EUGENIO MONTALE LA POETICA

EUGENIO MONTALE LA POETICA

EUGENIO MONTALE LA POETICA


La grandezza poetica di Montale fu subito evidente sin dalle prime raccolte, ma ora, dopo la sua morte, al termine del secolo, si è in grado di valutare con il necessario distacco il valore di un’opera che si colloca tra le grandi acquisizioni della poesia mondiale del Novecento.
Ossi di seppia trovano ambientazione precisa e unitaria nella geografia ligure della riviera di levante e nel tempo privilegiato della stagione estiva, sul modello, sia pure rovesciato, dell’Alcyone di D’Annunzio. La situazione alcionica viene rovesciata con la decisione del poeta di affrontare senza illusioni estetiche il rapporto tra io e natura, come avviene esemplarmente nella sezione Mediterraneo, dove l’io lirico dialoga col mare, sentito non come entità femminile, materna, luogo delle identificazioni gratificanti, come in Alcyone, ma come ‘padre’, come Legge, cioè come infinitamente ‘altro’. Così il mare simboleggia l’essere, sempre uguale a se stesso nella sua apparente mutabilità, mentre il soggetto è il semplice esistente, il cui retaggio autentico è la temporalità e la morte. E in effetti gli Ossi di seppia sono dominati dalla tematica della temporalità, significata attraverso le moltissime metafore del cerchio cronologico, alla quale si contrappone la possibilità folgorante dell”estasi’, dell’evasione verso un’altra sfera, come predicano le celebri figure della “maglia rotta nella rete”, del “varco”, degli “alti Eldoradi di lassù”, senza che peraltro la possibilità del ‘miracolo’ si offra al poeta come alternativa davvero praticabile, al massimo indicabile ad un ‘tu’ che realizzi la salvezza. Di fronte a questa potenzialità di oltranza religiosa, che non si realizza, si pone l’ampia fenomenologia del negativo, con tutti gli emblemi del “male di vivere” che segna la vera condizione dell’uomo. Al poeta insomma non è concessa né l’esperienza del miracolo né la possibilità di partecipare alla vita di tutti, per cui non resta che l’attenzione spasmodica alle tracce labili, ai barlumi, ai segnali impercettibili di un’oltranza che non si apre. Negli ultimi testi della raccolta, in gran parte aggiunti nella seconda edizione (da Arsenio Incontro) è la donna a porsi come mediatrice del ‘miracolo’, la non nominata Arletta-Annetta conosciuta nelle “estati lontane” di Monterosso, attraverso la quale può realizzarsi un contatto con l'”altra orbita”.

Con le Occasioni si è completamente fuori dell’unità poematica e ambientale degli Ossi, come lo stesso titolo della raccolta annuncia: è la figura della donna a imporsi come propiziatrice delle epifanie di senso. La donna, paradossalmente, è presente come assente, ed è sufficiente ad evocarla una traccia, un lieve segnale, un barbaglio. Così poco importante è la concretezza e la specificità fisica della donna che molte sono le figure femminili che assolvono, sia pure con caratteristiche diverse, la funzione di portatrici dell’oltranza, anche se la figura dominante, specialmente nell’ultima parte della raccolta, è quella della mai nominata Clizia. Non per questa presenza continua della donna la fenomenologia del negativo, così diffusa negli Ossi, si placa, ché anzi essa si trasferisce, si direbbe, dalla natura alla storia, alla cronaca quotidiana, alle vicende contemporanee, soprattutto quelle relative all’imminente scatenarsi della bufera bellica. E’ proprio questo continuo riferirsi implicito a specifiche contingenze dell’esistenza a rendere ‘difficili’ Le occasioni, come poi La bufera, tanto che si è parlato del tutto impropriamente di ermetismo: la relativa oscurità di questa poesia, invece, non dipende dal gioco gratuito delle analogie, ma dalla densità dei significati, per molti dei quali manca la chiave interpretativa. Per questo si deve parlare non tanto di simbolismo, ma di allegorismo, rinviando le figure poetiche non ad altre figure, per corrispondenza analogica, ma a significati riposti. La concretezza del dato reale, dal quale sempre Montale parte (è qualcosa come il “correlativo oggettivo” di Eliot), si apre a significazioni ulteriori, fino ad esiti di vera e propria visionarietà. Non per nulla gioca un ruolo importantissimo, in questa poesia, la presenza di Dante, le cui tracce diventano molto vistose già a partire dagli ultimi Ossi.

