EPISTULAE ad Atticum IX 11A

EPISTULAE ad Atticum IX 11A

Scritta nel Formiano il 19 o il 20 marzo del 49

Cicerone generale vittorioso a Cesare generale vittorioso

[1]Ut legi tuas litteras quas a Furnio nostro acceperam quibus mecum agebas ut ad urbem essem, te velle uti ‘consilio et dignitate mea’ minus sum admiratus; de ‘gratia’ et de ‘ope’, quid significares mecum ipse quaerebam, spe tamen deducebar ad eam cogitationem ut te pro tua admirabili ac singulari sapientia de otio, de pace, de concordia civium agi velle arbitrarer, et ad eam rationem existimabam satis aptam esse et naturam et personam meam. [2] quod si ita est et si qua de Pompeio nostro tuendo et tibi ac rei publicae reconciliando cura te attingit, magis idoneum quam ego sum ad eam causam profecto reperies neminem qui et illi semper et senatui cum primum potui pacis auctor fui nec sumptis armis belli ullam partem attigi iudicavique eo bello te violari contra cuius honorem populi Romani beneficio concessum inimici atque invidi niterentur. sed ut eo tempore non modo ipse fautor dignitatis tuae fui verum etiam ceteris auctor ad te adiuvandum, sic me nunc Pompei dignitas vehementer movet. aliquot enim sunt anni cum vos duo delegi quos praecipue colerem et quibus essem, sicut sum, amicissimus. [3]  quam ob rem a te peto vel potius omnibus te precibus oro et obtestor ut in tuis maximis curis aliquid impertias temporis huic quoque cogitationi ut tuo beneficio bonus vir, gratus, pius denique esse in maximi benefici memoria possim. quae si tantum ad me ipsum pertinerent, sperarem me a te tamen impetraturum, sed, ut arbitror, et ad tuam fidem et ad rem publicam pertinet me et pacis et utriusque vestrum . . . et ad civium concordiam per te quam accommodatissimum conservari. ego cum antea tibi de Lentulo gratias egissem, cum ei saluti qui mihi fuerat fuisses, tamen lectis eius litteris quas ad me gratissimo animo de tua liberalitate beneficioque misit,  eandem me salutem a te accepisse  quam ille. in quem si me intellegis esse gratum, cura, obsecro, ut etiam in Pompeium esse possim.

(1) Quando ho scorto la tua lettera recapitatami dal nostro amico Furnio, nella quale tu avanzi la

richiesta del mio rientro a Roma, ho provato stupore, però in forma ridotta, per il tuo desiderio di giovarti “dei miei consigli e del mio alto prestigio”, ma piuttosto mi sono domandato cosa intendi dire con le espressioni” la mia influenza e il mio appoggio”. Tuttavia sono stato indotto dalla speranza a riflettere sì da formarmi l’idea che tu, in virtù della tua meravigliosa ed eccezionale saggezza, vuoi che si stabiliscano le condizioni per assicurare la tranquillità, la pace, la concordia dei cittadini, programma questo , alla realizzazione del quale secondo il mio convincimento, possono utilmente concorrere non soltanto la mia disposizione naturale, ma anche la mia personalità morale. (2) se le cose stanno realmente così e se ti sfiora la mente il pensiero di vegliare sulla sorte del nostro Pompeo nell’intento di riconciliarlo con te e con lo Stato repubblicano, senza dubbio non troverai nessuno più adatto di me a perseguire quel fine, in quanto mi sono reso promotore di pace, come, rispetto a lui sempre, così, nei confronti del Senato non appena ne ho avuto la possibilità e, quando è divampata la lotta armata, non  mi sono immischiato affatto nelle operazioni belliche.  In proposito il mio giudizio netto è stato che da siffatta guerra eri tu ad essere maltrattato, perché nemici personali e politici rosi dall’invidia concentravano i loro sforzi contro la testimonianza di stima resa a te per la distinzione concessa dal popolo romano. Però, come allora non mi limitai ad assumere la difesa del tuo prestigio, ma esercitai anche una funzione di stimolo sugli altri per garantire un aiuto, così ora il prestigio di Pompeo mi tocca vivamente l’animo. Di fatto son già alcuni anni che io ho scelto voi due per circondarvi delle mie particolari premure e per esservi amico al cento per cento, come in realtà sono. (3) Perciò ti chiedo o, più esattamente, ti prego e ti scongiuro quanto più posso che tu, pur fra le tue gravosissime competenze, riesca a dedicare un po’ di tempo anche ad una riflessione orientata nel senso che io, grazie a te, arrivi a palesarmi come uomo probo, riconoscente, insomma, devoto nella memoria che serbo di un immenso beneficio. Se questo intervento riguardasse unicamente me stesso, spererei, tuttavia, di poterlo ottenere da te; per, a mio parere, coinvolge non soltanto il tuo senso di lealtà, ma anche gli interessi dello Stato repubblicano il fatto che rimanga sulla breccia io che sono amico sia della pace, sia dell’uno e l’altro di voi due, e, grazie a te, il più idoneo a ristabilire la concordia tra voi e tra i cittadini.

In una precedente occasione ti ho espresso i miei ringraziamenti riguardo a Lentulo, in quanto che hai assicurato la salvezza a colui che prima l’aveva procurata a me; ora, però, dopo aver letto la lettera che egli mi ha inviato con i sensi della sua immensa gratitudine per la tua generosità e bontà,… la perfetta identità della salvezza accordata da te a me rispetto a quella che hai offerto a lui. Se non ti sfugge che sono riconoscente per Lentulo, adoperati, te ne prego, affinché io possa esserlo anche per Pompeo.