GIOVANNI FIDANZA BONAVENTURA

GIOVANNI FIDANZA

GIOVANNI FIDANZA


Giovanni Fidanza (1221-1274), chiamato poi Bonaventura da San Francesco, nacque a Bagnoreggio, presso Viterbo, e fu uno dei maggiori esponenti della cosiddetta scuola francescana. Studiò a Parigi e dove poi insegnò per diversi anni teologia. Assunse successivamente la carica di generale dell’ordine francescano e spese gli ultimi anni nella preparazione del concilio di Lione (1274) nel tentativo di promuovere l’unione con le Chiese orientali.


Giovanni Fidanza nacque a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218. Bambino fu guarito da san Francesco, che avrebbe esclamato: « Oh bona ventura ». Gli rimase per nome ed egli fu davvero una «buona ventura» per la Chiesa. Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Insegnò teologia all’università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola. Nel 1257 venne eletto generale dell’Ordine francescano, carica che mantenne per diciassette anni con impegno al punto da essere definito secondo fondatore dell’Ordine. Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco. Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274. Martirologio Romano: Memoria della deposizione di san Bonaventura, vescovo di Albano e dottore della Chiesa, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa. Resse con saggezza nello spirito di san Francesco l’Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale. Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà. Mentre si adoperava egregiamente per il II Concilio Ecumenico di Lione, meritò di giungere alla visione beata di Dio. 

Quale pienezza di fede, di pietà, di lavoro, di azione nella vita dei santi! San Bonaventura ne è un esempio notevole. La sua vita religiosa, sacerdotale, episcopale, in una atmosfera di lavoro di serenità, di calda e dolce pietà, gli è valso da parte dal papa Sisto IV il titolo di “Dottore Serafico”. San Bonaventura si chiamava Giovanni di Fidanza. Nacque a Civita di Bagnoregio presso Viterbo nel 1217. Egli stesso narra che da bambino si ammalò di un morbo che lo stava conducendo alla morte, ma poi fu risanato da san Francesco in persona il quale, facendo su di lui un segno di Croce, pronunciò queste parole: “ Bona ventura”. Fu guarito e da allora fu chiamato Bonaventura”. Entrò nell’ordine francescano e compì gli studi a Parigi, dove iniziò anche ad insegnare. Una delle caratteristiche più significative della cultura medievale fu quella di non separare il naturale dal soprannaturale, in una prospettiva che non fosse solo di semplice riconoscimento intellettuale del soprannaturale, ma che si trasformasse inevitabilmente in consapevolezza dell’esserci di Dio in tutto. San Bonaventura afferma chiaramente che Dio è l’essere assoluto, eterno, provvidente e …illuminante perché la vita, la sapienza, la bontà di Dio sono la luce stessa di Dio impressa nelle cose al momento della creazione. Con questa teoria teologica di san Bonaventura si riconosce uno stretto legame tra Creatore e realtà creata, legame che però non scivola nel panteismo, cioè nella identificazione tra Creatore e creato. Infatti san Bonaventura sceglie questa teoria perché convinto che solo così si possa spiegare il continuo intervento provvidente di Dio nel creato. Tutto l’universo- dice- è manifestazione evidente dell’esistenza di Dio. Ma oltre questa evidenza di carattere esterno, egli insegna che Dio è presente in ciascun essere, specialmente nell’anima umana. San Bonaventura ritiene che la conoscenza fine a se stessa non vale a nulla, questa ha senso se fa vivere meglio, se fa raggiungere la felicità che è unicamente Dio e in Dio. Ecco spiegato il perché Bonaventura non distingue tra conoscenza, vita morale e ascetica e ne parla come di un unico viaggio dell’anima, un itinerario della mente verso Dio che è formato da sei gradi fino a raggiungere l’unione con Dio senza perdere la propria individualità. In tal modo egli evita qualsiasi tipo di spiritualismo astratto. L’uomo arriva a Dio partendo dalle sue cose della sua vita quotidiana, ma non solo nel senso della conoscenza filosofica, ma anche nel senso della conoscenza come semplice studio delle cose. Tutto se conosciuto bene, concorre al raggiungimento di Dio; perché la realtà è una sorta di sinfonia di Dio. Il primo grado dice infatti che per mezzo dei sensi esterni l’anima apprende la bellezza del creato e tende al Creatore. Teologo dogmatico, mistico, superiore generale del suo Ordine dei Frati Minori, Vescovo Cardinale, egli non è vissuto che 53 anni ed ha lasciato dietro di sé come un immenso solco la soavità della sua anima penetrata dalla dottrina e nello stesso tempo della tenera pietà in una grande santità. Egli scrisse una vita di San Francesco d’Assisi, cosa che faceva dire a San Tommaso d’Aquino : è l’opera di un santo su di un altro santo. Le anime coscienziose della loro perfezione, della loro santificazione quotidiana hanno interesse e profitto a frequentare, per quanto possono, dei santi del livello spirituale d’un San Bonaventura. Egli aveva una grande intelligenza, ma specialmente una grande potenza d’amore semplice ed affettuosa per Dio, per Gesù e per la Vergine, un senso d’equilibrio morale che lo distinse in mezzo ai suoi Frati così che più tardi il Pontefice lo elevò agli incarichi ed agli onori più importanti nella Chiesa. Le sensibilità moderne hanno un grande bisogno d’orientamento semplice e forte verso un autentico cristianesimo, verso una spiritualità completa, fuori dalle mode passeggere e dei punti di vista troppo particolari, talvolta interessanti ma incompleti. Occorre loro una base solida di vita soprannaturale per avere esse stesse un’attività durevole sia nell’ordine dello sforzo e nel loro fervore personale che nel loro apostolato. A giusto titolo esse sognano di adattarsi al tempo presente, alle condizioni di vita, ma non possono realizzare questo adattamento senza delle virtù iniziali di dimenticanza di sé, di rinuncia e di umiltà. Questo adattamento non significa abbandono del rigore evangelico, addolcimento della fede che richiede, facilitato per alterare sotto la coltre di più comprensione il dato divino del Vangelo, delle sue esigenze, del suo vero senso che è quello espresso da Cristo, dalle sue parole, dai suoi esempi. A questo titolo, un San Bonaventura, tutto permeato d’amore di Dio, al modo che avrà un giorno, quattro secoli più tardi, un san Francesco di Sales, e nello stesso tempo formato all’austerità delle virtù cristiane, sacerdotali e religiose, è un vero testimone di Cristo e del Vangelo. L’adattamento ricercato ed augurabile nella formazione dei cristiani moderni non sarà fecondo che nella misura in cui questa psicologia profonda della vita spirituale sarà conservata intatta, con delle virtù che sono di tutti i tempi : la pietà, la purezza, l’umiltà, la fede, la speranza, la carità. Nel quadro differente ed evoluto, occorre guardare a queste virtù fondamentali tutto il loro posto, tutta la forza di lievito in una pasta forse più difficile da lavorare, ma che esige certamente un lievito di qualità. È a questo titolo che la psicologia dei santi ci insegna ammirabilmente quali siano le indispensabili sorgenti spirituali d’amore di Dio e delle anime, la profonda rinuncia a se stessi che solo realizzano ogni fruttuoso apostolato di oggi come di ieri e di sempre.

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