La prima parte de La bufera e altro è una vera e propria continuazione delle Occasioni, e delle ultime grandi liriche cliziane soprattutto. In effetti il personaggio della donna, ormai fisicamente lontana dal poeta, è andato assumendo sempre più, nel crescere dell’orrore della guerra, connotazioni salvifiche, come una Beatrice non solo più stilnovistica ma teologica. Il culmine di questa parabola del visiting angel è toccato nella sezione Silvae, dove Clizia assume funzioni propriamente cristologiche. E in rapporto a questa crescita delle responsabilità metafisiche, a contrasto con una realtà storica apocalittica, crescono i toni di una poesia sempre più ispirata e visionaria, che tocca anche i registri del solenne. Ma nelle Bufera c’è anche ‘altro’, come dice il titolo della raccolta, e infatti compaiono le figure femminili di Mosca e di Volpe (una nota poetessa d’oggi), alle quali è pur sempre affidato un ruolo di salvezza, ma senza le forti connotazioni religiose attribuite a Clizia. Nel libro ha poi un ruolo di grande rilievo la presenza dei morti familiari, con i cui fantasmi il poeta intreccia un dialogo che confonde i confini tra la vita e la morte. Nelle liriche finali poi, soprattutto nelle Conclusioni provvisorie, c’è la volontà di riepilogo di tutta un’esperienza esistenziale di alte speranze, in tempi ormai profondamente mutati e dominati dall’imperversare delle ideologie. In questo tempo post-bellico di confusione e di paludoso ristagnare delle speranze, il sogno della donna salvatrice ha ormai perso molto del suo senso, ma rimane tuttavia il proposito di una resistenza a oltranza, nella cenere di un’esperienza consumata ma non estinta (“il mio sogno di te non è finito”).

Satura adatta anche alla poesia, dopo la prosa amabilissima di Farfalla di Dinard, i procedimenti dell’ironia e i toni bassi della prosaicità. Negli anni sessanta Montale sceglie decisamente l’ottica dell’osservatore solitario, reso scettico dal troppo male che ripullula nella nuova democrazia; adesso l’eterna fenomenologia del negativo, in questo clima di risse ideologiche che copre la voglia di potere e la corsa ai conforti del consumismo, prende di mira proprio le idee, e opera direttamente sul linguaggio, deformando ‘comicamente’ lo stile poetico a mimesi ironica dei linguaggi correnti, quelli della chiacchiera culturale e dei mass-media. La prima parte di Satura, il cui titolo allude al tono sarcastico e, latinamente, alla varietà dei contenuti, è occupato dagli Xenia, i piccoli doni per la Mosca, unica ispiratrice ormai tutto prosastica, nella sua domestica sapienzialità, del poeta rimasto tra le sue memorie. Mosca è la prosa, l’irrisione, la scettica sopravvivenza dopo la ‘poesia’ rappresentata da Arletta, da Clizia e anche da Volpe: la donna-angelo diventa il “piccolo angelo buio”, il “miniangelo spazzacamino”, la cui funzione è quella, minima e decisiva, di segnalare comunque, nei modi più umili e banali, la presenza del ‘diverso’. Così la polemica inaugurata da Satura e proseguita coi Diari e col Quaderno di quattro anni è diretta, oltre che alle forme della vita contemporanea, ai procedimenti poetici adottati in passato, dovendo convivere banalità e discorso della banalità, mentre soprattutto nelle ultime poesie di Altri versi il discorso ritorna alle grandi ombre delle prime raccolte, ai miti che le hanno ispirate, a chiusura quasi circolare di una ricerca poetica durata sessant’anni.

Testo tratto da Antologia della letteratura italiana vol. IV, a cura di Elio Gioanola e Ida Li Vigni, Ed. Librex, Milano 1992