ENEIDE LIBRO VI PROFEZIE DI SIBILLA ( 42-101)

ENEIDE LIBRO VI PROFEZIE DI SIBILLA ( 42-101)


C’è un lato scavato della rupe euboica in caverna,
a cui menano cento vasti ingressi, cento porte
da cui corrono altrettante voci, responsi della Sibilla.
Si era giunti alla soglia, quando la vergine: ” E’ il momento
Di chiedere i fati, disse, Il dio, ecco, il dio”. A lei che parla così davanti ai battenti improvvisamente, non il volto, non
il colore, né pettinate restaron le chiome, ma il petto ansante e il cuore selvaggio si gonfia di rabbia e sembrava
più grande e non parlare umanamente, poichè si espresse
essendo troppo vicina la potenza del dio. “Esiti nei voti
e nelle preghiere, disse, troiano Enea? Esiti? No si apriranno
prima le grandi bocche della casa invasata” Dopo aver
parlato così, tacque. Un gelido brivido attraversò i Teucri
lungo le dure ossa e il re dice preghiere dal fondo del cuore:
“Febo, che sempre hai compianto i duri travagli di Troia,
tu che guidasti le armi dardanie e le mani di Paride contro
il corpo dell’ Eacide, attraversai tanti mari che entrano in
grandi terre, sotto la tua guida, le genti de Massili nascoste all’nterno e i campi posti davanti alle Sirti,
ormai raggiungiamo finalmente le spiagge fuggenti dell’Italia:
oh fin qui ci avesse seguiti la sorte troiana;
ormai è giusto che voi personiate il popolo di Pergamo, o dei
e dee, cui spiacque Ilio e la grande gloria
della Dardania. E tu veneratissima profetessa,
conscia del fututo, concedi ( non chiedo regni non dovuti
per i miei fati) ai Teucri di fermarsi nel Lazio e anche agli dei erranti e alle sconvolte potenze di Troia.
Allora costruirò per Febo e Trivia un tempio di forte
Marmo e giorni festivi in nome di Febo.
Grandi sacrari attendono pure te nei nostri regni:
qui infatti io porrò le tue sorti e gli arcani segreti
predetti al mio popolo ed eleggerò, o divina, uomini scelti.
Solo non affidare alle foglie i tuoi versi,
perché sconvolti non volino come giochi per i rapidi venti.
Chiedo che tu stessa profetizzi.” Mise fine al parlare a voce.
Ma la profetessa non ancora soggetta di Febo, gigantesca
Nell’antro si agita, se potesse scuotere dal petto
Il gran dio: tanto più egli affatica la bocca rabbiosa
Domando il cuore furioso e la plasma incalzando.
Ora le cento grandi porte della casa si apriron
Spontaneamente: per l’ampia aria trasmettono
I responsi della profetessa:
“O finalmente scampato ai grandi pericoli del mare
(ma più pesanti restan quelli di terra) i Dardanidi verranno nel regno di Lavinio (caccia tale affanno dal cuore)
ma vorranno non esservi giunti. Vedo guerre, orribili guerre,
e il Tevere spumeggiante di molto sangue.
Non ti mancheranno Simoenta, Xanto e accampamenti dorici.
C’è un altro Achille partorito per il Lazio,
anch’egli nato da dea. Né mai Giunone mancherà
alleata contro i Teucri: quando tu supplice in situazioni penose,
quali popoli degli Itali e quali città non pregherai!
Causa di tanto male per i Teucri di nuovo una donna forestiera
Ancora nozze straniere.
Tu non cedere ai mali, ma più fiducioso avanza,
dove la tua sorte ti permetterà. La prima via di salvezza,
cosa che non credi, si aprirà da una città greca.”
Con tali parole dalla caverna la Sibilla cumana
predice dubbi terribili e rimbomba nell’antro,
avvolgendo verità a incertezze; Apollo alla furente
scuote tali redini e muove pungoli nel petto

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