GIOTTO IN BREVE

GIOTTO IN BREVE

GIOTTO IN BREVE


Giotto nacque, probabilmente nel 1267, a Colle, frazione di Vespignano presso Vicchio del Mugello, secondo la tradizione, da famiglia contadina.

Egli sarebbe stato “scoperto” da Cimabue mentre disegnava su di un sasso le pecore del suo gregge. È probabile che la famiglia, inurbatasi, abbia posto il figlio a bottega presso qualche maestro del capoluogo, forse lo stesso Cimabue. Al suo seguito Giotto poté visitare per la prima volta Roma (1280 circa) ed Assisi.

Dopo non molti anni, lasciò la bottega del maestro e nel 1290, ad Assisi, dipinse le Storie di Isacco, che rappresentano il suo più antico intervento nella città.

Verso il 1287, Giotto aveva sposato Ciuta di Lapo del Pela dalla quale avrà quattro figli (di cui uno, Francesco, pittore di scarsa fama) e quattro figlie.

Gli ultimi anni del secolo li divise tra Roma ed Assisi, sorvegliando il progredire delle decorazioni della Chiesa superiore di San Francesco (nella città umbra) e (a Roma) del ciclo della Basilica di San Giovanni in Laterano.

Passati i trent’anni, Giotto è oramai un maestro affermato, che dispone di una bottega ed ha già raggiunto una certa prosperità economica. Egli, infatti, primo fra i pittori toscani, viene chiamato a lavorare nell’Italia settentrionale; dove, tra il 1304 ed il 1306 affresca a Padova la Cappella privata degli Scrovegni.

Nel 1311 l’artista ritorna a Firenze e la sua presenza nella città è documentata fino al 1327, anno in cui si iscrisse all’Arte dei Medici e degli Speziali. Durante questo periodo egli ha certamente già portato a termine i dipinti delle Cappelle Peruzzi e Bardi nella Chiesa di Santa Croce.

Nel 1328 i documenti attestano un’attività di Giotto a Napoli ai servizi del re Roberto d’Angiò, della quale non ci è pervenuto niente. A Napoli l’artista rimase fino al 12 aprile 1334, quando fu nominato capomastro dell’Opera del Duomo di Firenze. Iniziò subito i lavori per il Campanile, ma morì l’8 gennaio 1337, quando essi non erano giunti che al primo piano.

Nonostante le numerose critiche reputino tutto l’insieme degli artisti contemporanei a Giotto fautori di un radicale cambiamento del modo di rappresentare il mondo visibile, il maestro può essere sicuramente considerato l’iniziatore che segnò un punto di rottura, un salto qualitativo, che diede il via a questo progressivo mutamento.

Quando Giotto nasceva, l’Italia centrale conosceva già artisti del calibro di Nicola e Giovanni Pisano, i quali con le loro opere, ispirate ai modelli del gotico francese, si erano allontanati totalmente dall’arte romanica diffusa in Toscana.

Sull’esempio degli scultori non mancarono di rinnovarsi anche alcuni pittori, ad esempio, a Firenze, Cimabue.

Solo con Giotto, però, avviene un rinnovamento radicale della concezione della pittura che annuncia una cultura nuova, non più incentrata sulla rigida ripetizione degli schemi posti al di sopra di ogni emozione umana tipica dell’arte bizantina, e non più incline al simbolismo della decorazione medievale.

Nella pittura sono dimenticati i valori aristocratici dell’arte, la rappresentazione del cattolicesimo espresso nella raffigurazione delle sue gerarchie.

I personaggi dipinti da Giotto sono profondamente realistici e, questo realismo è la prova di una riscoperta del mondo fisico, che esiste di per sé, e non più in quanto simbolo.

Gli atteggiamenti e i volti che animano gli affreschi dell’artista sono sì ritratti, estremamente lontani dai profili statici e impersonali della tradizione figurativa bizantina e di massima parte di quella romanica, ma ritratti privi di ogni particolare caratterizzante e somiglianti tra di loro, che hanno la precisa funzione espressiva tendente a far emergere il contenuto altamente drammatico delle scene.

Padova, Cappella degli Scrovegni

La cappella detta anche dell’Arena, per essere situata sul luogo dell’anfiteatro romano, fu eretta per volere di uno dei notabili della città: Enrico Scrovegni.

Nel febbraio del 1300 Scrovegni acquistò il terreno dell’anfiteatro con lo scopo di erigervi il proprio palazzo con l’annessa cappella e nel 1303 ebbe luogo l’inaugurazione.

L’attuazione degli affreschi può essere collocata nel periodo tra il 1303/1304.

