FEDERICO II DI SVEVIA E REGNO DI SICILIA sintesi

FEDERICO II DI SVEVIA E REGNO DI SICILIA sintesi


-Il matrimonio tra Enrico VI (1190-1197), figlio di Federico I Barbarossa e Costanza d’Altavilla, ultimogenita di Guglielmo II, nata dopo la morte del padre e destinata in un primo momento al convento, unificò le due corone e realizzò il sogno della dinastia sveva. Infatti, dopo la morte di Guglielmo II (terzo sovrano normanno, il secondo fu Guglielmo I), Costanza era l’unica erede legittima del trono di Sicilia. Nonostante l’opposizione di molti baroni meridionali, contrari all’avvento di un sovrano tedesco, il papa Celestino III, nel 1191, conferì l’investitura del regno proprio a Enrico VI, marito di Costanza, incoronandolo re. Con il nuovo sovrano arrivarono nel sud anche nuovi feudatari tedeschi. Tuttavia l’ultima regina normanna e il primo re svevo regnarono per poco: infatti nel 1197 Enrico VI, che si preparava ad una crociata, morì improvvisamente, a soli 32 anni, lasciando i propri titoli (Imperatore e Re di Sicilia) in eredità al figlio Federico, nato nel 1194. Ma nel 1198 morì anche la madre Costanza, che affidò il figlio alla tutela del nuovo pontefice, appena eletto, Innocenzo III: in questo modo ella volle garantire a Federico la successione del regno di Sicilia, che era uno stato vassallo della Chiesa. Il papa riconobbe il diritto dinastico di Federico sul regno di Sicilia ma più difficile si presentò la successione sul trono imperiale tedesco. In Germania infatti nessuno volle riconoscere il fanciullo Federico quale nuovo imperatore e si scatenò quindi una lunga lotta dinastica (durò 10 anni, dal 1198 al 1208) tra la fazione dei guelfi, guidata da Ottone IV di Brunswich, e la fazione dei ghibellini, guidata da Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI.
Nel corso del XII secolo, durante gli scontri dinastici per la successione al trono imperiale tra le diverse casate, soprattutto tra quella di Svevia e quella di Baviera, vennero usati i nomi guelfi e ghibellini ad indicare non solo le due fazioni contrapposte ma anche il loro orientamento politico generale.
In un primo momento Innocenzo III prese le parti di Ottone, al fine di opporsi alla politica ghibellina. Infatti nel 1209 Ottone IV venne incoronato imperatore a Roma dal pontefice: in cambio Ottone rinunciò a tutte le prerogative imperiali sull’elezione dei vescovi, previste nel Concordato di Worms. Inoltre egli confermò al papa tutte le donazioni da cui era nato, nell’Alto Medioevo, lo Stato della Chiesa. Poco dopo, però, Ottone cambiò atteggiamento, rimangiandosi le promesse fatte ad Innocenzo III: fece assassinare il suo antagonista, Filippo di Svevia; cominciò a nominare feudatari tedeschi in Romagna, Ancona e Spoleto; si accinse ad occupare il Regno di Sicilia come terra dell’Impero. Innocenzo III reagì scomunicandolo e contrapponendogli il giovane Federico, a cui riconobbe il titolo imperiale nel 1212. Federico, da parte sua, dovette promettere al papa l’organizzazione di una nuova crociata e l’impegno a mantenere separate la corona di Sicilia e quella imperiale. Lo scontro tra Ottone IV e Federico s’intrecciò con il conflitto in atto tra Francia ed Inghilterra relativo alla questione dei feudi contesi: Ottone si schierò con il re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, Federico con il re di Francia Filippo II Augusto. Con la vittoria decisiva, a Bouvines (1214), di Filippo II su Giovanni Senza Terra, Federico II poté finalmente prendere le redini dei suoi Stati. Mentre stava consolidando il suo potere in Germania, venne a morte Innocenzo III (1216): Federico ritornò in Italia nel 1220 per ricevere a Roma la corona imperiale dalle mani del nuovo pontefice, Onorio III (1216-1226). Tuttavia egli non mantenne le promesse fatte ad Innocenzo: infatti da un lato rimandò a tempo indeterminato l’organizzazione della crociata, dall’altro designò come erede al trono imperiale il primogenito Enrico. In questo modo egli proseguì il piano, che era stato di suo padre e di suo nonno, di fare dell’Italia e della Sicilia un regno unito all’interno dell’Impero, stringendo così il Papato tra due domini tedeschi. In particolare i capisaldi della politica di Federico II furono i seguenti:
