ELIO VITTORINI VITA E OPERE

ELIO VITTORINI VITA E OPERE

(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag. 777-786 796-799)


Vita
Elio Vittorini nacque a Siracusa il 23 luglio 1908. Poiché il padre era ferroviere, egli trascorse la maggior parte della sua infanzia in piccoli paesi della Sicilia, che faranno da sfondo ai romanzi della maturità: sfondo di miseria e di solitudine, in una natura arida e malsana. Sin dall’adolescenza si dedica a letture che lo avvicineranno al mondo della narrativa e della poesia. Tenta di fuggire di casa per ben quattro volte; alla quarta non tornò più a casa. Si stabilì nel Friuli come impiegato in un’impresa edile, imparando dalla vita non solo il piacere di guadagnarsi il pane da solo, ma anche a vincere e a spuntarla sulle difficoltà. Negli stessi anni in cui lavora nel Friuli, comincia la sua carriera di scrittore. I suoi primi tentativi mostrano un’adesione alquanto ingenua al falso realismo strapaesano, come, per esempio, il Ritratto di Re Giampiero; mentre i racconti del suo primo volume, Piccola borghesia (1931), risentono dell’influsso degli scrittori che lavorano intorno alla rivista “ Solaria ”, i quali tentavano di rompere l’isolamento della nostra letteratura e di stabilire un contatto rinnovatore con le esperienze più avanzate della cultura europea ed extraeuropea.

Gli amici di “Solaria” avevano portato all’attenzione dei nostri scrittori gli esempi dei narratori e dei poeti dell’avanguardia europea, da James Joyce a Marcel Proust, da Franz Kafka a Katherine Mansfield. Attiratovi dall’ambiente culturale di “Solaria”, Vittorini nel 1930 è a Firenze dove lavora come correttore di bozze in un quotidiano e impara l’inglese da un vecchio operaio della tipografia. Da allora comincia il suo interesse per la narrativa americana, a cui si dedica con molto entusiasmo, traducendo subito un romanzo di Lawrence e poi altri, dando luogo a sospetti presso i gerarchi del regime. Infatti, viene espulso dal partito fascista, di cui non aveva più da tempo rinnovato la tessera.

Il distacco di Vittorini dal Fascismo è determinato più che da una precisa coscienza politica, da una reazione dell’intelligenza offesa: dinanzi all’oppressione fascista il sentimento di opposizione di Vittorini non poteva essere altro che una sorta di “astratti furori”, come scriverà in Conversazione in Sicilia. Secondo Salinari Vittorini trasforma il Fascismo in una categoria del bene e del male, sottratto al tempo e allo spazio, a cui si deve opporre la vera natura umana e la coscienza di nuovi doveri.

Con la guerra civile di Spagna, in cui fascisti e repubblicani vennero a conflitto aperto, egli poté vedere chiaramente la sostanziale differenza tra l’oppressione e la libertà. Quella guerra gli fa deporre la penna, e così interrompe la stesura di Erica.

Si trasferisce a Milano, dove prosegue la sua attività di traduttore e di redattore di case editrici. Con la seconda guerra mondiale si chiarirà la sua ideologia politica e culturale.

Nel ’39 la prima edizione di Conversazione in Sicilia fu lasciata passare dalla censura fascista, ma, bene accolta dalla critica, suscitò subito il risentimento della stampa di regime che lo accusava di essere antinazionale e immorale. Nel 1941 la censura fascista vietava la pubblicazione della sua antologia, Americana; nel ’43, dopo il 25 luglio, venne rinchiuso nel carcere di S. Vittore. Uscitone dopo l’8 settembre, partecipò attivamente alla Resistenza.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, partecipò a quel momento di entusiasmo e di ottimismo liberale, che portò al Neorealismo, come espressione di un nuovo clima culturale. La testimonianza più significativa di queste esigenze rinnovatrici si può rinvenire nella rivista “ Il Politecnico ” diretta da Vittorini e pubblicata a Milano dal 1945 al 1947.