La decorazione pittorica delle pareti si svolge entro quattro zone sovrapposte e rappresenta:

1) Storie di Gioacchino e di Sant’Anna Storie della Madonna, nel registro superiore.

2-3) Storie di Gesù, nei due registri centrali.

4) Figure allegoriche di Vizi e Virtù, nel registro inferiore.

5) Giudizio Universale, in un’unica grande scena sulla parete d’ingresso.

Fra tutti questi affreschi possiamo ricordare:

Nelle storie di Gioacchino e Sant’Anna: l’Annuncio a Sant’Anna.

In questa immagine vediamo Anna all’interno della sua casa in preghiera, che riceve l’annuncio della prossima maternità; sulla sinistra, in un vano attiguo, una donna è intenta a filare.

Si può notare il carattere classico dell’architettura e la prospettiva molto precisa e nitida della casa.

Questo affresco, che fa parte del ciclo delle Storie di Gioacchino, mostra un momento molto importante della storia cristiana; in questa scena , infatti, un angelo annuncia ad Anna la nascita della figlia Maria, madre futura di Cristo.

Nelle storie di Cristo: La Natività e l’Annuncio ai pastori.

La composizione è proiettata verso il primo piano, eppure risulta chiaramente inserita nello spazio.

Per la decorazione del mantello della Vergine sono stati impiegati lapislazzuli. Grande rilievo viene dato alle posizioni dei personaggi; tutti sono rivolti verso il bambino tranne Giuseppe, il quale è addormentato ai piedi della mangiatoia e spicca nell’immagine (rispetto alle altre figure) grazie ai colori sgargianti (perfettamente conservati) dei suoi abiti.

Il Compianto su Cristo morto.

Questo affresco si colloca tra quelli più famosi del ciclo per l’espressione di drammaticità che lo distingue.

Il corpo di Cristo è circondato dai discepoli e dalle donne, chinate su di esso.

Dal cielo scende una schiera di angeli.

Come gli uomini sulla terra, anche gli angeli piangono, ed ognuno di essi è caratterizzato da una diversa espressione del volto, e una diversa posizione.

I colori variano di figura in figura, ed è possibile notare il minuzioso lavoro di ricerca delle tinte e l’effetto realistico dato dalle ombre alle pieghe delle tuniche.

Nel registro inferiore, al di sotto dei cicli, troviamo le allegorie dei Vizi e delle Virtù. Si ritiene che Giotto le abbia eseguite nella fase finale della decorazione della cappella. Ogni rappresentazione ha un simbolo caratteristico e, sotto ciascun affresco, dipinto in monocromia, si trova un’iscrizione in latino intesa a chiarire la ragione del simbolo prescelto.

Attualmente si legge soltanto, sopra a ciascun riquadro, il nome latino del Vizio o della Virtù illustrati.

La Giustizia.

Costituisce la figurazione centrale della parete, contrapposta all’Ingiustizia. Seduta su un gran trono gotico, regge nelle mani i due piatti di una bilancia, dove si trovano, a destra un angelo che incorona un saggio e, a sinistra, un altro angelo con la spada sguainata, in atto di colpire un malfattore.

Nel fregio sottostante al trono appaiono scene di caccia, danze, cavalcate simboleggianti una civiltà dove la giustizia è rettamente ordinata e l’uomo può godersi in pace i piaceri della vita.

Sulla parete d’ingresso, sopra alla porta troviamo: il Giudizio Universale.

L’affresco segue le regole dell’iconografia tradizionale , in cui la grande figura di Cristo è posta al centro, all’interno di una mandorla circondata da angeli. Schiere angeliche a schiere sono dipinte in alto; ai lati gli apostoli; sotto, divise da una croce sorretta da angeli, le schiere dei santi e degli eletti; a destra i dannati e a sinistra i demoni.

Nella parte inferiore, a destra, Enrico Scrovegni consegna alla Vergine la cappella stessa.

L’opera è attribuibile in parte a Giotto, in parte alla sua bottega alla quale, secondo alcuni, il maestro avrebbe affidato gran parte dell’esecuzione dell’affresco.

Assisi, Basilica superiore di San Francesco

La chiesa di San Francesco fu fondata nel 1228, due anni dopo la morte del santo.

Sorta in collegamento con la sepoltura di Francesco, l’ampia architettura è strutturata su tre livelli:

-la CRIPTA, costruita per accogliere il corpo del santo.

-la CHIESA INFERIORE, a croce latina, adibita alle funzioni religiose dei frati francescani.

-la CHIESA SUPERIORE, grandiosa aula gotica destinata ad accogliere le folle di pellegrini e a diventare sede delle celebrazioni solenni.

