Ernesto Che Guevara

Ernesto Che Guevara

Il pensiero di un uomo che è diventato un mito.


Biografia:

Ernesto Guevara, “Che” per la storia, nasce nel 1928 a Rosario, in Argentina. Laureatosi in Medicina a Buenos Aires, viaggia per tutto il Sudamerica. Nel 1956 conosce Fidel Castro e prende parte alla guerriglia contro il dittatore cubano Fulgencio Batista. Dopo la conclusione vittoriosa della rivoluzione cubana, ricopre diversi incarichi di responsabilità nella costruzione del socialismo a Cuba, finché non matura la scelta di dedicarsi completamente alla lotta di liberazione degli altri popoli latino-americani. Nel 1967 muore assassinato da agenti del regime della Bolivia.

Se in qualcosa e per qualcosa lottiamo per essere l’avanguardia di questo o di quello è per avere l’onore di dire che siamo in posizione avanzata nel compito di dare al nostro popolo tutto quello che merita, per le sue straordinarie azioni, per il suo straordinario valore, per il suo esempio luminoso per tutti i popoli d’America e del mondo.

A volte noi rivoluzionari siamo soli, perfino i nostri figli ci guardano come si guarda un estraneo. Ci vedono meno del soldato di posta che chiamano zio.

…non finisce lì né voi avrete saldato il vostro debito con la società nel momento in cui sarete accolti e vi sarete convertiti in operai qualificati; avrete pagato semplicemente la parte proporzionale del debito che c’era da pagare quell’anno, ma poi continuerete ad avere degli obblighi, obblighi che nessuno vi richiederà, che nessuno vi ricorderà tutti i giorni, ma che voi dovrete sentire tutti i giorni per essere davvero dei rivoluzionari.

Le cose più banali e più noiose si trasformano, sotto l’egida dell’interesse, dello sforzo interiore dell’individuo, dell’approfondimento della sua coscienza, in cose importanti e sostanziali, in qualcosa che non può smettere di fare senza sentirsi male: in ciò che si chiama sacrificio.

L’importante è che gli uomini vadano acquistando ogni giorno più coscienza della necessità del loro incorporarsi nella società e, al tempo stesso, della loro importanza come motori della stessa.

Dobbiamo lavorare per il nostro perfezionamento interno quasi come un’ossessione, una pulsione costante; ogni giorno analizzare onestamente ciò che abbiamo fatto, correggere i nostri errori e tornare a incominciare il giorno appresso.

Tutti e ciascuno di noi paga puntualmente la sua quota di sacrificio, cosciente di riceverne il premio nella soddisfazione del lavoro compiuto, cosciente di avanzare con tutti verso l’uomo nuovo che si intravede all’orizzonte.

L’argilla fondamentale della nostra opera è la gioventù: in essa poggiamo la nostra speranza e la prepariamo a prendere dalle nostre mani la bandiera.

Di fronte a tutti i pericoli, di fronte a tutte le minacce, le aggressioni, i blocchi, i sabotaggi, tutti i frazionisti, tutti i poteri che cercano di frenarci, dobbiamo dimostrare, una volta di più, la capacità del popolo di costruire la propria storia.

Compagni, direi che noi siamo viziati dal contatto con il popolo e che non possiamo smettere di averlo; ci sentiamo male quando ci troviamo in un posto qualsiasi in cui non possiamo dialogare con lui e non possiamo dargli la nostra piccola esperienza e ricevere l’enorme esperienza e l’enorme dose di sapienza che il popolo ci elargisce tutti i giorni.

La forza è la definitiva risorsa che rimane ai popoli. Un popolo non può mai rinunciare alla forza, ma la forza deve essere usata solo per lottare contro chi la esercita in maniera indiscriminata.

Non credo che siamo stretti parenti, ma se Lei è capace di tremare d’indignazione ogni qualvolta si commetta un’ingiustizia nel mondo, siamo compagni, il che è più importante.

Quando un popolo acquista la coscienza della propria forza, prende la decisione di lottare, la decisione di andare avanti, allora sì che è forte e allora sì che può affrontare qualsiasi nemico.

Non possono esservi transazioni, non possono esservi mezzi termini, non può esservi pace che garantisca a metà la stabilità di un paese. La vittoria deve essere totale.

