EMILY DICKINSON BIOGRAFIA

EMILY DICKINSON BIOGRAFIA

Emily Dickinson nasce il 10 dicembre 1830 ad Amherst (Massachussetts), in un piccolo centro di religione e cultura puritana, da Edward, celebre avvocato destinato a diventare deputato del Congresso, ed Emily Narcross, donna dalla personalità piuttosto debole. E’ la seconda di tre figli. Austin è il fratello maggiore, Lavinia la sorella minore: a entrambi sarà sempre legata da un grande affetto. Dal 1840 al 1947 frequenta la Amherst Academy e successivamente si iscrive alle scuole superiori di South Hadley, da cui viene ritirata dal padre dopo un anno. Manifesta intanto un carattere fiero e indipendente. A casa continua i propri studi da autodidatta, orientata nelle letture anche da un assistente del padre, Benjamin Newton, con il quale resterà in seguito in corrispondenza. Scrivere lettere sarà un’attività fondamentale per la poetessa, un modo intimo per entrare in contatto coni l mondo: non a caso molte delle sue poesie verranno allegate ad esse. Nel 1850 scrive alcune “valentine” per gli amici. Nel 1852 conosce Susan Gilbert, con la quale stringe un forte legame, testimoniato da importanti lettere. Nel corso degli anni successivi compie qualche raro viaggio. Incontra il reverendo Charles Wadsworth, un uomo sposato, del quale (a quanto pare) si innamorerà vanamente. Nel 1857 conosce lo scrittore-filosofo trascendalista Ralph W. Emerson, ospite di Austin e Susan, sposi da pochi mesi.
1858/1873
La poetessa entra in amicizia con Samuel Bowles, direttore dello Springfiel Daily Republican giornale su cui appariranno (a partire dal 1861) alcune sue poesie. Conosce anche Kate Anton Scott. Sia con Bowles sia con quest’ultima stabilisce un profonod rapporto anche epistolare. La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all’intelligenza della poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i prpri versi in fascicoletti. Nel 1860 è l’anno del futore poetico (365 liriche) e sentimentale. Il suo amore (probabilmente per Bowles) rimane però senza sbocco. Nello stesso anno avvia una corrispondenza con il colonnello-scrittore Thomas W. Higginson, a cui si affida per un giudizio letterario: egli rimarrà impressionato dall’eccezionalità dello spirito,dell’intelligenza e del genio della poetessa, pur ritenendo “impubblicabili” le sue opere. D’altronde ella non intende nè ha mai inteso dare alle stampe i propri versi. Tra il 1864 e il 1865 Emily trascorre alcuni mesi a Cambridge, Massachusetts ospite delle cugine Norcross, per curare una malattia agli occhi. Va maturando la decisione di autorecludersi, e diminuisce i contatti umani e superficiali. Mantiene viva la corrispondenza con amici ed estimatori, divenendo sempre più esigente e cercando, a un tempo, intensità ed essenzialità. Intanto continua a scrivere poesie. La sua produzione, pur non raggiungendo la quantità del 1862, rimane cospicua. Nel 1870 riceve la prima visita, molto attesa, di Higginson, che tornerà a trovarla nel 1873.
1874/1886
Incomincia un periodo durissimo per Emily, ormai da anni “reclusa” in casa propria. Muore il padre (1874). La madre si ammala gravemente (1875). Muore Bowles (1878). Nello stesso anno ella si innamora di Otis Lord, un anziano giudice, vedovo, amico del padre, e a quanto pare, l’amore è ricambiato (ma sulla qualità del rapporto con lui non sappiamo quasi nulla). Intanto può anche godere dell’ammirazione della scrittrice Helen Hunt Jackson. Nel 1881 i coniugi Todd si trasferiscono ad Amherst: Mabel Todd diventerà l’amante di Austin, creando dissidi nella famiglia Dickinson. La catena delle tragedie riprende: muoiono la madre a Wadsworth (1882), l’amatissimo nipotino Gilbert (1883), il giudice Lord (1884). Emily è prostrata. Nel 1885 si ammala,e il 15 maggio 1886 muore nella casa di Amherst. La sorella Vinnie scopre i versi nascosti e incarica Mabel Todd di provvedere alla loro pubblicazione, che sarà sempre parziale fino all’edizione critica completa (1955) curata da Thomas H. Johnson, comprendente 1775 poesie.