a) spostare il centro politico dell’Impero dalla Germania al Regno di Sicilia e riaffermare l’autorità imperiale sui comuni dell’Italia centro-settentrionale;
b) rivendicare la piena autonomia del potere politico laico da ogni ingerenza della Chiesa; nelle Costituzioni di Melfi (1231), di cui si parlerà nel punto seguente, venne ribadito il principio secondo cui l’autorità del sovrano derivava direttamente da Dio, quindi lo Stato non doveva ricevere alcuna forma di legittimazione e di riconoscimento da parte del potere religioso. Era, in un certo senso, la prima affermazione ante litteram della laicità dello Stato;
c) creare in Sicilia una monarchia assoluta, accentrata, burocratica, abbattendo ogni particolarismo ed autonomismo di feudatari e città e livellando tutte le classi di fronte alla suprema autorità dello Stato: a questo scopo emanò le importanti Costituzioni di Melfi. Le Costituzioni di Melfi erano norme che valevano solo per il Regno di Sicilia. Esse sono state definite “il più grande monumento legislativo del medioevo, non solo in Italia ma anche in Europa”. La loro importanza è data non solo dal fatto che esse cercarono di superare il particolarismo dello Stato feudale (particolarismo = sul piano politico questo termine indica la tendenza dei poteri locali ad essere autonomi, cioè a non accettare la subordinazione al potere centrale del re o di chi lo rappresenta) in nome di un principio centralistico (= feudatari e città dovevano dipendere da un unico centro, che emanava disposizioni uguali e valide in tutto il regno), ma anche dal fatto che in esse si manifestò, in forma ancora larvata, il principio moderno dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Finché fu papa il mite Onorio III non si verificò alcun urto con il papato; ma le cose cambiarono con il successore di Onorio, Gregorio IX (1227-1241). Mentre Federico stava riprendendo le ostilità con i comuni italiani, che avevano formato una seconda Lega Lombarda (1226), Gregorio IX, il nuovo pontefice, pretese da Federico di mantenere fede all’impegno di partire per una nuova crociata: così nel 1227 Federico fu costretto ad imbarcarsi, ma ritornò subito indietro (dopo tre giorni) con la scusa di un’epidemia scoppiata tra le truppe. Il papa non gli credette e lo scomunicò una prima volta (Federico venne scomunicato due volte da Gregorio IX e una terza volta dal suo successore Innocenzo IV). L’imperatore tuttavia decise, contro il divieto del papa, di partire per la Terrasanta l’anno dopo, nel 1228: qui, senza combattere, intavolò trattative con il sultano d’Egitto Malek-al-Kamil il quale, con un trattato, concesse ai pellegrini cristiani Gerusalemme, Betlemme, Nazaret e uno sbocco sul mare. Gregorio IX giudicò vergognosa questa trattativa e, approfittando dell’assenza di Federico, fece invadere dalle truppe il regno di Sicilia. Così al suo ritorno l’imperatore dovette combattere per riconquistare il regno e riuscì a costringere il papa alla pace di San Germano (1230), che segnò una breve tregua nel conflitto tra Papato ed Impero: Federico venne assolto dalla scomunica e anche sciolto dall’impegno di tenere separate le due corone. In quel momento premeva a Federico stare in buoni rapporti con il papa, per poter combattere efficacemente i comuni del nord Italia. La lotta contro i comuni fu dura e spaccò l’Italia in due schieramenti, quello favorevole all’imperatore e quello ad esso ostile: molti feudatari italiani, come Ezzelino da Romano, che operava nel Veneto, si