La nostra generazione avrà un posto nella storia di Cuba e un posto nella storia d’America (…). Quando l’imperialismo volle reagire, quando si rese conto che il gruppo di giovani inesperti che passeggiavano trionfanti per le strade dell’Avana aveva un’ampia conoscenza del suo dovere politico e una ferrea decisione a compiere quel dovere, era troppo tardi.

…ogni popolo che inizia la sua lotta, comincia anche a scavare la tomba dell’imperialismo e si merita tutto il nostro appoggio e il nostro plauso.

…l’operaio deve ricordare che essere presente nel suo posto di lavoro è essere presente nella sua trincea, in una lotta che è all’ultimo sangue, una lotta che non ammette tentennamenti e una lotta in cui la sconfitta significa la sconfitta di tutti senza eccezione alcuna…

Noi dobbiamo fare in modo che la differenza fra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale vada attenuandosi, rimpicciolendosi nel più breve tempo possibile.

…qualità è quello che dobbiamo dare al nostro popolo; è un nostro dovere, un dovere di ciascuno come parte del nostro dovere verso la comunità.

Il primo, forse il più importante, il più originale è quella forza tellurica che risponde al nome di Fidel Castro Ruz, nome che in pochi anni ha raggiunto proiezioni storiche. Il futuro assegnerà il giusto posto ai meriti del nostro Primo Ministro ma a noi piace paragonarli a quelle delle più alte figure storiche di tutta l’America Latina. E quali sono le circostanze eccezionali che circondano la personalità di Fidel Castro? Vi sono vari aspetti nella sua vita e nel suo carattere che lo pongono ampiamente al di sopra di tutti i suoi compagni e seguaci; Fidel è un uomo di tale personalità che a qualsivoglia movimento partecipi deve guidarlo e così ha fatto nel corso della sua carriera. Ha le caratteristiche del grande condottiero che, sommate alle doti personali di audacia, forza e coraggio e all’ansia straordinaria che ha di saggiare sempre la volontà del popolo, lo hanno portato al posto d’onore e sacrificio che oggi occupa. Ma ha ancora altre qualità importanti, come la capacità di assimilare nozioni ed esperienze, di comprendere il complesso di una data situazione senza perderne di vista i dettagli, la fede smisurata nel futuro e la vastità di una visione che gli permette di prevenire gli eventi e di anticipare i fatti, riuscendo a veder sempre più lontano e meglio dei suoi compagni. Con queste grandi qualità cardinali, la sua capacità di saldare, di unire, opponendosi alla divisione che debilita, la capacità di condurre alla testa di tutti l’azione del popolo, il suo amore infinito per esso, la sua fede nel futuro e la capacità di prevederlo, Fidel Castro ha fatto più chiunque a Cuba per costruire dal nulla quel formidabile apparato che è la Rivoluzione cubana.

Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza.

Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in ogni parte del mondo. E’ la qualità più bella di un rivoluzionario.

La prima cosa che deve fare un rivoluzionario che scrive la storia è tenersi aderente alla verità come un dito in un guanto.

Vale milioni di volte di più la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.

