ENEIDE IX VV 176-223 VV 314-328 VV 384-449

ENEIDE IX VV 176-223 VV 314-328 VV 384-449

ENEIDE IX VV 176-223 VV 314-328 VV 384-449


Enea, sbarcato nel Lazio, ha ottenuto l’ospitalità del re Latino; questi ha riconosciuto nell’eroe troiano lo straniero che, secondo profezie ben note, avrebbe dovuto sposare sua figlia Lavinia e fondare un regno glorioso. Ma Giunone si è accorta che la situazione volge in positivo per i Troiani e, adirata, decide di evocare dagli inferi la furia Aletto, perché sparga discordia e volontà di guerra nel Lazio. Così accade. In particolare, Turno, il principe rutulo cui precedentemente era stata promessa in sposa Lavinia, e che gode del favore della madre di lei, Amata, si pone a capo della rivolta dei Latini contro Enea ed i Troiani, indicati come invasori.

Tuttavia, quando Turno ed i suoi alleati muovono il primo attacco all’accampamento dei Teucri, Enea è lontano: egli, infatti, si è recato nella città di Pallanteo, presso il re arcade Evandro, a chiedere aiuti. Nonostante ciò, Turno non riesce ad avere la meglio sui Troiani e, quando scende la sera, le azioni di guerra vengono sospese; Rutuli e Latini organizzano il loro campo, fissano i turni di guardia e presidiano gli accessi all’accampamento troiano.

I Troiani, dal canto loro, fanno lo stesso. Ma due giovani guerrieri, Eurialo e Niso, che durante i giochi funebri in onore di Anchise (5, 293 – 361) si erano distinti per la loro salda amicizia, decidono di compiere insieme una sortita, per avvisare Enea di quanto sta accadendo.


Una porta era custodita da Niso, fortissimo nelle armi,

figlio di Irtaco, che l’Ida ricco di cacce aveva mandato ad Enea

come compagno, veloce con l’asta e con le frecce leggere:

e, vicino, l’amico Eurialo, del quale non vi fu un altro

più bello tra gli Eneadi o vestì le armi troiane,       180

un fanciullo, che coi primi segni della giovinezza adornava il viso mai rasato.

Essi erano uniti da un solo amore e correvano in battaglia insieme:

anche allora presidiavano la porta con una guardia comune.

Niso dice: “Gli dei suscitano questa passione negli animi,

Eurialo, oppure per ciascuno di noi la folle passione diventa un dio?    185

Da tempo il cuore mi sprona ad irrompere in battaglia

o a tentare qualcosa di grande, e non si accontenta della placida quiete.

Vedi che sicurezza nelle cose si è impadronita dei Rutuli.

Scintillano rade luci; snervati dal sonno e dal vino,

giacciono inerti; tutt’intorno è silenzio: dunque, senti      190

perché sono incerto e quale pensiero mi sorge nell’animo.

Tutti quanti, sia il popolo, sia gli anziani, chiedono che si chiami

Enea e che si mandino degli uomini a riferire notizie certe.

Se promettono per te quel che io chiedo (infatti a me basta

la gloria dell’impresa), sotto quel colle mi pare di poter      195

trovare la via per le mura e la città di Pallanteo”.

Eurialo si stupì, colpito dal grande amore

di gloria: subito parla così all’amico eccitato:

“Dunque, non mi vuoi prendere come compagno per le imprese più grandi,

Niso? Ti lascerò andare da solo in un tale pericolo?      200

Non mi ha educato così mio padre, Ofelte, abituato alle guerre,

allevandomi fra il terrore argolico e le fatiche di Troia,

né mi sono mai comportato così con te,

avendo seguito il magnanimo Enea ed il suo destino, fino alla fine:

c’è qui, c’è un animo che disprezza la luce e che crede      205

che questo onore, cui tu aspiri, si acquisti bene con la propria vita”.

E Niso: “Certamente non temevo di te niente di simile,

sarebbe ingiusto: spero che mi restituisca a te in trionfo

il grande Giove o chiunque osservi queste vicende con sguardo equo.