Nel dicembre 1947 il “ Politecnico ”, sconfessato dai comunisti, cessava le pubblicazioni; ma l’esigenza liberale di una nuova cultura che era al fondo delle istanze di Vittorini diede in quegli anni buone messi, se sorsero subito altre riviste e opere letterarie e scientifiche di grande rilievo.
D’altra parte veniva scoperta l’opera segreta di alto livello culturale di Gramsci, e di lì tutto un patrimonio europeo di studi marxistici che hanno orientato la cultura italiana del dopoguerra.
Vittorini rimaneva pertanto il maestro iniziatore della corrente detta neorealistica, in cui l’impegno dell’artista non era quello politico-sociale di chi suona il piffero alla rivoluzione, ma consisteva nell’essere coerente col suo senso del reale.

La funzione di Vittorini, maestro e guida del Neorealismo, non si esauriva, però, con il “ Politecnico ”, in quanto egli intraprendeva tutta una serie di traduzioni di romanzi americani, di pubblicazioni neorealistiche, che lo indicavano come uno dei massimi organizzatori di cultura del dopoguerra. Del resto, la sua partecipazione al dibattito internazionale di Ginevra nel settembre del 1948 sull’Arte contemporanea col tema, allora attualissimo, “L’artiste doit-il s’engager?” (L’artista deve impegnarsi?), dava la misura del suo concetto di arte impegnata, risolvendo il problema dell’antinomia tra i valori storici e i valori eterni dell’arte attraverso il concetto della mutevolezza della realtà che il poeta coglie e comunica col suo messaggio
Le elezioni politiche del 1948 imprimevano una svolta conservatrice alla politica italiana: la cultura si ritrovava di nuovo isolata ed era costretta a cercare nuove vie per adeguarsi alla realtà sociale del Paese. Di qui l’attività infaticabile di Vittorini, che con la collana “ I gettoni ” di Einaudi cercava di vedere attuata nei più giovani scrittori una letteratura attenta ai problemi sociali autentici della realtà contemporanea. Ed anche questa sua attività di organizzatore culturale e di critico ebbe notevole importanza perché venisse indicato come maestro di Neorealismo e di nuovi esperimenti letterari.

Nel ’51 ha inizio la pubblicazione dei “Gettoni”, con cui Vittorini apre ai giovani scrittori uno spazio sperimentale dedicato ai problemi e agli aspetti più vivi della realtà contemporanea. Fenoglio e Calvino vengono lanciati da questa sua iniziativa. Nel 1966, dopo avere avviato una lunga conversazione critica tra letteratura e industria nella rivista “ Menabò ”, muore per una grave malattia. 

Opere

Piccola borghesia (1931) riunisce in volume una serie di racconti scritti nel clima solariano, i cui personaggi sono tratti da ambienti piccolo-borghesi studiati nella loro realtà psicologica. Il linguaggio è ricco di immagini e di metafore.


Il garofano rosso (1933-’34) uscì a puntate su “Solaria”, e in volume soltanto nel 1948, perché la pubblicazione fu interrotta dalla censura fascista, che accusò il testo di essere contrario alla morale e al buon costume.


Ma prima di arrivare al suo capolavoro, Vittorini si impegna ancora in opere di alto tirocinio tecnico-stilistico che, pubblicate in un volume nel 1936, testimoniano gli influssi del Surrealismo e dell’Ermetismo, nonché la lezione di Proust.


Erica e i suoi fratelli fu cominciato e scritto in gran parte nel 1936, ma rimase interrotto perché l’autore fu distratto dalla guerra di Spagna. Fu poi pubblicato in rivista nel 1954 e in volume nel 1956 insieme con La Garibaldina, incompiuto così come era rimasto.


Vittorini sospese il romanzo Erica e i suoi fratelli a causa dello scoppio della guerra civile in Spagna, ma quando riprese a scrivere, verso il settembre del 1938, non fu per continuare Erica, ma per mettere giù la prima pagina di Conversazione in Sicilia.


Il romanzo Uomini e no, che Vittorini ha pubblicato nel 1945 dopo nove anni di silenzio, rappresenta il massimo sforzo dello scrittore per superare i residui di simbolismo espressi in Conversazione in Sicilia, e affrontare in pieno l’esigenza di Realismo e di impegno che dominava la cultura italiana degli anni dell’immediato dopoguerra. Qui mito e storia avrebbero dovuto fondersi in perfetta unità per la ragione stessa che lo scrittore lavorava a caldo. Scrive, infatti, la storia del partigiano Enne 2 che vive la resistenza a Milano nel 1944 e ricerca una sua autenticità di vita e di impegno nel mondo.


