EREMI E CENOBI FORME DI VITA MONASTICA

EREMI E CENOBI FORME DI VITA MONASTICA

EREMI E CENOBI FORME DI VITA MONASTICA

EREMI E CENOBI: FORME DI VITA MONASTICA
Grande importanza nella vita religiosa di quei secoli ebbe il monachesimo, che, proprio nell’età di Giustiniano, conobbe una delle sue esperienze più significative: quella di Benedetto di Norcia (480-543),  fondatore del monastero di Montecassino. Non bisogna però dimenticare che proprio al tempo di Benedetto  il monachesimo era già diffuso in tutta la cristianità.

La sua opera si spiega infatti ricordando l’esistenza di tradizioni molto più antiche.
Il monachesimo ebbe origine dalle esperienze religiose degli eremiti che fra il III e IV secolo praticavano una vita ascetica di isolamento, di rinunzie e di meditazione nei deserti dell’Egitto. La scelta di una vita ascetica, cioè di mortificazione delle passioni e di esercizio dello spirito, nasceva per questi monaci dal desiderio di realizzare un ideale martirio che sostituisce quello del sangue, reso impossibile dalla fine delle persecuzioni.
Il secondo grande momento della storia del monachesimo fu costituito dal suo sviluppo nella forma cenobitica. Si diffusero cioè i cenobi, le comunità  monastiche desiderose di incarnare, mediante pratiche ascetiche e la meditazione, l’ideale evangelico di perfezione e di penitenza. Si pensava infatti che soltanto nel monastero, considerato come un’isola di perfetta vita cristiana, fosse possibile realizzare le virtù cristiane autentiche un monaco egiziano, Pacomio, a stabilire alla fine del III secolo la prima regola di vita comunitaria: i cenobiti vivevano del proprio lavoro e praticavano la castità, la povertà e l’ubbidienza.

LA REGOLA BENEDETTINA
IL SENSO DELLA MISURA NELLA VITA MONASTICA
Fu importante, nel continente, l’emergere in quegli anni di una nuova forma di vita monastica, proposta dalla REGOLA che Benedetto da Norcia compose per i suoi monaci di Montecassino nei primi decenni del VI secolo. Tre aspetti essenziali caratterizzarono questa regola.

1-Il senso della misura. La regola benedettina propose una forma di vita cenobitica molto più vicina di quella irlandese al costume quotidiano del tempo: attinse largamente ad altre “regole” già in uso nel mondo monastico e fu improntata a un vivo senso della misura e della moderazione, che ne favorì enormemente la diffusione. Essa richiedeva ai membri della comunità monastica di obbedire al proprio abate, di restare perennemente legati al monastero, di condurre un’esistenza equilibrata, senza austerità corporali eccessive.
2-L’importanza attribuita alla lettura e allo studio. La regola attribuiva un certo margine anche all’attività intellettuale, che però doveva essere limitata ad approfondire i testi delle scritture. Per consentire la lettura ( circa 20 ore la settimana) i monasteri dovevano essere provvisti di una biblioteca. Ben presto furono dotati anche di una scuola, dove i giovani monaci imparavano a leggere e si sforzavano di apprendere i salmi a memoria. Le scuole monastiche funzionavano così bene che divennero il modello a cui si ispirano le stesse scuole presbiterali ed episcopali. In quasi tutti i monasteri era inoltre organizzato uno studio (scriptorium), dove i manoscritti della biblioteca venivano ricopiati. Grazie a scuole, biblioteche e scriptoria, le abbazie svolsero nei secoli centrali del medioevo una funzione importantissima di conservazione e di trasmissione della cultura.
3-L’importanza attribuita al lavoro manuale. La vita quotidiana doveva essere consacrata in parte alla preghiera e in parte al lavoro manuale, interpretato come forma di ascesi. L’abbazia doveva inoltre essere provvista di una proprietà terriera sufficiente per mantenerla indipendente dall’esterno: era dunque anche un centro economico e produttivo. Più che una comunità in cui si perseguiva eroicamente un ideale ascetico sostitutivo del martirio, diventava un rifugio in mezzo alle tempeste del mondo circostante: un rifugio in cui, se non ci macerava nella penitenza, non ci si dedicava neppure a una vita di pura contemplazione.
Coerente con questa concezione il monachesimo benedettino non svolse perciò ai suoi inizi una funzione missionaria di predicazione del messaggio cristiano. Soltanto alla fine del VI secolo papa Gregorio Magno ne fece, come si vedrà poi, uno strumento di evangelizzazione.


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