GIACOMO LEOPARDI OPERE POETICA L’INFINITO PARAFRASI

GIACOMO LEOPARDI OPERE POETICA L’INFINITO PARAFRASI


Giacomo leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, nel 1798 da una nobile famiglia. Crebbe in un ambiente chiuso di provincia, di cui sentì l’oppressione, aggravata per di più dall’indifferenza del padre e dall’eccessiva severità della madre.

Precocissimo per interessi e capacità intellettuali, trascorse il periodo tra i dieci e i diciassette anni immerso tra i libri della biblioteca paterna acquisendo, una perfetta conoscenza del greco, del latino, dell’ebraico e delle lingue moderne. Questo studio “Matto e disperatissimo” gli rovinò per sempre la salute, causandogli una leggera deformazione al corpo e disturbi alla vista e al sistema nervoso.

Insofferente dell’arretratezza culturale dell’ambiente di Recanati e tormentato da una profonda crisi interiore, dopo un tentativo di fuga ottenne nel 1822 il permesso di recarsi a Roma, ma questo soggiorno non fece che acuire il suo pessimismo nei confronti del destino umano. Deluso e amareggiato fece ritorno a Recanati. Nel 1825 si trasferì a Milano, successivamente visse a Bologna e a Firenze, ma al paese natale, amato e odiato nello stesso tempo, ritornò sempre, pronto a ripartire alla prima occasione.

Intanto le sue condizioni di salute peggiorarono; per di più una grave delusione d’amore prostrò del tutto il suo animo. Nel 1833 si trasferì a Napoli, dove trascorse gli ultimi anni di vita assistito e confortato dall’amico Antonio Ranieri. Morì nel 1837.

Le opere

Tra le sue opere ricordiamo:

Canti: Raccolta di quarantuno componimenti lirici, scritti dal 1818 fino agli ultimi giorni di vita. Si tratta di canzoni patriottiche, canzoni di contenuto filosofico, idilli, liriche d’amore.

Operette morali: Opera filosofica in cui Leopardi espone la sua concezione pessimistica della vita.

Zibaldone: Raccolta di note, appunti, riflessioni, commenti di ogni genere, annotati giornalmente fra il 1817 e il 1827.

Le idee e la poetica

Nell’opera poetica di Leopardi emerge la sua pessimistica concezione della vita, dominata dal dolore e dall’infelicità. Per il poeta la causa dell’infelicità umana è la Natura che, considerata in un primo momento buona e benigna, viene vista in seguito come “matrigna” malvagia e feroce, in quanto suscita nell’uomo speranze e illusioni che poi delude sempre.

L’infelicità nasce dunque dal desiderio di felicità che è in noi e dall’impossibilità di conseguirla. E così il pessimismo di Leopardi da individuale diventa umano e si allarga smisuratamente fino a diventare pessimismo cosmico: la Natura rende infelici non solo gli uomini ma tutti gli esseri del creato.

La vita appare a Leopardi sofferenza e dolore: la gioia è solo momentanea, è cessazione del dolore e al di là del dolore c’è la noia che spegne nel cuore il desiderio di vivere. Ma a salvare il poeta da tale abisso contribuisce senza dubbio la sua fervida attività intellettuale e specialmente il conforto e la liberazione della sua poesia.

Per Leopardi la poesia deve essere soprattutto musica e perciò svincolata dalla rima (metro libero); il poeta ottiene effetti suggestivi attraverso la sola collocazione delle parole e la distribuzione degli accenti.


L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quïete

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno ,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Parafrasi

Questo colle solitario mi è sempre stato caro,

e anche questa siepe, che impedisce al mio sguardo

una gran fetta dell’orizzonte più lontano

Ma mentre siedo e fisso lo sguardo sulla siepe,

io immagino gli sterminati spazi al di là di quella,

i silenzi che vanno al di là dell’umana comprensione

e la pace profondissima, tanto che per poco

il mio cuore non trema di fronte al nulla. Quando sento

le fronde delle piante stormire al vento, così paragono

la voce del vento con quel silenzio infinito:

e istintivamente mi giunge in mente il pensiero dell’eternità,

le ere storiche già trascorse e dimenticate e quella attuale

e ancor viva, col suo suono. Così il mio ragionamento

si annega in quest’immensità spazio-temporale,

e per me è un naufragare dolcissimo.

Spiegazione

“L’infinito” è un idillio scritto da Giacomo Leopardi.

L’idillio è una rappresentazione poetica di un’avventura dell’animo che nasce da un’esperienza concreta.

Leopardi scrive questo idillio sul monte Tabor a Recanati. Una siepe gli impedisce la vista del paesaggio, e così si immagina uno spazio immenso.

Questo idillio è composto da quindici versi non in rima. “L’infinito” può essere suddiviso in due parti: la prima comunica un senso di inquietudine (interminati spazi, sovrumani silenzi, il cor non si spaura), mentre la seconda comunica un senso di appagante dolcezza (sempre caro, profondissima quiete, il naufragar m’è dolce in questo mar).

Nella poesia sono presenti tre temi: lo spazio infinito, il tempo e il silenzio.

Il testo è anche caratterizzato da immagini visive come la siepe, e percezioni uditive come i sovrumani silenzi e la profondissima quiete.

METRO: idillio di versi endecasillabi sciolti.