GAIO MARIO

GAIO MARIO

GAIO MARIO


Gaio Mario nacque nel 157 a.C. ad Arpino nel Lazio meridionale, precisamente nella frazione che ancora oggi porta il suo nome: Casamari. Plutarco riferisce che il padre era un manovale, ma la notizia non è confermata da altre fonti, e tutto lascia pensare che sia falsa. Infatti Mario aveva relazioni con ambienti della nobiltà romana, si candidò per cariche pubbliche nell’amministrazione di Arpino e si imparentò per parte di moglie con la nobiltà locale, tutte circostanze concomitanti nel suggerire che molto probabilmente apparteneva ad un’influente famiglia appartenente all’ordine equestre. Le difficoltà che incontrò agli esordi della sua carriera a Roma dimostrano semmai quanto fosse arduo per un homo novus affermarsi nella società romana del tempo.

Nel 134 a.C. si distinse per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell’assedio di Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano.
Nel 120 a.C. Mario fu confermato tribuno della plebe per il 119 a.C. A quanto sembra aveva già concorso alla carica nel 121 a.C., ma senza successo. Un ruolo determinante ebbe, nell’occasione, il sostegno del suo patrono, l’influente Quinto Cecilio Metello, circostanza questa che conferma la tesi secondo cui la famiglia di Mario non era affatto di umili origini. Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l’altro, una legge che limitava l’influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni.
Negli anni intorno al 130 a.C. si era introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le nomine dei magistrati, per l’approvazione delle leggi e per l’emanazione delle sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale. Poiché i nobiles cercavano sistematicamente di influenzare l’esito dei ballottaggi con la minaccia di controlli ed ispezioni, Mario fece approvare un’apposita legge per far costruire uno stretto corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto nell’urna al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti. In conseguenza di ciò Mario si alienò la potente gens dei Metelli, che da quel momento in poi diventarono suoi fieri oppositori.
Successivamente Mario si candidò per la carica di edile curule (magistratura romana solitamente riservata ai patrizi e incaricata della realizzazione di opere pubbliche). Avendo perso l’elezione, ritentò presentandosi la seconda volta come edile plebeo, ma ancora senza successo. Nel 116 a.C. riuscì, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l’anno successivo e fu immediatamente accusato di brogli elettorali. Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica in Roma per un anno senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Fu pretore urbano (praetor urbanus) e anche pretore itinerante (praetor peregrinus), in pratica presidente della commissione preposta alla riscossione dei tributi fuori da Roma. Nel 114 a.C. il mandato di Mario fu prorogato, e gli fu assegnato il governo della Spagna ulteriore, o Lusitania, nel territorio dell’odierno Portogallo, dove fu necessario intraprendere alcune campagne militari basate sulla guerriglia e i saccheggi. Sembra che la carica di governatore in Spagna a quel tempo durasse due anni, e infatti fu sostituito nel 113 a.C.
Sebbene i rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console nel 109 a.C., prese con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta. I legati erano originariamente semplici rappresentanti del Senato, ma, gradualmente, era invalso l’uso di adibirli a compiti di comando alle dipendenze dei comandanti generali. Quindi, molto probabilmente, Metello ottenne che il Senato nominasse Mario legato, in modo che potesse servire alle sue dipendenze nella spedizione che si accingeva a compiere in Numidia. Questo rapporto conveniva ad entrambi, in quanto, mentre Metello si avvantaggiava dell’esperienza militare di Mario, questi rafforzava le sue possibilità di aspirare in seguito al consolato.
Nel 108 a.C. Mario si convinse che i tempi erano maturi per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare il tempo necessario per potersi candidare insieme al figlio ventenne dello stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta l’estate del 108, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa, allentando notevolmente la rigida disciplina militare, e di accattivarsi anche i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto, in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta. In queste circostanze è facile immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108, fu eletto console per l’anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva sull’accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra contro Giugurta, viste le ripetute sconfitte militari subite negli anni fra il 113 e il 109, nonché le accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell’oligarchia dominante.
Mario aveva un estremo bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di un’importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la portata. Nel 107 a.C. Mario ruppe ogni indugio e decise di arruolare senza alcuna restrizione riguardo il censo e le proprietà fondiarie del potenziale soldato. D’ora in avanti le legioni di Roma saranno composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti dal proprio generale, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del Senato.
Dopo le felici campagne contro la Numidia e contro i Cimbri e i Teutoni, e dopo essere stato eletto console per 5 volte consecutive (cosa mai successa e proibita dalla legislazione romana), come ricompensa per avere sventato il pericolo dell’invasione barbarica, Mario venne rieletto console anche per l’anno 100 a.C.
Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l’assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l’alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopo di ché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente.
Nel 95 a.C., tuttavia,venne approvata una legge che decretava che tutti coloro che non fossero cittadini romani, cioè coloro che provenivano da altre città italiane, dovessero essere espulsi da Roma. Nel 91 a.C. Marco Livio Druso fu eletto tribuno e propose una grande distribuzione di terre appartenenti allo stato, l’allargamento del senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di tutte le città italiane. Il successivo assassinio di Druso provocò l’immediata insurrezione delle città-stato italiane contro Roma, e la Guerra Sociale degli anni 91 a.C. – 88 a.C. Mario fu chiamato ad assumere, insieme a Lucio Cornelio Silla, il comando degli eserciti chiamati a sedare la pericolosa rivolta. Finita la guerra in Italia si aprì un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto, nel tentativo di allargare verso oriente i confini del suo regno, invase la Grecia. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell’inevitabile guerra contro Mitridate a Silla o Mario, il Senato, in un primo momento, scelse Silla. In seguito, tuttavia, soprattutto per intercessione di Publio Sulpicio Rufo, l’assemblea nominò Mario. Per tutta risposta Silla fece uscire di nascosto l’esercito da Roma, per poi farlo marciare contro la città. Mario fu sconfitto e dovette abbandonare precipitosamente Roma, rifugiandosi in esilio. Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell’87 a.C., mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con l’esercito.
Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, a Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio, rimasto fedele a Silla, e quella popolare e radicale di Cinna si inasprì sfociando in aperto scontro. A questo punto, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio, Mario, insieme al figlio, rientrò dall’Africa con un esercito ivi raccolto e unì le proprie forze a quelle di Cinna, che aveva radunato truppe filomariane ancora impegnate in Campania contro gli ultimi socii ribelli. Gli eserciti alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti del partito conservatore: Silla fu proscritto, le sue case distrutte e i suoi beni confiscati. Nel primo mese del suo mandato, tuttavia, all’età di 71 anni, Mario morì.
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