FRANCESCO GUICCIARDINI VITA E OPERE

FRANCESCO GUICCIARDINI VITA E OPERE

Francesco Guicciardini


Nacque da una nobile famiglia nel 1483 a Firenze. Nel 1511 fu nominato ambasciatore della Repubblica presso Ferdinando il Cattolico, in Spagna. Si trattò di un’esperienza fondamentale, che permise al Giucciardini di studiare da vicino la personalità notevole di quel re abilissimo, di assistere allo sviluppo irresistibile di una potenza che tanta importanza doveva acquistare nella storia d’Italia e d’Europa e soprattutto di osservare la politica formalmente corretta, ma intimamente spregiudicata, fondata su una diplomazia sottile e astuta, di cui egli sarà nelle sue opere il teorizzatore.

Nel 1526 fu tra i principali fautori della Lega di Cognac, in altre parole un’alleanza di stati italiani, timorosi dell’eccessiva potenza acquistata dalla Spagna, con i francesi. Fu nominato dal papa luogotenente generale dell’esercito pontificio. Il Guicciardini fu impedito nella sua azione dal pontefice, per cui non riuscì ad attuare una politica decisa, né a impedire l’orrendo saccheggio di Roma, perpetrato nel 1527 dalle truppe tedesche e spagnole.

Questo fatto segnò il crollo della sua fortuna politica: fu fin troppo facile per i suoi avversari scaricare su di lui pesanti responsabilità. Tra le sue opere più importanti si suole menzionare i “Ricordi” e la “Storia di d’Italia”. Morì nel 1540.


PENSIERO Francesco Guicciardini

Come il Machiavelli anche il Guicciardini sostiene che l’uomo con le sue azioni è il motore della storia, anche per lui lo studio dei rapporti umani va rivolto esclusivamente al campo delle vicende politiche e gli interessi morali e religiosi rimangono in secondo piano. Anche lui parte dall’amara constatazione che gli uomini si lasciano trasportare dalle passioni, e proprio questo sfrenarsi continuo di cupidigie e d’egoismi impone la ricerca di una norma d’azione, che sia tale da garantire all’individuo la sopravvivenza e l’affermazione nel mondo. Qui terminano le somiglianze tra i due pensieri. Il Machiavelli vede lo stato come una costruzione razionale e umana, trova in esso una superiore moralità su cui fondare i progetti costruttivi di una virtù attiva ed energica. La meditazione del Guicciardini parte dal riconoscimento dell’incapacità, da parte del singolo, di riuscire a modificare il corso degli eventi e di ridurli in schemi razionali. C’è in lui la coscienza di un’estrema complessità del reale, che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è pretendere di stabilire norme e leggi generali d’azione, perché una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo costringerla. Alla virtù del Machiavelli, egli sostituisce la “discrezione”, che è la capacità di comprendere e sviscerare i fatti singoli nelle loro infinite sfumature, per inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso salvando il proprio “particolare”, cioè il proprio interesse inteso nel senso più ampio e cioè di dignità di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità d’agire in favore di se stessi e dello stato. Manca al Guicciardini la fede in un ideale e questo rende la sua visione della vita scettica. Nel suo pensiero la fiduciosa affermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell’uomo appare in declino. Quest’atteggiamento deriva dalla sua concreta esperienza. La sua carriera di governo gli insegnò il realismo.

I ricordi

Sono pensieri nati in margine alla carriera politica dell’autore. Il titolo allude alla radice autobiografica di queste meditazioni. Il Guicciardini esprime in questi pensieri un sentimento amaro della realtà. Oltre a parlare della discrezione, considerata come arte difficilissima di sapersi adattare agli eventi, egli riflette sui vari e imponderabili casi della vita, dai quali viene estraendo norme d’azione, ma con la coscienza della loro relatività, perché se è vero che nell’agire degli uomini ricorrono certi temi costanti, è vero anche che essi si presentano in un contesto sempre nuovo di fatti concomitanti. Occorre, dunque, considerare sempre tutte le componenti di una situazione, servendosi per comprenderla dell’esperienza passata, pronti ad affrontare con la discrezione quel tanto di nuovo e imprevedibile che la realtà presenta. I migliori tra i presenti nell’opera sono massime psicologiche e morali, volte a definire la posizione instabile e limitata dell’uomo nel mondo, il carattere precario d’ogni soddisfazione umana. Piuttosto che un politico in quest’opera il Guicciardini si presenta come un moralista, cioè come un uomo che guarda con sguardo lucido e fermo se stesso e gli altri, per comprendere la vita.

Le Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli

In quest’opera il Guicciardini critica i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” del Machiavelli, soprattutto il fondamento generale di quell’opera, cioè la visione della storia romana come storia esemplare e ancora idealmente attuale. Balzano evidenti le differenze di pensiero tra il Machiavelli e il Guicciardini: il Machiavelli è l’ideologo che vede la storia come incentivo all’azione, il Guicciardini è lo storico che intende ricostruire i fatti in tutte le loro sfumature, comprendere con intelligenza il passato.

La storia d’Italia

Racconta del crollo dell’Italia e va dalla morte di Lorenzo il Magnifico, cioè dalla fine della politica italiana d’equilibrio fino alle contese tra francesi e spagnoli per affermare il loro dominio sulla penisola, fino alla morte di Clemente VII.

La crisi italiana è vista dal Giucciardini come necessaria per creare un nuovo assetto europeo, i cui fondamenti sono gettati proprio sulla tragedia della libertà italiana. Per quel che riguarda la concezione storiografica dell’autore, è significativo il fatto che l’opera si apra e si concluda con la presentazione di due individui: Lorenzo e Clemente, perché indica che il Guicciardini vede la storia come opera di singole individualità: delle loro capacità, delle loro ambizioni, delle loro passioni, dei loro istinti e delle loro debolezze.

Di qui nasce la ricerca delle ragioni psicologiche da cui hanno ricevuto impulsi i fatti; la logica degli eventi cioè è ricondotta alla psicologia dei singoli. L’opera è autobiografica ed esprime la tristezza nata dal desolante spettacolo dell’Italia in rovina. Compare il sentimento della malvagità degli uomini, dell’instabilità della fortuna. Sono presenti momenti di sofferenza morale che nasce dal costante trionfo della forza bruta su ogni moralità.

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