schierarono dalla parte di Federico. Clamoroso fu il tradimento di Enrico, il primogenito dell’imperatore, il quale accettò le incitazioni dei comuni a farsi loro capo e a schierarsi contro il padre: Enrico fu sconfitto ed imprigionato e fu confinato in un paese delle Puglie, dove fu lasciato morire. Nel 1237 Federico sconfisse i comuni a Cortenuova, presso Bergamo, ma la loro forza non era ancora fiaccata, mentre si riaccese il conflitto con il Papato, in quanto Federico aveva conferito al figlio Enzo il titolo di re di Sardegna, un territorio che la Chiesa considerava come proprio feudo. Federico allora marciò addirittura su Roma ma fu costretto a ritirarsi per l’accanita resistenza dei romani. Il papa lo scomunicò per la seconda volta e indisse un concilio a Roma per deporre l’imperatore: ma i prelati, che venivano da Francia ed Inghilterra per partecipare al concilio, furono catturati dalla flotta siciliana e pisana sotto il comando di Enzo. Poco dopo Gregorio IX morì e Federico sperò in una riconciliazione con la Chiesa, dopo l’elezione di Innocenzo IV (1243-1254): ma il nuovo pontefice fuggì in Francia e convocò a Lione il concilio che non si era potuto tenere in Italia (1245). Il concilio di Lione scomunicò ancora una volta Federico come spergiuro, sacrilego ed eretico, vietando ai sudditi di obbedirgli, invitando i principi tedeschi ad eleggere un nuovo re e riservandosi ogni decisione per il regno di Sicilia. Nello stesso periodo i comuni italiani settentrionali avevano ripreso la lotta: nel 1249 a Fossalta le truppe imperiali, guidate dal valoroso figlio Enzo, furono sconfitte definitivamente dall’esercito comunale e papale. Enzo fu catturato e portato a Bologna, dove restò imprigionato per 23 anni, fino alla morte. Tradito da molti suoi collaboratori, Federico II morì nel 1250, a 56 anni, a Castel Fiorentino in Puglia. Federico lasciò, per testamento, all’unico figlio legittimo rimasto, Corrado IV, le due corone unite di Germania e Sicilia. Mentre il papa fomentava la rivolta contro gli Svevi, Corrado IV scese in Italia e, con l’appoggio dei feudatari rimasti fedeli alla casa di Svevia, cercò di recuperare il regno. Ma improvvisamente, a soli 26 anni, Corrado IV morì, lasciando in Germania un figlio in tenera età, Corradino.
La guida dei ghibellini e le redini del regno furono prese allora da Manfredi, figlio illegittimo di Federico: nel 1258, a Palermo, Manfredi si fece incoronare re e fu salutato come capo indiscusso da tutti i ghibellini d’Italia. Egli scatenò allora una massiccia offensiva antiguelfa e rese possibile la vittoria di Farinata degli Uberti a Montaperti (1260), che consentì ai ghibellini di riconquistare Firenze. Il nuovo papa Alessandro IV condannò Manfredi come usurpatore, si rifugiò a Viterbo e lo scomunicò. Il successo dei ghibellini fu però breve. Infatti nel 1264 il nuovo pontefice, Urbano IV (1261-1264), di origine francese, conferì il titolo di re di Sicilia a Carlo d’Angiò (fratello del re di Francia Luigi IX) invitandolo a scendere in Italia. La trattativa con Carlo fu continuata e portata a termine dal successore di Urbano, Clemente IV, anche lui francese, il quale garantì al principe il finanziamento dell’impresa e gli confermò l’investitura del reame. Il 6 gennaio del 1266 Carlo fu incoronato a Roma re di Sicilia e, con un esercito di circa trentamila uomini, si diresse verso il sud. Lo scontro decisivo avvenne il 26 febbraio del 1266 sul fiume Calore, presso Benevento, dove i francesi sconfissero le truppe sveve e Manfredi stesso morì in battaglia. Due anni dopo, l’ultimo degli Svevi, il giovanissimo Corradino, scese nel mezzogiorno per rivendicare l’eredità paterna ma, nonostante gli appoggi assicurati o prospettati da alcuni baroni, venne sconfitto a Tagliacozzo (1268). Imprigionato, venne processato e decapitato a Napoli, nella piazza del Mercato, il 29 ottobre.