Ma se qualcuno (tu vedi che sono molte le possibilità in tale situazione),    210

se qualcuno, o il caso o un dio, mi travolgesse,

vorrei che tu mi sopravvivessi; la tua età è più degna di vita.

Se io fossi vinto in battaglia o riscattato con l’oro, ci sarebbe qualcuno

a darmi sepoltura, oppure se la Sorte, avvezza a ciò, lo proibirà,

a compiere i riti funebri, da lontano, ed onorare la tomba.     215

Non vorrei essere causa di dolore per tua madre, sventurata,

che è l’unica fra tante ad aver osato seguire te, ragazzo,

e non si curò delle mura del grande Aceste.”

Ma quello disse: “Scuse inutili intessi, vane,

e la mia decisione non cambia, non cede.       220

Affrettiamoci”. Contemporaneamente, sveglia le sentinelle,

quelle subentrano e prendono il loro turno di guardia: lasciata la guardia,

Eurialo procede, in compagnia di Niso, e cercano il re. 

Mentre tutti dormono, Ascanio è intento a discutere coi capi troiani (ductores Teucrum primi, v. 226) sul da farsi ed anche su chi debba essere mandato come messaggero ad Enea, per avvisarlo della situazione critica. Sopraggiungono Eurialo e Niso, che vengono ammessi alla presenza dei capi e propongono di assumersi il compito di recarsi a Pallanteo. Ascanio affida loro l’incarico, promettendo, oltre alla gloria e alla riconoscenza di tutti i Troiani, una ricompensa preziosa. Poi, siccome nell’accampamento si trova la madre di Eurialo, che non saprà della partenza (“non potrei sopportare le sue lacrime”, v. 289), il ragazzo chiede ad Ascanio di consolarla; questi lo tranquillizza, dicendogli che la considererà come una seconda madre. Dopo aver affidato loro alcuni messaggi, Ascanio congeda Eurialo e Niso, che escono dal campo. 

Usciti, superano i fossi e nell’ombra della notte

si dirigono all’accampamento nemico, anche se prima sarebbero stati causa   315

di morte per molti. Sull’erba vedono sparsi qua e là corpi stravolti

dal sonno e dal vino, carri col timone alzato sulla riva,

giacere uomini tra briglie e ruote, e insieme armi

e otri. Per primo parlò così il figlio di Irtaco:

“Eurialo, bisogna osare con le armi; adesso è la situazione stessa a richiederlo.  320

La via è per di qua; tu, affinché nessuna schiera possa coglierci

di spalle, proteggimi e sorveglia da lontano;

io farò una grande strage e ti aprirò un largo sentiero.”

Così dice e frena la voce; contemporaneamente assale con la spada

il superbo Ramnete, che, appunto, disteso su spessi tappeti,    325

spirava il sonno a pieni polmoni;

egli era, allo stesso tempo, re ed augure, carissimo al re Turno,

ma non poté evitare la morte con la divinazione. 

Ramnete è solo il primo ad essere ucciso da Eurialo e Niso, che compiono una vasta strage. Quando Niso esorta l’amico a sospendere l’uccisione dei nemici, Eurialo indossa le armi di Ramnete e l’elmo di un altro eroe italico, Messapo; quindi, i due si incamminano verso Pallanteo. Ma durante la marcia incontrano una squadra di Rutuli, guidata da Volcente; l’elmo di Eurialo riluce nella notte ed attira l’attenzione dei nemici, che cominciano ad inseguirli, nel folto di un bosco. 

Le tenebre dei rami e la pesante preda ostacolano

Eurialo e la paura lo inganna sulla direzione delle vie.     385

Niso si allontana. E, senza accorgersene, aveva ormai oltrepassato il nemico

e i luoghi che, in seguito, furono detti Albani

dal nome di Alba (a quel tempo il re Latino possedeva ampi pascoli):

come si fermò e cercò inutilmente l’amico, che non c’era, disse:

“Infelice Eurialo, dove ti ho perso?       390

Dove potrei cercarti?” Ripercorrendo a ritroso l’intero tortuoso cammino

della selva ingannevole, egli scruta le orme

e le segue a ritroso, erra tra i cespugli silenti.

