GIOVANNI BOCCACCIO BIOGRAFIA
Boccaccio è un degli autori più importanti della letteratura italiana perché sarà sempre ricordato per
essere stato l’iniziatore della prosa italiana; infatti saranno pochissime le opere in versi versi,
mentre darà più spazio alle novelle.
Le prime forme di novella possono essere ricondotte al Vangelo, cioè agli apologhi che Gesù
raccontava ai suoi fedeli, detti exempla, e che servivano per divulgare la religione cristiana, mentre
con Boccaccio si parla di novelle in senso laico, al di fuori della sfera religiosa attorno alla quale era
incentrata la vita dell’uomo medievale.
Giovanni Boccaccio nacque a Certaldo, vicino Firenze. Il padre era Boccaccino di Chellino, un
mercante che lavorava alle disposizioni della compagnia dei Bardi, banchieri ricchi che
inanziavano le guerre dei re d’Europa, mentre della madre non si sa nulla perché pare che
Boccaccio sia nato da una relazione occasionale del padre e che lui per questo fatto abbia inventato
una leggenda intorno a sé, dicendo che il padre avesse avuto, durante un viaggio a Parigi, una
relazione con una donna nobile e che quindi le sue origini fossero nobili; in seguito il padre si sposò
con una donna che diventò la sua matrigna e che si occupò di dare a lui e ai suoi fratelli una degna
istruzione.
Il padre avrebbe voluto che Giovanni continuasse la sua professione, ma gli studi di giurisprudenza
non erano fatti per lui, quindi mal volentieri si dedicò e questo, e sempre per orientarlo al
commercio nel 1327 il padre lo portò con sé a Napoli perché fu chiamato presso la filiale della
banca dei Bardi. Il periodo cosiddetto “Napoletano” dai critici, fu per Boccaccio il più bello e
sereno della sua vita e che più lo formò culturalmente perché da una parte, presso la banca fu preso
come apprendista e conobbe molti banchieri che avevano uno spirito pratico molto accentuato,
dall’altra il padre veniva spesso invitato ai banchetti di corte di Roberto d’Angiò, dove Giovanni
conobbe la vita nobile di corte e gli ideali cortesi, come la magnanimità.
Roberto d’Angiò era una figura molto colta, tanto che anche Petrarca fece visionare da lui le sue
opere, e possedeva una grande biblioteca che Boccaccio iniziò a frequentare e da autodidatta
conobbe i classici latini e greci e autori quasi contemporanei a lui come Dante, considerato un
maestro di vita.
L’esperienza nella corte e quella della banca saranno le 2 anime di Boccaccio che si uniranno e
verranno fuori nel Decameron.
Intanto Boccaccio aveva iniziato a scrivere e aveva conosciuto una donna, Fiammetta, che poteva
essere riconosciuta come la figlia di Roberto d’Angiò; anche questa sarà una donna idealizzata che
apparirà spesse nelle sue opere.
Purtroppo quest’esperienza finì nel 1340, quando la banca dei Bardi fallì perché aveva finanziato le
guerre del re Edoardo d’Inghilterra, il quale si era tanto indebitato con la banca che non riuscì a
restituirle tutto il denaro e la banca fallì. Quindi Boccaccino tornò a Firenze da declassato e a quel
punto non poté più vivere in maniera agiata come prima.
Da questo momento inizia per l’autore un periodo molto triste, durante il quale iniziò a scrivere per
far conoscere le sue opere e a dare lezioni private per contribuire al mantenimento della famiglia.
A Firenze Giovanni Boccaccio entrò a far parte della municipalità cittadina, la quale gli diede delle
missioni diplomatiche che gli permisero di girare l’Italia e l’Europa. Uno di questi incarichi fu
quello di andare a Ravenna dove si trovava Antonia, la figlia di Dante, che era diventata suora con
il nome di Suor Beatrice, per portarle un riconoscimento che la città di Firenze voleva dare alla
famiglia di Dante, ovvero una somma di denaro, per riscattarsi dell’esilio imposto.
Nello stesso periodo si era recato a Firenze anche Petrarca, con il quale instaurò una profonda
amicizia, e che gli fece da guida spirituale, cercando di far conoscere a Boccaccio un lato della vita
più interiore, essendo vissuto durante il Medioevo e devoto alle Confessioni di sant’Agostino, e ci
riuscì tanto che ad un certo punto Giovanni prese gli ordini minori, anche un po’ per convenienza, e
che anche a lui non impedirono di avere figli, come ad esempio una certa Violante.
La municipalità di Firenze si volle riscattare anche con Petrarca, perché a Boccaccio venne dato il
compito di consegnargli del denaro per riscattarsi dell’esilio, ma lui rifiutò in nome della sua libertà
intellettuale, cioè non voleva nessun debito nei confronti di Firenze.
Nel 1348 scoppiò a Firenze la peste, la quale uccise molte persone a lui care e Boccaccio per
sdrammatizzare questa situazione scrive il Decameron, che tratta proprio del fatto che 7 fanciulle e
3 ragazzi nobili si trasferirono in campagna per sfuggire alla peste e lì raccontarono 10 novelle al
giorno per 10 giorni, anche se vi rimasero in tutto 15 giorni, poiché la narrazione veniva interrotta
2 giorni a settimana per dedicarsi a sé stessi.
Negli ultimi anni fu dato a Boccaccio il compito di recitare a voce alta davanti al piazzale di una
chiesa di Firenze la Divina Commedia e lui riuscì ad arrivare al 17 canto dell’Inferno, dopo di che
verrà accusato di aver preso parte ad una congiura contro il comune di Firenze, ma non si sa se
questo sia vero, tuttavia lui preferì andare via e tornare a Certaldo, dove visse fino alla morte
avvenuta un anno dopo quella di Petrarca.