L’altro romanzo, Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus (1947) descrive la fame del dopoguerra. L’aggancio alla realtà di fatto, qui descritta dal narratore, era così perentorio che Vittorini in una nota finale registrava persino i prezzi del pane, delle acciughe e della cicoria, che nel 1947 erano i cibi preferiti dalla povera gente.

Le donne di Messina (1949); (1964) vuole approfondire l’esperienza umana del lavoro contadino. Il romanzo racconta le vicende di un gruppo di sbandati di guerra che decidono di costruire insieme una nuova vita sociale in un villaggio abbandonato, ripercorrendo le tappe dell’evoluzione tecnica, ma arrestandosi alle soglie dell’età moderna. L’ex fascista Ventura e tutta la comunità di ex nomadi, che hanno ricostruito una nuova società, devono alla fine ammettere che il loro risultato è assai mediocre, nonostante tutti abbiano lavorato e seminato e raccolto.

“La favola dell’età eroica è finita, bisogna prenderne atto e adeguarsi, bella o brutta che sia, ad una realtà diversa, industriale e tecnologica, con tutti i comodi – juke-box e luci al neon, birra gelata e acqua calda e fredda – e dove è ferrea logica che il contadino abbandoni la terra ” (MANACORDA).

Con La Garibaldina (1950) Vittorini ritorna alla tecnica del romanzo breve e stilisticamente omogeneo.
In una stazione affollata di gente affamata un soldato attende un treno che lo dovrebbe portare a Terranova, e sul treno conosce la Garibaldina, una vecchia baronessa autoritaria, ma capace di apertura sociale. Tra i due s’intreccia un fitto e interessante dialogo; quando arrivano a Terranova la Garibaldina cerca ospitalità nella casa di una donna di sua conoscenza, e all’alba il bersagliere la incontra mentre assolda mietitori a giornata che le si stringono attorno servilmente.


L’ultimo romanzo di Vittorini, Le città del mondo, uscito postumo nel 1969, fu composto tra il 1952-’55 e lasciato incompiuto. Sul piano letterario esso segna una sorta di involuzione per la sua tecnica composita di piani e di linguaggi diversi, quello mistico e quello realistico


Nella terza parte di Conversazione in Sicilia Concezione, la madre di Silvestro, inizia il giro delle iniezioni ai contadini ammalati; si ha subito l’impressione che quel paese sia un lazzaretto, un paese di dolore e di miseria, in cui chi è malato di tisi, chi di malaria. Qui è tutta la carica polemica con il regime fascista che osannava gli splendori imperiali, mentre nascondeva nel suo seno le tragedie più degradanti di un popolo che si ciba di una cipolla, di un uovo alla domenica, di un’arancia senza pane.


”Politecnico” Ciò che distingueva questa rivista nel panorama delle pubblicazioni del tempo era la vastità dei suoi interessi che dalla letteratura andavano alla politica, dalle inchieste sociali fino alla divulgazione dei poeti stranieri e fino ai problemi della scuola. In questo senso essa può essere accostata al “ Politecnico ” di Carlo Cattaneo o al “ Caffè ” dei fratelli Verri.

Sin dal primo numero Vittorini dichiarava che la cultura italiana tradizionale (senza precisarne, però, la data di partenza) era stata una cultura che di fronte alla sofferenza dell’uomo nella società aveva ritenuto di assolvere al suo dovere soltanto consolandolo del suo soffrire; e per questo suo modo di consolatrice […] non ha potuto impedire gli orrori del Fascismo.

Una cultura, quindi, che, non essendosi fatta essa stessa società, non ha avuto mai né potere né strumenti per proteggere l’uomo dalla sofferenza. 