Sente i cavalli, sente lo strepito ed il richiamo degli inseguitori

e non passa molto tempo quando un grido gli giunge     395

alle orecchie e vede Eurialo; ormai tutta la schiera,

grazie all’inganno del luogo e della notte, con un’improvvisa manovra di accerchiamento

lo ha catturato e lo trascina via, mentre lui tenta invano ogni difesa.

Che fare? Con quale forza o quali armi potrebbe osare

salvarlo? Dovrebbe gettarsi in mezzo alle spade      400

per morire ed affrettare con le ferite la bella morte?

Ritrae il braccio rapidamente, vibra la lancia e,

volgendo gli occhi verso la Luna lontana, prega a voce alta così:

“O dea, vieni in aiuto, favorevole, alla nostra impresa,

tu, bellezza degli astri e latonia custode dei boschi.     405

Se mai per me il padre Irtaco portò doni

ai tuoi altari, se mai io stesso li accrebbi con le mie cacce

o li appesi alla volta del tempio o li affissi al suo sacro frontone:

fa’ che io sconvolga quel gruppo serrato e guida la mia arma attraverso l’aria.”

Aveva detto; con quanta forza aveva in corpo scaglia     410

il ferro: la lancia, volando, fende l’ombra della notte

e colpisce lo scudo di Sulmone, di fronte, e lì

si spezza e, oltrepassato il legno, attraversa il cuore.

Quello rotola, gelido, vomitando un caldo fiume

dal petto e respira faticosamente fra lunghi sussulti.     415

I nemici si guardano intorno. Imbaldanzito da questo fatto,

ecco Niso scagliare un’altra lancia da sopra l’orecchio.

Mentre quelli si affannano, l’arma passa da parte a parte le tempie di Tago,

sibilando, e, tiepida, dopo aver trafitto il cervello, vi rimane conficcata.

Infuria atroce Volcente e non riesce a vedere in nessun luogo l’autore   420

del lancio, né dove possa scagliarsi, rabbioso.

“Ma intanto sarai tu a pagare col tuo caldo sangue la pena

di entrambi”, disse: e subito, sguainata la spada,

si getta su Eurialo. Allora Niso, terrorizzato, fuori di sé

scoppia in un grido, e non poté più nascondersi nelle tenebre    425

o sopportare un così grande dolore.

“Io, io! Sono io che l’ho fatto, puntate contro di me la spada,

o Rutuli! L’imboscata è tutta opera mia; costui non osò e non poté

nulla (mi siano testimoni il cielo e le stelle che hanno assistito);

egli ha solo amato troppo un amico sventurato”.      430

Tali parole diceva; ma una spada, vibrata con violenza,

trafisse il costato e sfondò il candido petto.

Eurialo cade riverso nella morte e il sangue scorre

per le belle membra e il capo si adagia, inerte, sulle spalle:

come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro,     435

langue, morendo, o come i papaveri chinano il capo

sul collo stanco, quando la pioggia li opprime.

Niso allora si butta nel mezzo e solo, fra tutti,

cerca Volcente, contro il solo Volcente si ostina;

i nemici, addensatisi intorno a lui, lo stringono      440

da vicino. Nondimeno egli continua ad incalzare e rotea la spada

fulminea, finché non la immerge nella bocca

del rutulo urlante e morendo toglie la vita al nemico.

Allora, trafitto, si gettò sull’amico

esanime e lì riposò infine in una placida morte.      445

Fortunati entrambi! Se i miei versi possono qualcosa,

nessun giorno vi sottrarrà mai al ricordo del tempo,

finché la gente di Enea abiterà sull’immobile rupe

del Campidoglio e il padre romano possederà l’impero. 

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