 


V’è una letteratura d’accordo, che mobilitandosi dalle urgenze dell’individuo va a ricercare un linguaggio comune. Si tratta di un’urgenza, anzitutto di un umore individuale, che viene convogliato in un’azione –lo scrivere–, l’esercizio della quale richiama a sé, evoca in sé, attraverso quello che comunemente chiamiamo formazione e sensibilità, un’espressione fatta di scenari linguistici, di modi di dire, di luoghi interiori che subito vengono acciuffati dall’autore nella propria mente. Questi acciuffamenti interiori possono essere in qualche modo rispettosi di un discorso comune, tesi a una dicitura che integri la scrittura poetica in uno scenario regolato da altri e con gli altri, che tiene conto della sua collocazione ambientale, della tendenza della letteratura contemporanea, del suo assumere una conformazione riconoscibile come efficace a entrare a pieno titolo in quello che viene chiamato «agone letterario», ossia il luogo di confronto e di scontro delle scritture di una determinata epoca. La scrittura di Emily Dickinson, una donna vissuta a metà dell’Ottocento, è particolarmente affascinante per due motivi. Anzitutto perché la sua opera appare meno inquinata dalle mode letterarie, dagli agoni che caratterizzano in genere le preoccupazioni dei poeti. Poi per la stretta tangenza del suono e dell’idea, dell’immagine e della sua espressione in parole. Al punto che, nei suoi riguardi, si è parlato di charm e riddle (incantesimo e indovinello) a un tale grado che torna inadeguato qualsiasi tentativo di traduzione.
Tutto ciò che è entrato a far parte della memoria individuale di Dickinson può quindi fuoriuscire come un magma proprio, che ha una sua coerenza non nell’ampio disegno delle opere epiche, ossia costruite secondo un ordine delle parti, ma nell’esercizio di una espressività che cerca di essere coerente anzitutto alle proprie sensazioni. Il che in letteratura è una rarità. Normalmente si tende a seguire i grandi autori, quelli che si considerano tali ovviamente, e a rifinirli o a contrastarli attraverso una scrittura «nuova», che lasci un segno alla socialità linguistica, a scapito della propria soggettività e, specialmente, della propria unità spirituale. La fortuna della Dickinson è tale da fare scuola ormai da più di mezzo secolo, quasi il tempo che ci ha messo ad essere ampiamente riconosciuta nella sua integrità, ad essere pubblicata non secondo i canoni editoriali del suo tempo e dei decenni successivi, ma secondo la scrittura originale ritrovata solo dopo la sua morte.
Nel momento in cui si è andati riconoscendo la portata del suo linguaggio poetico, si è potuta superare nell’animo dei curatori qualsiasi anomalia grammaticale della scrittura di Dickinson. Si è potuta cioè mettere da parte quella socializzazione linguistica, quella omologazione a modelli vigenti con cui deve scontrarsi, in necessità della artificiosa compattezza culturale dei sistemi editoriali e culturali, qualsiasi opera originale non vi appartenga per costituzione. Società e arte trovano in questo un perenne scontro, non solo sul terreno tecnico della scrittura, ma anche su quello delle proposte di scenari originali che la società non sa raccogliere in sé. Questo riguarda evidentemente la critica, già prima di qualsiasi applicazione dello strumento critico, prima cioè di qualsiasi consapevolezza. È, anche in questo caso, un atto umorale che pare indirizzare il critico a una repulsione o a un accostamento ulteriore dell’opera che si trova fra le mani. Egli può ritenere di trovarsi fra le mani, dopo la lettura di poche sillabe, un autore incolto, dilettantesco, oppure un parolaio, o anche uno spericolato sperimentatore, il seguace di una scuola ecc. In questo caso il rischio del critico è quello di una repulsione verso l’opera prima ancora di averla letta, o una catalogazione dell’autore entro un suo ordine mentale di memoria. Egli può considerare una perdita di tempo la prosecuzione della lettura di un autore ignoto, non meno di quando da ragazzino con fatica apprendeva le nozioni che il sistema culturale di cui faceva parte gli presentava come i modelli detti «letteratura». Le anomalie formali della punteggiatura e degli accapo, di una o più parole «scritte male», sono alcuni dei metri di giudizio del critico, quali spie improprie del valore artistico di un autore. È bene allora osservare con cautela anzitutto quelle anomalie umorali che sono in noi, nel momento in cui ci sentiamo disponibili a criticare un’opera letteraria. Riconoscere oggi che Emily Dickinson è un grande poeta è un atto piuttosto diffuso e prevalentemente dovuto all’autorevolezza che la circonda e all’influenza che ha esercitato su quella che ci hanno detto essere la «letteratura». Il difficile diviene applicarci in quell’altra letteratura che va formandosi nel nostro tempo, la letteratura ignota, per cui dobbiamo saper aggiornare le nostre configurazioni mentali senza dimenticarci della loro costituzione. Il rischio, in quest’ultimo caso, è quello di rimanere ancorati a un passato che sentivamo come nuovo o di trattare come vecchia la novità, la freschezza e l’urgenza dichiarativa di quel passato.

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