Poetica
Elio Vittorini è considerato uno degli interpreti maggiori della crisi del nostro tempo, e il suo nuovo umanesimo è fondato sull’allegoria del sentimento, sulla memoria del cuore e dell’infanzia, sul sentimento collettivo e anarchico della solidarietà umana. In questo senso il momento pseudomarxista del “Politecnico” indica soltanto il periodo occasionale di una solitaria protesta politico-letteraria, che intravedeva nel Neorealismo una letteratura di opposizione alla retorica del Fascismo, ma che non riusciva a fare di lui, scrittore libero e anarchico, un suonatore di piffero alla rivoluzione comunista. Perciò è giusto osservare che Vittorini non è tutto nel “Politecnico”, bensì, piuttosto, nella sua “capacità di rimettere tutto in questione, caso per caso e problema per problema” (come egli stesso scriveva in Diario in pubblico), che è l’unico modo e l’unica possibilità di uno scrittore di partecipare alla storia.

“I tempi principali di Conversazione in Sicilia e dell’opera di Vittorini erano due: l’adagio e l’allegro. “L’adagio” è dato dai temi più semplici accennati sin qui, il tema dell’infanzia, il tema del padre poeta e poveruomo, il tema del treno merci e della cantoniera, il tema della disperazione degli uomini, ognuno col suo proprio diavolo sotto il cielo delle solitudini, il tema del fratello morto come lo ricorda la madre, il tema di questa Sicilia di dopo il Verga, nella quale gli uomini non hanno più cronaca e non hanno più le loro povere storie ma hanno un’unica storia umana che è poi quella dello stesso scrittore e della quale hanno anche loro imparato il significato [ …]. “L’allegro” vive invece di temi molteplici, che si estendono su di una gamma assai vasta, dall’ironico al tragico, a cominciare dai colloqui di Coi Baffi e Senza Baffi, al lungo tema insistito delle visite in paese, al colloquio nel cimitero, alla danza dei coltelli, al coro finale del vino. […]. Quei due tempi fondamentali sopra accennati furono poi sviluppati ognuno in un libro a sé: Uomini e no, Milano, 1945 (libro tutto o quasi di “adagio”), il racconto della Resistenza, con i grandi motivi romantici dell’amore e della morte, che scopre meglio di ogni altro certe vene tenerissime del Vittorini, il dolce inverno di Milano, il grande suono quando appare l’amore; e che scopre meglio altre cose, il valore non narrativo ma meditativo, il valore di certi suoi lunghi dialoghi di brevi battute, l’ossessione della doppia realtà, segno così vistoso della sua crisi. E secondo, Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus, Milano, 1947, letterariamente assai più bello, forse il più compiuto dello scrittore; e anzi così concluso e perfetto nel suo “allegro” da scoprirsi persino gratuito, astratto; e tuttavia pieno di così veri motivi, di così discreto eroismo” (Pampaloni). 

Tematica
Per essere uomini veri, secondo Vittorini, bisogna avere coscienza delle offese del mondo, saper superare i propri dolori personali, saper piangere per i dolori di tutti, ed anche essere perseguitati ed essere dalla parte dei perseguitati. Questa figura di uomo forte e coraggioso, che pensa ad altri doveri, egli ha incarnato nel Gran Lombardo (Conversazione in Sicilia), simbolo dell’Uomo. Ed è significativo che proprio negli anni tra il 1937 e il 1940, cioè dal periodo della guerra di Spagna alla crisi politica che portò alla seconda guerra mondiale, quando sembrava che la violenza venisse premiata e il diritto venisse sopraffatto dalla forza, i termini Fascismo e antifascismo si ridimensionavano in Conversazione in Sicilia dal piano politico al piano morale, fino al punto che, secondo Vittorini, il mondo si divideva in uomini e non uomini, in perseguitati e oppressori; “uomini” erano, ovviamente, i perseguitati consapevoli dei doveri verso la società, e “non uomini”, coloro che rimanevano fermi ai loro interessi. Il Fascismo di Vittorini in questo senso potrebbe essere una categoria morale-politica, dato che egli non si preoccupa di definirne le basi oggettive che lo caratterizzano storicamente. L’ideologia politica di Vittorini non è pertanto l’antifascismo in senso oggettivo di condanna di un regime politico per l’esaltazione di un regime opposto, bensì una categoria morale di tipo anarchico e piccolo-borghese di tipo soggettivo. In questo senso invano cercheremmo in lui lo scrittore neorealista antifascista o socialista. Questa tesi di Salinari ha fatto scuola presso i critici nel proporre molte riserve circa il Neorealismo di Vittorini, che rimane ancora di tipo e di origine decadente, o, meglio, borghese.