Proprio nella Chiesa superiore è affrescato uno dei cicli pittorici più famosi di Giotto:

le Storie francescane.

Il ciclo è costituito da 28 episodi che riportano le scene più suggestive della vita di San Francesco.

Il sogno di Innocenzo III.

Questa scena rappresenta Innocenzo III addormentato, che sogna la Basilica lateranense prossima alla rovina, la quale è sostenuta da un povero (San Francesco) che la sostiene sulle sue spalle per non farla cadere.

La figura del santo è raffigurata in un atteggiamento dignitoso e nobile, quasi privo di spiritualità. La spiegazione è da trovarsi nel committente dell’opera, papa Innocenzo IV, il quale era fedele alla politica “conventuale”.

Il Presepe di Graccio.

Lo scomparto raffigura “come San Francesco, in memoria del Natale, ordinò che si rappresentasse il Presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l’asino; e predicò sulla nascita del Re povero; e, mentre Francesco teneva in mano l’effige, un cavaliere vide al posto di quella Il Bambino Gesù”.

L’episodio è ambientato nella chiesa del castello di Graccio. Il fatto miracoloso è situato nel presbiterio della chiesa che era diviso dalla navata dall’iconostasi, che le donne non potevano oltrepassare.

La profondità della scena è sottolineata dal pulpito e soprattutto dal crocifisso che si sporge verso la navata vista da dietro.

Il miracolo della fonte.

In questa raffigurazione vediamo San Francesco che sale sul monte Averna accompagnato da un contadino che ad un certo punto ha una gran sete; allora San Francesco fa sgorgare dell’acqua da una roccia.

Le rocce sono collocate in profondità secondo una scansione di piani che asseconda la disposizione dei personaggi ordinati sulla base della loro partecipazione al miracolo.

Il gruppo con i due frati e l’asinello costituisce un’unica entità caratterizzata dall’inconsapevolezza verso ciò che sta accadendo.

Su un masso rialzato si trova l’assetato, che sembra quasi uscire dalla pietra stessa come un altorilievo scultoreo.

Il ruolo determinante di San Francesco è accentuato dalla sua posizione più arretrata in profondità e più alta. La testa si staglia nel fondo azzurro del cielo , ponendosi nel punto da cui si diramano le due punte rocciose. Il gesto del santo si prolunga idealmente nella forma della montagna alle sue spalle e si allunga in altezza nella simbolica allusione a Dio.

La composizione è bilanciata attorno alla figura di San Francesco,punto d’incontro delle diagonali del dipinto.

Firenze, Santa croce, cappella Bardi

I Bardi, ricca e potente famiglia di banchieri, possedevano quattro cappelle in Santa Croce e sembra che questa sia la più antica.

Anche nel ciclo pittorico di cappella Bardi, sono raffigurati in sette scomparti, distribuiti sulle pareti laterali e sull’arco d’ingresso, episodi della vita di San Francesco.

Stimmate di San Francesco.

Il tema dei due affreschi riprende quello analoga storia del ciclo francescano di Assisi.

Guardando il ciclo nel suo complesso, all’interno dello spazio in cui è dipinto, è possibile notare un’accentuazione degli atteggiamenti solenni e una concentrazione dei movimenti a pochi, calibrati gesti.

Si può notare che in questo ciclo San Francesco è rappresentato imberbe. Questo sta ad indicare l’influenza della tendenza revisionistica sopravvenuta all’interno dell’Ordine francescano e rappresentata dai Conventuali, che miravano a modificare l’immagine del santo.

Fra tutte le opere prodotte all’infuori dei cicli pittorici possiamo ricordare: la Madonna in Maestà. Dipinta a tempera su tavola, conservata al museo degli Uffizi a Firenze.

La tavola proviene dalla Chiesa fiorentina di Ognissanti, dalla quale fu rimossa nel 1810 per poi passare al museo degli Uffizi nel 1919.

Dal punto di vista iconografico questa Madonna presenta notevoli novità rispetto alle tradizionali Maestà duecentesche: il carattere umano della Madonna, la profondità realizzata nonostante l’uniforme sfondo d’oro, attraverso la prospettiva del trono, il rapporto che si crea tra le figure che (anche se frontali), non sono bloccate ma sembrano respirare.

La composizione è organizzata simmetricamente intorno all’elemento centrale del trono. Ai lati sono schierati i personaggi in numero uguale disposti specularmene nelle medesime pose. La posizione quasi di tre quarti della Madonna si discosta leggermente dall’asse compositivo della scena, generando un sottile movimento che anima tutta la composizione. Il rapporto affettuoso tra madre e figlio è sottolineato da un ovale in cui sono iscritti i due personaggi.