’attività letteraria
1872: si trasferisce da Firenze a Milano.
1881: pubblicazione dei Malavoglia
1888: pubblicazione di Mastro-don Gesualdo
1893: ritorna a Catania
14 gennaio 1922: muore a Catania
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