Dati biografici del comandante Ernesto Che Guevara

Ernesto Guevara de la Serna, di professione medico, per vocazione combattente internazionalista. Per la storia: Eroico Guerrigliero. Nacque a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928. Figlio di Ernesto e Celia, era il maggiore di cinque fratelli. Sin dalla più tenera età soffre di asma, malattia che lo accompagnerà per tutta la vita. Malgrado questa infermità, conduce una vita normale in virtù della ferrea volontà di imporsi sul male che lo affligge. Nel 1941 inizia i corsi di baccellierato a Còrdoba. Pratica il rugby, sport in cui, a detta del suo compagno Alberto Granados, si dimostra giocatore intrepido: “A volte si allontanava dal campo per applicarsi un vaporizzatore. L’asma l’opprimeva”. Si dedicava anche a lunghe camminate in campagna, mostrando vivo interesse per le forme di vita di contadini e braccianti. Partecipava a manifestazioni studentesche. Dice di lui Fernando Barral: “Era audace, non provava paura alcuna del pericolo ed era estremamente sicuro di sé”. Nel 1945, trasferitosi con la famiglia a Buenos Aires, si iscrive alla facoltà di Medicina. Approfitta delle vacanze per percorrere in lungo e in largo il paese. La bicicletta è la sua inseparabile compagna di viaggio. Il 29 dicembre 1951 intraprende, con Granados, un viaggio in moto con l’idea di visitare alcuni paesi sulla costa del Pacifico. A causa di guasti alla moto i due non portano a termine il viaggio. “Questo fatto” dice Granados “Ci dette la possibilità di conoscere il paese (Santiago del Cile). Facemmo vari lavori per guadagnare del denaro e proseguire il viaggio. E così fummo trasportatori di merci, portatori di zattere, marinai, guardie e medici, lavapiatti”. Arrivano in Perù all’inizio del 1952 e svolgono dei lavori come medici volontari nel lebbrosario di San Pablo, provincia di Iquitos, sulle rive del Rio delle Amazzoni, dove si guadagnano le simpatie e l’ammirazione dei malati che intrattengono giocando con loro a pallone e compiendo insieme alcune escursioni nelle vicinanze. “Il fatto che due dottori” dice Granados “Decidessero di perdere il loro tempo con essi, le nostre dimostrazioni di affetto e di amore li riempirono di gratitudine costruirono una zattera perché potessimo attraversare il Rio delle Amazzoni facendo un percorso di vari chilometri per arrivare a Leticia, dove il rio delle Amazzoni abbraccia il Brasile, il Perù e la Colombia”. Visitano Leticia, in Colombia, e qui organizzano una partita di calcio per ottenere fondi con i quali poter proseguire il viaggio fino a Bogotà. In quest’ultima città vengono arrestati dalla polizia del dittatore Laureano Gòmez. Non appena liberati, seguono il consiglio di alcuni amici secondo i quali la cosa migliore da fare è lasciare il paese. Partono per il Venezuela. Nel luglio di quell’anno, verso la fine del mese, il Che si imbarca su un aereo che trasporta cavalli e raggiunge Miami. Dovendo aspettare quasi n mese perché i cavalli vengano venduti, si reca ogni giorno in biblioteca; l’economia cui è costretto gli consente solo di consumare un caffelatte con del pane al giorno. Fa ritorno a Buenos Aires per terminare i suoi studi di Medicina. Supera gli 11 esami che ancora gli restano e si laurea nel marzo del 1953. Riceve la chiamata per il servizio militare ma viene riformato. Dice Granados: “Con due o tre compagni prese il treno lechero che va da Buenos Aires a La Paz, 6000 chilometri di viaggio. Un treno che si ferma dappertutto. Una cosa spaventosa.

