ELIO VITTORINI OPERE

ELIO VITTORINI OPERE


Piccola borghesia (1931) riunisce in volume una serie di racconti scritti nel clima solariano, i cui personaggi sono tratti da ambienti piccolo-borghesi studiati nella loro realtà psicologica. Il linguaggio è ricco di immagini e di metafore.


Il garofano rosso (1933-’34) uscì a puntate su “Solaria”, e in volume soltanto nel 1948, perché la pubblicazione fu interrotta dalla censura fascista, che accusò il testo di essere contrario alla morale e al buon costume.


Ma prima di arrivare al suo capolavoro, Vittorini si impegna ancora in opere di alto tirocinio tecnico-stilistico che, pubblicate in un volume nel 1936, testimoniano gli influssi del Surrealismo e dell’Ermetismo, nonché la lezione di Proust.


Erica e i suoi fratelli fu cominciato e scritto in gran parte nel 1936, ma rimase interrotto perché l’autore fu distratto dalla guerra di Spagna. Fu poi pubblicato in rivista nel 1954 e in volume nel 1956 insieme con La Garibaldina, incompiuto così come era rimasto.


Vittorini sospese il romanzo Erica e i suoi fratelli a causa dello scoppio della guerra civile in Spagna, ma quando riprese a scrivere, verso il settembre del 1938, non fu per continuare Erica, ma per mettere giù la prima pagina di Conversazione in Sicilia.


Il romanzo Uomini e no, che Vittorini ha pubblicato nel 1945 dopo nove anni di silenzio, rappresenta il massimo sforzo dello scrittore per superare i residui di simbolismo espressi in Conversazione in Sicilia, e affrontare in pieno l’esigenza di Realismo e di impegno che dominava la cultura italiana degli anni dell’immediato dopoguerra. Qui mito e storia avrebbero dovuto fondersi in perfetta unità per la ragione stessa che lo scrittore lavorava a caldo. Scrive, infatti, la storia del partigiano Enne 2 che vive la resistenza a Milano nel 1944 e ricerca una sua autenticità di vita e di impegno nel mondo.


L’altro romanzo, Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus (1947) descrive la fame del dopoguerra. L’aggancio alla realtà di fatto, qui descritta dal narratore, era così perentorio che Vittorini in una nota finale registrava persino i prezzi del pane, delle acciughe e della cicoria, che nel 1947 erano i cibi preferiti dalla povera gente.

Le donne di Messina (1949); (1964) vuole approfondire l’esperienza umana del lavoro contadino. Il romanzo racconta le vicende di un gruppo di sbandati di guerra che decidono di costruire insieme una nuova vita sociale in un villaggio abbandonato, ripercorrendo le tappe dell’evoluzione tecnica, ma arrestandosi alle soglie dell’età moderna. L’ex fascista Ventura e tutta la comunità di ex nomadi, che hanno ricostruito una nuova società, devono alla fine ammettere che il loro risultato è assai mediocre, nonostante tutti abbiano lavorato e seminato e raccolto.

“La favola dell’età eroica è finita, bisogna prenderne atto e adeguarsi, bella o brutta che sia, ad una realtà diversa, industriale e tecnologica, con tutti i comodi – juke-box e luci al neon, birra gelata e acqua calda e fredda – e dove è ferrea logica che il contadino abbandoni la terra ” (MANACORDA).

Con La Garibaldina (1950) Vittorini ritorna alla tecnica del romanzo breve e stilisticamente omogeneo.
In una stazione affollata di gente affamata un soldato attende un treno che lo dovrebbe portare a Terranova, e sul treno conosce la Garibaldina, una vecchia baronessa autoritaria, ma capace di apertura sociale. Tra i due s’intreccia un fitto e interessante dialogo; quando arrivano a Terranova la Garibaldina cerca ospitalità nella casa di una donna di sua conoscenza, e all’alba il bersagliere la incontra mentre assolda mietitori a giornata che le si stringono attorno servilmente.


L’ultimo romanzo di Vittorini, Le città del mondo, uscito postumo nel 1969, fu composto tra il 1952-’55 e lasciato incompiuto. Sul piano letterario esso segna una sorta di involuzione per la sua tecnica composita di piani e di linguaggi diversi, quello mistico e quello realistico


Nella terza parte di Conversazione in Sicilia Concezione, la madre di Silvestro, inizia il giro delle iniezioni ai contadini ammalati; si ha subito l’impressione che quel paese sia un lazzaretto, un paese di dolore e di miseria, in cui chi è malato di tisi, chi di malaria. Qui è tutta la carica polemica con il regime fascista che osannava gli splendori imperiali, mentre nascondeva nel suo seno le tragedie più degradanti di un popolo che si ciba di una cipolla, di un uovo alla domenica, di un’arancia senza pane.


”Politecnico” Ciò che distingueva questa rivista nel panorama delle pubblicazioni del tempo era la vastità dei suoi interessi che dalla letteratura andavano alla politica, dalle inchieste sociali fino alla divulgazione dei poeti stranieri e fino ai problemi della scuola. In questo senso essa può essere accostata al “ Politecnico ” di Carlo Cattaneo o al “ Caffè ” dei fratelli Verri.

Sin dal primo numero Vittorini dichiarava che la cultura italiana tradizionale (senza precisarne, però, la data di partenza) era stata una cultura che di fronte alla sofferenza dell’uomo nella società aveva ritenuto di assolvere al suo dovere soltanto consolandolo del suo soffrire; e per questo suo modo di consolatrice […] non ha potuto impedire gli orrori del Fascismo.

Una cultura, quindi, che, non essendosi fatta essa stessa società, non ha avuto mai né potere né strumenti per proteggere l’uomo dalla sofferenza.