DAL REGNO DI SICILIA AL REGNO DI NAPOLI: LA GUERRA DEL VESPRO (1282-1302)

Il dominio degli angioini risultò negativo per il meridione sia sotto il profilo politico che sotto quello economico: essi non solo conservarono, ma rafforzarono il sistema feudale, basato sul potere dei grandi latifondisti (che non avevano interesse a migliorare i sistemi di coltivazione e la produttività delle terre) e sui privilegi dei nobili.
Ad esempio i sovrani angioini limitarono i poteri dei magistrati regi e ridussero l’obbligo del servizio militare per gli aristocratici, a cui peraltro venne riconosciuto il diritto di essere giudicati solo da propri pari (quindi solo un tribunale di nobili poteva giudicare un feudatario); inoltre fu abolito il consenso regio, previsto da Federico II, per i matrimoni dei feudatari, venne consentita l’assegnazione in dote di feudi e beni feudali.
Con gli angioini quindi i baroni (= nome con cui si indicano genericamente nobili e feudatari del sud) meridionali, che il grande Federico II aveva in qualche modo sottomesso all’autorità dello Stato centrale, rialzarono la testa, riacquistando potere ed arroganza: d’altra parte i sovrani francesi avevano bisogno del loro sostegno politico-sociale per mantenere il regno. Carlo I d’Angiò creò a sua volta nuovi feudatari (circa 160), tra coloro che lo avevano seguito e sostenuto nella guerra: ma tale rafforzamento della classe feudale si risolse in un peggioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne in quanto aumentarono gli oneri e le prestazioni per i sudditi.
In particolare, sotto gli angioini, ci fu un sensibile incremento della pressione fiscale, che contribuì a creare un clima di ostilità verso i nuovi arrivati: ostilità che trovò ulteriore alimento dallo spostamento della capitale del regno a Napoli (che per i francesi risultava più comoda per tutelare meglio i loro interessi nella penisola e in Provenza), che venne sentito come un affronto verso la Sicilia e come un tentativo di emarginazione. Questi fatti e l’arroganza dimostrata dai francesi determinarono la rivolta siciliana del Vespro (i “Vespri Siciliani”) del 1282: i palermitani si ribellarono contro i nuovi dominatori, che erano considerati estranei ed ostili alla realtà dell’isola (i siciliani in maggioranza erano rimasti legati alla casa di Svevia).
Da Palermo la rivolta si estese rapidamente a tutta l’isola: contro gli angioini i siciliani si rivolsero al sovrano Pietro III d’Aragona, che aveva sposato una figlia di Manfredi di Svevia. Così gli aragonesi di Spagna intervennero in aiuto dei siciliani, dando origine alla prima guerra angioino-aragonese: essa durò 20 anni, dal 1282 al 1302, e si concluse con la Pace di Caltabellotta, con cui la Sicilia passò agli Aragonesi, mentre il resto del meridione formò il nuovo regno di Napoli, sotto il controllo angioino.
Occorre precisare che il regno d’Aragona intervenne al fianco della Sicilia in quanto fortemente interessato ad espandersi nel Mediterraneo, di cui intendeva controllare i ricchi traffici, ma per fare ciò doveva possedere le grandi isole. Nel corso del ‘300, infatti, gli aragonesi s’impadronirono anche della Corsica e della Sardegna.
Durante la guerra del Vespro si formò una dinastia aragonese di Sicilia: infatti Giacomo, figlio di Pietro III, divenne re di Sicilia e, quando ereditò il trono d’Aragona, i siciliani proclamarono re, nel 1296, il fratello Federico III che, con la pace di Caltabellotta, assunse il titolo di re di Trinacria (nome con cui nell’antichità veniva chiamata la Sicilia).
Questo ramo aragonese di Sicilia mantenne per poco più di un secolo, cioè fino al 1412, una propria indipendenza rispetto alla corona d’Aragona, costituendosi di fatto in regno autonomo. Tuttavia il potere dei sovrani aragonesi di Sicilia fu sempre piuttosto debole, in quanto le grandi famiglie baronali tendevano a gestire direttamente gli affari dello Stato, scavalcando l’autorità regia.
Solo con Martino il Giovane (1392-1409) il potere del sovrano riuscì ad affermarsi pienamente. Alla sua morte però si scatenarono nuovi disordini per cui gli Aragona di Spagna decisero di porre fine all’autonomia del regno siciliano, annettendolo direttamente ai propri possedimenti.


