FRANCESCO PETRARCA SECRETUM III L’AMORE PER LAURA

FRANCESCO PETRARCA SECRETUM III L’AMORE PER LAURA


-In questo passo tratto dalla parte iniziale del libro III, S. Agostino mette sotto accusa l’amore di Francesco per Laura col
dire che la donna è una creatura mortale, soggetta all’invecchiamento come tutti gli esseri umani, dunque il poeta ha
amato in modo turpe qualcosa di caduco che lo ha distolto dalla ricerca del vero bene e della virtù. Dopo le iniziali
resistenze, l’autore (incalzato dagli argomenti e dalla dialettica del suo interlocutore) è costretto ad ammettere che in
realtà ha amato soprattutto il corpo di Laura e la sua bellezza, anche se tale conclusione non lo indurrà a rinnegare i suoi
sentimenti per lei.
Francesco. Usa qualche argomento più convincente, se l’hai, ché con siffatti discorsi non mi
spaventerai mai. Io non ho punto fermato l’animo, come tu credi, a un bene mortale [1]; e sappi che
io non ho amato tanto il corpo quanto l’anima sua, dilettato da quei costumi che superano l’umana
condizione, dal cui esempio mi figuro come si viva tra gli angeli. Adunque se colei morendo prima
(il solo udirlo mi trafigge!) mi lasciasse, tu mi chiedi che farei? Conforterei il mio dolore come
Lelio, il più saggio dei Romani: “di lei amai la virtù, che non è spenta”. [2] Questo direi e l’altre
considerazioni che intendo ch’egli ha fatte, dopo la morte di colui che aveva amato di sì
meraviglioso amore.
Agostino. Ti serri in un’inespugnabile rocca di errori, donde non è piccola fatica snidarti. E poiché
io ti veggo così invasato da ascoltare molto più pacatamente quanto con franchezza io sia per dire di
te, che non ciò che dica di lei; colma pure la tua piccola donna di quante lodi vorrai: non ti
contraddirò in nulla: sia pur una regina, una santa, sia anzi “una dea, o la sorella di Febo o una della
stirpe delle ninfe” [3]: tuttavia la sua grande virtù non gioverà minimamente a scusarti dell’errore.
Francesco. Son curioso di sapere quale nuovo contrasto tu trami.
Agostino. Non si può porre in dubbio che spesso si amino bruttamente [4] le cose belle.
Francesco. A questo ho già risposto più sopra. Se infatti si potessero scorgere le sembianze
dell’amore che regna in me, si vedrebbero non dissimili dal volto di Quella che ho bensì lodata
molto, ma tuttavia meno del dovuto. Mi è testimonio costei, alla cui presenza parliamo, che nel mio
amore non c’è stato mai nulla di turpe, nulla di peccaminoso, nulla infine di colpevole, salvo che
essere immenso […].
Agostino. Ella ti ha allontanato l’animo dall’amore celeste, ed ha deviato il tuo desiderio dal
Creatore alla creatura; che è sempre stata l’unica e più spedita via verso l’errore.
Francesco. Non dare, ti prego, una sentenza precipitosa: l’amore di lei giovò, te l’accerto [5], a
farmi amare Iddio.
Agostino. Ma invertì l’ordine.
Francesco. In che modo?
Agostino. Perché mentre tutto il creato deve esser tenuto caro per amore del Creatore, tu al
contrario, preso alle grazie di una creatura, hai amato il Creatore non come si conveniva, bensì
ammirando in lui l’artefice di quella, quasi non avesse creato nulla di più bello, mentre la venustà
[6] corporea è l’ultima delle bellezze.
Francesco. Chiamo per testimonio quella ch’è qui presente [7], e faccio conteste la mia coscienza
che, come ho detto dianzi, non ho amato il corpo più che l’animo suo. Il che potrai conoscere da ciò;
che quanto più ella è avanzata nell’età, che è la rovina inevitabile della bellezza corporea, tanto più
fermo io sono rimasto nel mio pensiero; però che, quantunque il fiore della giovinezza visibilmente
appassisse col passare del tempo, cresceva con gli anni la venustà dell’anima, la quale come mi
porse principio all’amore così mi ci fece perseverare poi che vi fui entrato. Altrimenti, se mi fossi
smarrito dietro il corpo, già da gran pezza sarebbe stato tempo di mutare proposito.
Agostino. Mi canzoni? Forse che se quell’animo stesso abitasse in un corpo squallido e rozzo, ti
sarebbe del pari piaciuto?
Francesco. Non oso dir questo, dacché né l’animo si può scorgere né l’immagine corporea me
l’avrebbe fatto sperare tale; ma se apparisse alla vista, amerei senza dubbio la bellezza di un animo
anche se avesse un deforme albergo. [8]
Agostino. Tu cerchi di puntellarti sulle parole; perché se puoi amare solo ciò che appare alla vista,
segno è che amasti il corpo. Né vorrò tuttavia negare che anche l’animo di colei e i costumi abbiano
porto esca alle tue fiamme [9], appunto come il suo nome stesso (secondo che dirò di qui a breve)
contribuì non poco, anzi moltissimo, a codesti tuoi furori. [10] Accade infatti in tutte le passioni
dell’animo, ma specialmente in questa, che da piccole faville insorgano grandi incendi.
Francesco. Veggo a che tu mi sforzi: a confessare cioè con Ovidio [11] “l’animo amai insieme al
corpo”.
Agostino. Ed anche dovrai confessare questo che segue: che né l’uno né l’altro amasti abbastanza
temperatamente, né l’uno né l’altro come si conveniva.


[Traduzione a cura di G. Bellini e G. Mazzoni, Laterza]
NOTE:
[1] Io non ho mai amato una creatura mortale.
[2] Cita il dialogo di Cicerone Laelius de amicitia (XXVII, 102), dove Lelio piange la morte
dell’amico Scipione Emiliano.
[3] Virgilio, Eneide, I (328-329).
[4] In modo turpe, sconveniente.
[5] Te lo garantisco.
[6] La bellezza.
[7] La Verità, figura allegorica che assiste al dialogo senza parlare.
[8] Che risiedesse in un corpo brutto, deforme.
[9] L’animo e i costumi di Laura abbiano provocato il tuo amore.
[10] Agostino si riferisce al nome di Laura, che allude al “lauro” della corona poetica (Francesco
l’avrebbe desiderata in nome suo). [11] Amores, I, 10.


FONTE: https://letteritaliana.weebly.com/lamore-per-laura.html