GIOVANNI PASCOLI IL FANCIULLINO

GIOVANNI PASCOLI IL FANCIULLINO


Il Fancilullino è uno scritto teorico articolato in 20 capitoli , la cui composizione si svolge nell’arco di un decennio. Pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista “Il Marzocco”, compare in edizione definitiva nel 1907 all’interno del volume “Pensieri e discorsi”. Il saggio costituisce la massima espressione della sua riflessione teorica sulla poesia; Il fanciullino si presenta come una lunga e dettagliata esposizione del programma poetico dell’autore, in cui sviluppa il concetto prerazionale e intuitivo della poesia.

LA POETICA DEL IL FANCIULLINO

L’idea centrale della riflessione teorica è che il poeta è il solo privilegiato che riesce a dar voce al “fanciullo” – simbolo dell’irrazionale – che rimane nascosto in ognuno di noi; la poetica del fanciullino si collega al concetto di poesia intesa come “meraviglia”: come agli occhi puri e innocenti di un fanciullo il mondo appare meraviglioso e stupefacente anche nei suoi aspetti più comuni e banali, così il poeta deve saper cogliere LO STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO, scavare nelle sensazioni fino ad isolarne tratti che sfuggono al senso comune ed esprimere quei tratti a parole, quasi come un novello Adamo che “mette il nome a tutto ciò che vede e sente”. Ma il fanciullo che è in noi è normalmente soffocato dalle esigenze della vita; esso è invece rimasto in vita nel poeta e parla e si esprime nei suoi versi. Il compito del poeta consiste nel comunicare il senso di stupore che nasce dalla conoscenza nuova e sempre diversa che hanno della realtà circostante coloro i quali possiedono la particolare facoltà di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma non è percepito dalla maggior parte degli individui.
il Pascoli teorizza la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo, – la poetica del Fanciullino- all’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio elabora il mito del «superuomo. Questi i punti principali della poetica pascoliana:


NATURA IRRAZIONALE E INTUITIVA DELLA POESIA

Il poeta è quel fanciullino presente in un cantuccio dell’anima di ognuno di noi, un fanciullino che rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, anche quando nell’età più matura siamo distratti e impegnati in attività pratiche. Il fanciullino che è in ciascuno di noi arriva alla verità non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, con aurorale meraviglia, come fosse la prima volta: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporti nell’abisso della verità. Anche la poesia, per Pascoli, deve essere spontanea e intuitiva, come intuitivo è il modo di conoscere e di giudicare dei fanciulli. C’è in Pascoli, dunque, l’idea della poesia “pura”, genuina espressione del sentimento, immune da interferenze intellettualistiche e da ogni finalità pratica.
La poesia tradizionale secondo Pascoli non sa di guazza e d’erba fresca: essa non ha la spontaneità e lo stupore della percezione fanciullesca, sovraccarica com’è di raffinatezza letteraria, di schemi retorici. La poesia, inoltre, deve essere pura e istintiva perché il fanciullo non s’intende di problemi politici o morali, né di lotte sindacali e di ideologie; una poesia che s’interessa programmaticamente di questi problemi è poesia applicata e si risolve in propaganda o retorica.


POTERE ANALOGICO E SUGGESTIVO DELLA POESIA

Se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, per folgorazioni intuitive, la poesia allora deve affidarsi all’intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcuno schema mentale, culturale, storico. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; adattano il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario; impiccioliscono per poter vedere, ingrandiscono per poter ammirare, giungendo, immediatamente e intuitivamente, quasi per suggestione, al cuore delle cose, al mistero che palpita segreto in ogni aspetto della vita.


POESIA COME SCOPERTA e CONOSCENZA

VALORE GNOSEOLOGICO DELLA POESIA. La poesia non è invenzione, ma conoscenza e scoperta : scoperta di una realtà ultrasensibile che solo che solo il poeta , grazie alla sua particolare sensibilità di “fanciullo”, sa cogliere e decifrare (A.Rimbaud, Lettera del veggente). Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente, e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima. La poesia ci mette in comunicazione immediata con il mistero che è la realtà vera dell’essere, essa è un mistico contatto con l’anima delle cose, è la forma suprema di conoscenza.


IL SIMBOLISMO. Il fanciullo-poeta non riesce a cogliere i rapporti logici di causa ed effetto tra le cose, a fissarle in un insieme o sistema coerente. Gli oggetti vengono piuttosto percepiti in modo isolato e svincolato dal contesto, scatenando così l’immaginazione del poeta che li carica di significati nuovi, antichi ricordi o esperienze del proprio universo immaginario, e ne fa un simbolo. Ecco allora che l’”aratro dimenticato” in mezzo al campo diventa il corrispettivo di una vita solitaria, di uno stato d’animo pervaso di malinconia e di tristezza. L’«albero spoglio e contorto» diventa simbolo dell’angoscia dell’uomo; il «nido vuoto» simbolo della casa vuota delle presenze familiari; i «fiori» simbolo dell’inquietudine e del peccato, della incomunicabilità dell’esistenza umana, gli annunciatori della morte. Tutta la poesia pascoliana è intrisa di simboli, perché la realtà che essa rappresenta è il mistero insondabile che circonda la vita degli esseri viventi e del cosmo. Il poeta è teso ad esprimere i palpiti arcani, le rivelazioni delle cose, le illuminazioni dell’ignoto. Il simbolismo pascoliano – e in generale tutta la sua sensibilità decadente- come rileverà anche successivamente Eugenio Montale, pur avvicinandosi a quello europeo, resta ancora un atteggiamento ristretto provinciale, più istintivo che consapevole e programmatico, perché modesti furono in verità i contatti del poeta con la cultura europea, ridotte le sollecitazioni esterne. (Il simbolismo pascoliano non raggiunge la profonda coscienza, la medesima tensione visionaria, l’agonismo conoscitivo del Simbolismo francese).
LE UMILI COSE. Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri, o avere il fascino dell’antico e dell’esotico, quel fascino che tanto ammalia i poeti del secondo Ottocento francese. Per il poeta, come per il fanciullo, sono degne di canto anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più modeste, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre. La poesia del Pascoli canta l’umile fatica delle lavandare ,la famiglia raccolta attorno alla tavola, i frulli d’uccelli, lo stormire dei cipressi, il lontano cantare di campane, il tuono, il lampo. La tematica, delle piccole cose è legata all’universo contadino, un mondo semplice e schietto intriso di sacralità e di arcana saggezza, da cui il Pascoli proviene e al quale sempre rimane fedele.


FUNZIONE CONSOLATRICE DELLA POESIA

La poesia, oltre a rappresentare uno strumento di conoscenza della realtà ultrasensibile, svolge una suprema funzione civile e morale: Il poeta, se e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano. E’ la poesia che persuade l’uomo ad accontentarsi del poco e del suo stato, perché pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, quello di crescere socialmente. La poesia, dunque, invita alla fratellanza contro la comune infelicità, e non alla lotta di classe che divide; invita alla conciliazione delle contraddizioni, ad una comunione degli uomini nella rassegnazione per una impossibile felicità. Ma tale rassegnazione, è evidente, lascia regressivamente il mondo com’è, con le sue disuguaglianze, le sue miserie, le sue sopraffazioni.