APPROFONDIMENTI: LA PENISOLA IBERICA NEL BASSO MEDIOEVO

Dopo il Mille, il Califfato di Cordova (così si chiamava il regno arabo di Spagna) entrò in crisi e subì la pressione militare crescente degli Stati cristiani che cominciarono a sottrarre agli arabi territori, spingendoli sempre più a sud. Questo processo storico è stato indicato con il nome di “reconquista”, ossia la lotta di riconquista della penisola iberica da parte degli Stati cristiani.
E’ da ricordare in particolare la decisiva battaglia di Las Navas di Tolosa del 1212, vinta dagli Stati cattolici, che ricacciarono gli arabi nel loro ultimo possedimento in terra spagnola, il regno di Granada (che sarà conquistato solo nel 1492). Proprio attraverso la lotta contro gli arabi si formò la coscienza nazionale degli spagnoli, una coscienza che trovò il suo fulcro intorno al cattolicesimo, il vero fondamento dell’identità culturale e politica della Spagna. La penisola iberica, intorno al XIII secolo, era suddivisa in alcuni regni feudali aventi caratteristiche politiche ed economiche differenti: all’estremo ovest, affacciato sull’Atlantico, c’era il regno del Portogallo, abbastanza emarginato e legato prevalentemente ai traffici marittimi (i portoghesi, come vedremo, saranno i primi ad esplorare l’oceano). All’estremo sud, nell’Andalusia, c’era il regno di Granada, ancora in mano agli arabi. A nord, nella zona dei Pirenei, ai confini con la Francia, c’era il piccolo regno di Navarra. Al centro c’era il regno di Castiglia, il nucleo profondo e più esteso della Spagna: comprendeva città importanti come Toledo e Siviglia (Madrid era ancora un piccolo villaggio), aveva una caratterizzazione prevalentemente continentale ed agricola, anche se non mancavano sbocchi sul mare, sia nell’Atlantico che nel Mediterraneo. La struttura politica feudale era alquanto accentrata nelle mani della monarchia, che godeva di una relativa stabilità. Il regno d’Aragona era situato invece nella zona orientale della penisola iberica.
Lo Stato aragonese comprendeva prevalentemente le zone montane della parte orientale della penisola iberica, con una popolazione dedita soprattutto all’allevamento. Nel XII secolo iniziò una politica di espansione del regno, che acquisì la Catalogna, ossia il territorio situato sulla costa mediterranea comprendente Barcellona, Saragozza, Valencia (una zona fertile e ricca di attività mercantili e manifatturiere). Tra il 1229 e il 1232 l’Aragona conquistò l’arcipelago delle Baleari e successivamente, con la guerra del Vespro, annesse la Sicilia (1302). Tra il 1323 e il 1332 il regno d’Aragona s’impadronì anche della Sardegna, stabilendo così una propria egemonia nel Mediterraneo, che le consentiva di controllare l’Africa settentrionale ed il vicino Oriente, su cui si stava instaurando il dominio degli ottomani (come avremo modo di vedere).
Ad avvantaggiarsi economicamente di tali conquiste furono soprattutto i mercanti e gli armatori catalani, che poterono contrastare più facilmente la forte concorrenza di Genova.


I PONTEFICI DEL XIII SECOLO

Innocenzo III
Onorio III
Gregorio IX
Celestino IV (per soli 17 giorni)
Innocenzo IV
Alessandro IV
Urbano IV
Clemente IV
Gregorio X (1271-1276)
Onorio IV
Niccolò IV
Celestino V
Bonifacio VIII

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