GIAN BATTISTA MARINO

GIAN BATTISTA MARINO


Fu considerato il poeta del secolo, l’esemplare del nuovo gusto. Il Marino concepì la poesia secondo un ideale non umanistico, ma come una professione che gli consentisse di emergere nella società contemporanea. Di conseguenza la sua arte fu fastosa, intesa a produrre “meraviglia”, a riscuotere l’applauso per la sua bravura. Le sue opere sono volte a creare “meraviglia” cioè un’arte che si propone di stupire il lettore con metafore inaspettate, ingegnose. Marino afferma che in poesia la vera regola è saper rompere le regole classiche per accomodarsi al costume corrente del secolo.

L’uso quasi ossessivo di particolare stilistici come la metafora e l’analogia conducono a una poesia liberamente creativa, intesa come prodigioso diletto. I poli della sua ispirazione sono: la natura e l’amore. La natura non è più vista nella sua statuaria unità ma nelle 1000 sfaccettature, ma uno sfondo ornamentale che vive di vita autonoma, soggetto a magiche metamorfosi. L’amore non è quello santificato e ingentilito dalla presenza della donna petrarchesca e bambesca. L’amore è fatto di sfrenato sensualistico.

Tra le opere del Marino ricordiamo la “Lira e l”Adone”. Nella “lira”, una raccolta di liriche, prevale la concezione della poesia come gioco, per cui i contenuti diventano pretesto per esprimere l’ingegnosa abilità del poeta. Già nella “lira” è presente la ricerca dell’immagine insolita. Il Marino recupera e interpreta vari filoni della tradizione erotico-sensuale che aveva i suoi archetipo in Ovidio. Il poeta fa largo uso di episodi mitologici. Le numerose fonti cui egli attinge non sono indicative di pigrizia o di povertà inventiva. Marino è un letterato che si ispira alla letteratura con una prodigiosa capacità di rielaborare le fonti secondo i dettami del gusto moderno, ponendovi un sigillo originale. Marino è un innovatore che rompe i ponti con gli schemi ormai irrigiditi del petrarchismo ufficiale. Opera prima, la “Lira” è un libro inaugurale di questo gusto nuovo, di una poetica dello stupore e della meraviglia.

L’Adone è un poema mitologico la cui trama consiste nell’innamoramento della dea Venere per l’adolescente Adone. Giovane di grande bellezza egli giunge a Cipro, dimora della dea amorosa, la quale si invaghisce del suo palazzo e del suo favoloso giardino, dove i due innamorati sono travolti dalla passione. Il dio della guerra, Marte, scosso dalla gelosia costringe alla fuga il rivale. Il giovane, dopo numerose peripezie, ritorna da Venere, e gode dei suoi piaceri, finché un giorno a caccia Marte gli aizza contro un cinghiale che, colpito da una freccia di Cupido, squarcia il fianco di Adone in un assalto amoroso.

Nell’Adone eroi e miti dei che nel Rinascimento incarnavano gli ideali di bellezza e di armonia sono gli abitanti di un mondo contaminato dalla frivolezza e dal capriccio. Il poema può definirsi il regno del “lusso”e della “lussuria”. Le “bagatelle” se sedussero il mondo incline alla carnalità, procurarono al Marino problemi con la censura ecclesiastica.


 Lirici marinisti

I lirici del seicento sono legati alla poetica marinistica della “meraviglia”. Per effetto di questa poetica i poeti barocchi frugano la realtà, accogliendo forme, temi, figure ignote alla stilizzata e ormai morente tradizione petrarchesca. C’è in loro un’originale visione della realtà. Anche il motivo tradizionale e dominante della lirica, l’amore, è rappresentato in maniera nuova.

La lirica amorosa del secolo non esprime un sentimento intimo, ma è un pretesto a omaggi galanti. La donna non è stilizzata secondo il “figurino” della moda petrarchistica: la ricerca bizzarra di novità porta da un lato a vederla in piccole scene domestiche e quotidiane, dall’altro a considerarla in tutti gli aspetti possibili, cioè la bella zoppa, la bella mendicante, la donna sfiorita, la donna brutta. Entrano in questa lirica numerosi aspetti della vita di tutti i giorni come le stagioni, il gioco della palla.

Ma più che di vero realismo si tratta del gusto del difficile, del raro, dell’intentata connesso alla poetica della meraviglia. Importanti sono le liriche meditative, che considerano il destino dell’uomo, con un senso tetro e scorato della morte. In esse predomina il sentimento dell’instabilità del reale, della vanità del mondo e della precarietà della vita.

Tra i poeti marinisti più importanti troviamo: Tommaso Stigliani, Giacomo Lubrano che trattano il tema dell’instabilità delle cose e della labilità e fugacità della bellezza e dell’amore. Ciro di Pers tratta il tema dell’orologio meccanico molto ricorrente nel Barocco. Da un lato l’orologio viene incontro al gusto descrittivo della poesia secentesca, illustrano una macchina complessa e ingegnosa, dall’altro offre lo spunto alla meditazione sulla miseria umana.

Per Ciro di Pers il battito uguale e meccanico dell’orologio diventa un funebre rintocco che scandisce il nostro irrevocabile morire ora per ora.


 Gli antimarinisti

Alla poesia del Marino e dei Marinisti si oppose una corrente antibarocca che fece capo al Chiabrera e al Testi, e che volle mantenersi fedele alla tradizione classicistica cinquecentesca.

Mentre i Marinisti mostravano disegno per i poeti del passato e per il classicismo, costoro riproducono l’ode pindarica e oraziana, che apparteneva al mondo classico. Gli Antimarinisti con il loro gusto classicheggiante, con il loro stile semplice, e sobrio preannunciano il più deciso movimento antimarinistico, l’Arcadia, che si svolgerà a partire dagli ultimi anni del secolo.

Il Chiabrera fu un antimarinista che contrappose alle grandiose metafore del Marino, una poesia più semplice e legata ai modelli classici, fra i quali predilisse i latino Orazio e i greci Pindaro e Anacreonte. Il Chiabrera afferma che la poesia non è espressione di vita, ma ornamento della vita, arte e peripezia tecnica. Questo concetto di poesia passerà dal Chiabrera ai lirici dell’Arcadia.

Il Testi nella sua poesia si è occupato di soggetti morali. Celebre è del Testi un poema intitolato “Pianto d’Italia” nel quale egli espresse il suo dolore per la decadenza morale e politica dell’Italia oppressa dagli Spagnoli. In questo poema il Testi propugna la liberazione dell’Italia e la riconquista da parte degli italiani di un sentimento di dignità nazionale.