Il primo equivoco in cui Vittorini cadeva era quello di considerare la letteratura decadente come letteratura della borghesia solo nel senso che è autocritica della borghesia. I suoi motivi borghesi sono vergogna e disperazione d’esser borghesi. Dunque è rivoluzionaria malgrado i suoi vizi borghesi…

Quindi i germi della nuova rivoluzione culturale erano da cogliere in quella interna inquietudine e in quell’ansia di superamento che sembrava avere la letteratura decadente. In questo modo Vittorini risolveva positivamente i rapporti con la cultura decadente, ma nello scegliere i nuovi compagni di strada e le nuove alleanze per realizzare la nuova cultura era costretto a fare i conti con la nuova realtà politica.

Il più culturalmente agguerrito e preparato per un salto qualitativo della società italiana era il Partito Comunista, che già affrontava il problema di una politica culturale in chiave marxistica dibattendosi nel difficile conflitto fra l’autonomia dell’artista e la necessità di perseguire una determinata linea politica. Ma Vittorini, (uomo di formazione solariana e, quindi, assai sensibile ai problemi della forma), insisteva sul fatto che la politica non può subordinare a sé la cultura, tranne nel solo caso in cui la società attraversi un momento rivoluzionario.

Indubbiamente il “Politecnico” assunse una funzione di guida culturale di sinistra, anche se col tempo si moltiplicano i punti di frizione fra le posizioni del settimanale e quelle del Partito Comunista; come i ripetuti atteggiamenti anticlericali di Vittorini, la pubblicazione di un passo di Sartre e di uno di Merleau-Ponty “un marxismo vivente dovrebbe salvare la ricerca esistenzialista invece di soffocarla”.

Dalla discussione si arrivò presto allo scontro tra Vittorini e il Partito Comunista. La prima polemica avvenne con Alicata, la seconda con Togliatti. Il primo rimproverava a Vittorini di non aver saputo ristabilire un contatto produttivo tra la nostra cultura e i problemi concreti delle masse popolari italiane in modo da stabilire un ponte che potesse sanare la frattura tra i ceti medi e le masse lavoratrici.

Togliatti, rimproverava a Vittorini l’affermazione della priorità della cultura sulla politica e poi il fatto che l’informazione enciclopedica, a cui il “Politecnico” tendeva, sopraffaceva il pensiero. Per questo il “Politecnico”, nato con l’intenzione di rinnovare la cultura, non aveva rinnovato e non rinnovava proprio niente. Ma Vittorini ribadiva le sue posizioni di fondo:

1) difesa delle esigenze interne, segrete dello scrittore che è rivoluzionario al di sopra e al di là della politica, per le sollecitudini e le istanze che egli scopre e rileva di sua iniziativa e in piena libertà;
2) se l’uomo di cultura si allinea senz’altro con le direttive del partito, sia pure partito rivoluzionario, non fa che suonare il piffero della rivoluzione: colui che fa questo non fa nulla di diverso dai poeti arcadi che suonavano il piffero alla reazione.

Nel discorso tenuto a Ginevra nel 1948, “L’artiste doit-il s’engager?” (“L’artista deve impegnarsi”?), Vittorini confermava, ancora una volta, la libertà dell’artista dall’impegno politico, in quanto l’artista che vive la realtà del suo tempo è sempre impegnato nelle rivoluzioni che questa realtà comporta:

se l’arte è stata più forte d’ogni ideologia sua contemporanea e d’ogni alienazione sua contemporanea lo è stata sempre nella misura in cui l’engagement naturale dell’artista ha avuto più forza dell’engagement velleitario che gli si chiedeva o gli si imponeva.

In sostanza, per Vittorini l’impegno dell’artista non è mai esterno alla sua arte, ma intrinseco nel messaggio interiore della sua arte, in perfetta coerenza col mondo dell’artista, uomo reale e legato alla sua realtà storica