ELIO VITTORINI POETICA

ELIO VITTORINI POETICA



Elio Vittorini è considerato uno degli interpreti maggiori della crisi del nostro tempo, e il suo nuovo umanesimo è fondato sull’allegoria del sentimento, sulla memoria del cuore e dell’infanzia, sul sentimento collettivo e anarchico della solidarietà umana. In questo senso il momento pseudomarxista del “Politecnico” indica soltanto il periodo occasionale di una solitaria protesta politico-letteraria, che intravedeva nel Neorealismo una letteratura di opposizione alla retorica del Fascismo, ma che non riusciva a fare di lui, scrittore libero e anarchico, un suonatore di piffero alla rivoluzione comunista. Perciò è giusto osservare che Vittorini non è tutto nel “Politecnico”, bensì, piuttosto, nella sua “capacità di rimettere tutto in questione, caso per caso e problema per problema” (come egli stesso scriveva in Diario in pubblico), che è l’unico modo e l’unica possibilità di uno scrittore di partecipare alla storia.

“I tempi principali di Conversazione in Sicilia e dell’opera di Vittorini erano due: l’adagio e l’allegro. “L’adagio” è dato dai temi più semplici accennati sin qui, il tema dell’infanzia, il tema del padre poeta e poveruomo, il tema del treno merci e della cantoniera, il tema della disperazione degli uomini, ognuno col suo proprio diavolo sotto il cielo delle solitudini, il tema del fratello morto come lo ricorda la madre, il tema di questa Sicilia di dopo il Verga, nella quale gli uomini non hanno più cronaca e non hanno più le loro povere storie ma hanno un’unica storia umana che è poi quella dello stesso scrittore e della quale hanno anche loro imparato il significato [ …]. “L’allegro” vive invece di temi molteplici, che si estendono su di una gamma assai vasta, dall’ironico al tragico, a cominciare dai colloqui di Coi Baffi e Senza Baffi, al lungo tema insistito delle visite in paese, al colloquio nel cimitero, alla danza dei coltelli, al coro finale del vino. […]. Quei due tempi fondamentali sopra accennati furono poi sviluppati ognuno in un libro a sé: Uomini e no, Milano, 1945 (libro tutto o quasi di “adagio”), il racconto della Resistenza, con i grandi motivi romantici dell’amore e della morte, che scopre meglio di ogni altro certe vene tenerissime del Vittorini, il dolce inverno di Milano, il grande suono quando appare l’amore; e che scopre meglio altre cose, il valore non narrativo ma meditativo, il valore di certi suoi lunghi dialoghi di brevi battute, l’ossessione della doppia realtà, segno così vistoso della sua crisi. E secondo, Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus, Milano, 1947, letterariamente assai più bello, forse il più compiuto dello scrittore; e anzi così concluso e perfetto nel suo “allegro” da scoprirsi persino gratuito, astratto; e tuttavia pieno di così veri motivi, di così discreto eroismo” (Pampaloni).