Poi attraversò il lago Titicaca, dove già eravamo stati nel precedente viaggio e proseguì lungo la costa perché aveva una certa fretta di arrivare in Venezuela”. Non realizza l’intento di arrivare in Venezuela. A Guayaquil incontra l’esule bonarense Ricardo Rojo, fuggito rocambolescamente dalle carceri argentine e rifugiatosi presso l’ambasciata del Guatemala, dove arriva il 21 dicembre 1953. Gli albori del 1954 in Guatemala non son facili per il Che. Per sopravvivere fa il venditore ambulante e percorre l’interno del paese. In questi traffici conosce Nico Lòpez e altri cubani, che lo mettono al corrente dell’assalto alla caserma Moncada, gli parlano di Fidel e della lotta, tirannia di Batista. Del Che racconta Lòpez: “Andava in giro con le scarpe tutte rotte, indossava quasi sempre la stessa camicia, un po’ fuori e un po’ dentro”. Caduto il governo Arbenz, il Che si rifugia nell’ambasciata argentina. Di lì fugge in Messico, evitando in tal modo di cadere nelle mani dell’FBI. In Messico si incontra con alcuni cubani del 26 luglio che aveva conosciuto in Guatemala e, fra questi, conosce Raùl Castro. A Città del Messico il che si dedica a fare fotografie nei parchi, in società con un messicano che le sviluppava clandestinamente. Agli inizi del 1955 ottiene un lavoro come medico all’Ospedale Centrale della città. Verso la metà dell’anno si sposa con Hilda Gadea. Nel 1955 il futuro expedicionario partecipava alle riunioni rivoluzionarie, svolgeva il suo lavoro da professionista della Medicina e inoltre studiava il marxismo-leninismo, disciplina alla quale prestava enorme attenzione. La spedizione non avviene alla data indicata a causa dell’arresto di Fidel. In seguito verranno arrestati altri compagni e, insieme a loro, il Che. Il 25 giugno 1956 compare per la prima volta nella stampa messicana il nome di Ernesto Guevara legato a quello dei rivoluzionari cubani al seguito di Fidel. Il 25 novembre 1956 parte il battello Granma con 82 uomini, in una notte tempestosa, dal fiume Tuxpan. Il 2 dicembre sbarcarono a Belic, spiaggia de Las Coloradas. Il 5 dicembre si buttano a riposare in un canneto. Ha inizio il combattimento; il Che viene ferito. Usciti dal canneto e sfuggiti all’agguato mortale che era stato loro teso, vagarono alcuni giorni in direzione della Sierra Maestra. Il 26 dicembre il piccolo gruppo sopravvissuto riesce a riunirsi al Fidel. La prima vittoria del gruppo avvenne il 17 gennaio 1957, nella battaglia di La Plata. Al termine della prima quindicina del luglio 1957 il Che riceve il grado di comandante. Il 30 agosto prende parte alla battaglia di El Hombrito e il 16 settembre a quella di Pino del Agua. Il 24 contro la maggio 1958, dopo il fallimento dello sciopero del 9 aprile, ha inizio l’offensiva dell’esercitodi Batista contro il territorio occupato dai ribelli nella Sierra Maestra. Il 21 agosto 1958 il comandante in Capo Fidel Castro ordina al comandante Ernesto Guevara di spostarsi, a capo della colonna 8 “Ciro Redondo”, nel territorio di Las Villas. Il 31 agosto prende il via la marcia della colonna n.8. Il 16 ottobre le truppe del Che raggiungono la Sierra Escambray. Le truppe comandate dal Che il 26 ottobre attaccano e prendono la caserma di Guinìa de Miranda; il 31 dicembre attaccano Fomento, che il 18 cade nelle loro mani. Il 23 dicembre attaccano e prendono la città di Cabaiguàn e il 25 cade Placetas. Quel medesimo giorno anche Remedios e Caibarién passano nelle mani dei ribelli. Il 28 ha inizio la battaglia di Santa Clara. Il 31 dicembre “Santa Clara era quasi in potere della Rivoluzione”. Il primo gennaio si conclude la presa di Santa Clara e il Che riceve dal comandante in Capo l’ordine di proseguire fino all’Avana: ordine che esegue immediatamente. Il 25 gennaio occupa la fortezza di La Cabana.

Citazioni riguardanti o dette dal Che

Voleva vincere, come vuole vincere chiunque; sognava di diventare un famoso ricercatore, sognava di lavorare senza tregua per raggiungere qualcosa che infine poteva essere messo a disposizione dell’umanità ma che in quel momento era una vittoria personale. Era, come tutti noi, un figlio del ceto medio.

Dopo la laurea, spinto a circostanze speciali e forse anche spinto dal mio stesso carattere, presi a viaggiare per l’America e la conobbi tutta. Salvo Haiti e Santo Domingo, tutti gli altri paesi d’America sono stati in qualche modo visitati da me.

Fidel ebbe alcuni gesti che, potremmo quasi dire, compromettevano il suo atteggiamento rivoluzionario in pro dell’amicizia. Ricordo che gli esposi specificamente il mio caso: uno straniero illegale in Messico, con una serie d’imputazioni addosso. Gli dissi che in nessun modo la rivoluzione doveva fermarsi a causa mia e che poteva abbandonarmi: che io mi rendevo conto della situazione e che potevo andare a combattere da dove me lo comandassero e che l’unico sforzo da farsi era che mi spedissero in un paese vicino e non in Argentina. Ricordo pure la risposta secca di Fidel: “Io non ti abbandono”.

Il nostro piccolo drappello si presentava senza uniformi né armamenti, poiché le due pistole in nostro possesso erano tutto quello che eravamo riusciti a salvare dal disastro e la strapazzata che ci fece Fidel fu assai violenta.