Garibaldi delude le masse contadine del Mezzogiorno

Garibaldi delude le masse contadine del Mezzogiorno

da G. Procacci, Storia degli Italiani, voi. II, Laterza, Bari, 1968


 Gli avvenimenti del 1860 in Sicilia non sono facili da decifrare. All’inizio vi fu una stretta alleanza, nella Sicilia occidentale, tra nobiltà, borghesia liberale e popolo, un’alleanza cementala dall’odio contro ù Borbone. «Il profondo malcontento delle masse popolari delle campagne e delle città», si legge in uno scrit­to recente, «sebbene avesse le sue radici nella miseria e quindi nella struttura di classe della società, si ri­volgeva contro il governo prima ancora che contro le classi dominanti». In questa complessa situazione si inserisce Garibaldi, che, acclamato dalle masse contadine come liberatore e vendicatore dei loro torti e delle loro sofferenze, abolisce l’esosa tassa sul macinato ed emana il decreto sulla divisione dei beni comunali, in­coraggiando le speranze di emancipazione sociale. Ma dopo la vittoria di Calatafimi e la liberazione di Pa­lermo, allorché i regi sono in fuga verso Messina, il sodalizio originario tra i ceti sociali si rompe. «Con la metà di giugno», scrive R. Del Carria, «si spezza definitivamente l’alleanza tra borghesi e contadini per dar luogo a quella tra borghesi isolani e borghesia continentale rappresentata dai garibaldini e dai moderati». I contadini proseguono nondimeno la loro guerra, pur se ancora condotta in nome di Garibaldi e della «li­bertà». «Invadono i demani comunali, i feudi dei ricchi proprietari, cacciano i gabellotti, abbattono i vec­chi confini, dividono e cominciano a lavorare la terra, bruciano le “carte” delle proprietà, dei municipi, del­la giustizia, incendiano e devastano “i casini dei nobili “, liberano i detenuti, ripristinano gli usi civici usur­pati». Venuto alla luce l’equivoco della impossibile alleanza tra la libertà borghese e quella contadina, ve­dremo i garibaldini di Bixio trasformarsi in poliziotti e reprimere duramente le ribellioni scoppiate contro i «galantuomini». Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi e altri innumerevoli centri del Catanese provarono la mano di ferro del luogotenente di Garibaldi deciso a riportare l’ordine. Le sollevazioni contadine si estesero al continente, via via che i garibaldini risalivano la penisola,. «Erano le prime avvi­saglie del brigantaggio, di quel fenomeno cioè di guerriglia e di jacquerie contadina che insanguinerà le campagne di buona parte dell’Italia meridionale nei primi anni di vita del nuovo Stato italiano».

Al momento del suo sbarco a Marsala e nel corso dell’avanzata attraverso la Sicilia e l’Italia meridionale Garibaldi era apparso alle masse contadine del Sud come un mitico liberatore e vendicatore delle loro sofferenze, quasi un Messia. Alcuni dei primi atti del governo provvisorio da lui insediato in Sicilia, quali l’abolizione dell’esosa tassa sul macinato e il decreto relativo alla divisione dei beni comunali del 2 giugno, sembrarono incoraggiare queste speranze. Ma la delusione non doveva tardare a giungere: il 4 agosto, nella Ducea1 di Bronte, Nino Bixio, il fidato luogotenente del leggendario generale, reprimeva  con arresti e fucilazioni in massa una delle tante agitazioni contadine che si erano accese in tutta la Sicilia in quei giorni di euforia e di speranza. La delusione delle masse popolari non  si manifestò soltanto attraverso l’assottigliamento del flusso dei volontari nelle file garibaldine, ma anche con veri e propri episodi di rivolta. Nel settembre una sollevazione generale contadina con l’eccidio di 140 liberali divampò in Irpinia e fu domata solo dall’invio una  colonna  garibaldina  al  comando dell’ungherese Tùrr2. Erano le prime avvisaglie del brigantaggio, di quel fenomeno ciò di guerriglia e di jacquerie contadina che insanguinerà le campagne di buona parte dell’Italia meridionale nei primi anni di vita del nuovo Stato italiano.

D’altra parte, se Garibaldi aveva deluso le masse contadine meridionali, egli non era riuscito neppure a tranquillizzare i ceti dei possidenti e dei galantuomini. Il ritorno alla normalità e il ristabilimento dell’ordine nelle campagne sarebbe stato assicurato assai meglio – era questa la loro ferma opinione – da un re legittimo e da un esercito regolare, quali erano quelli piemontesi, piuttosto che da un  capopopolo improvvisatosi generale, circondato da una pericolosa accolta di agitatori democratici. Autonomisti o unitari a seconda delle circostanze, conservatori sempre, i notabili e gli aristocratici siciliani non furono da meno dei loro colleghi del continente nell’invocare l’intervento piemontese e nel salutare con gioia la soluzione cavouriana dell’annessione attraverso il plebiscito. Sotto l’occhio vigile del nobile del luogo e del fattore i contadini meridionali andarono – si ricordi la descrizione efficacissima del plebiscito in un villaggio siciliano nel romanzo II Gattopardo – ; deporre nell’urna il loro all’unità d’Italia.  Quest’ultima ereditava però, insieme a questi suoi nuovi cittadini, anche le loro sofferenze e i loro rancori; ereditava la pesante e difficile «questione meridionale».

  1. Bronte è un grosso centro agricolo nella pro­vincia di Catania. Nel 1799 Ferdinando IV lo co­stituì in ducato (Ducea) e lo attribuì all’ammira­glio Horatio Nelson (1758-1804) in cambio dei servizi che questi gli aveva reso imponendo la ca­pitolazione agli insorti repubblicani.
  2. È uno degli stranieri che, attratti dal fascino di Garibaldi, erano accorsi ad arruolarsi tra le file dei Mille.
  1. L’opera di Giuseppe Tornasi di Lampedus; fu pubblicata postuma a Milano net 1958.
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