Donne ch’avete intelletto d’amore parafrasi

Donne ch’avete intelletto d’amore parafrasi

(Vita nuova, cap. XIX)


PARAFRASI

Donne che sapete cosa sia l’amore,

io voglio parlare con voi della mia donna, non perché io creda di poterla lodare in maniera esaustiva,

ma solo discutendone per sfogare i miei pensieri. Io dico che quando considero le sue virtù, Amore si manifesta così dolcemente in me,

che se in quel momento non perdessi la capacità di parola, farei innamorare le persone solo con i miei versi. Ma io non voglio però poetare in uno stile così alto,

da divenire inadeguato a causa di questo timore; quindi tratterò della sua gentilezza

in modo superficiale rispetto al suo valore reale, con voi, donne e fanciulle fedeli di amore, poiché non è il caso di parlarne con altri. Un Angelo reclama alla mente divina

e dice: “Signore, nel mondo si vede

un miracolo in atto che proviene

da un’anima che risplende fino a quassù”.

Il cielo, cui non manca nulla

se non avere lei, al suo Signore la chiede, e ogni santo ne chiede la grazia.

Solo la Pietà divina difende le nostre ragioni; infatti Dio stesso, riferendosi a Beatrice, afferma: “Diletti miei, sopportate con pazienza che l’oggetto della vostra speranza rimanga

per quanto tempo io desidero, là dove c’è qualcuno che si aspetta di perderla e che dirà all’Inferno:

‘O dannati, io vidi colei che era la speranza dei beati’”. La mia amata è quindi desiderata nell’alto dei cieli: ora voglio farvi conoscere le sue qualità.

Io dico, che qualunque donna voglia apparire gentile

si accompagni con lei, poiché quando ella cammina per la strada, Amore insinua nei cuori villani un tale gelo,

che ogni loro pensiero diventa di ghiaccio e muore; e chi tollerasse di restare a guardarla, o diverrebbe nobile o morirebbe.

E quando trova qualcuno che sia degno di guardarla, costui sperimenta su di sé il suo valore, poiché

ciò che lei dona, si trasforma per lui in beatitudine, e gli muove il cuore, e dimentica ogni offesa. Dio le ha donato ancora così tanta grazia

che non può venir dannato chiunque le abbia parlato. Amore dice di lei: “Come può una creatura mortale essere così piena di virtù e così pura?” Poi la guarda, e conclude con se stesso

che Dio intende fare di lei una cosa mai vista. La sua carnagione ha quasi il colore delle perle,

nella misura in cui le donne devono averla, non in modo eccessivo:

ella è la massima perfezione che la natura può raggiungere,

e attraverso l’esempio di lei si misura la bellezza.

Dai suoi occhi, appena ella li muove,

escono spiriti d’amore infiammati,

che feriscono gli occhi di colui che in quel momento la guardi, e penetrano fino al cuore di ciascuno: voi le vedete Amore dipinto nel viso,

là dove nessuno può ammirarla fisso.

Canzone, io so che tu andrai conversando con molte donne, quando io ti avrò resa pubblica.

Ora io ti ammonisco, poiché ti ho allevata come una figlia di Amore giovane e semplice,

che, là dove tu giungi, tu chieda con molte preghiere: “Insegnatemi che strada prendere, poiché io son mandata a colei in lode della quale fui scritta”. E se non vuoi girare inutilmente,

non restare dove ci sia gente villana:

ingegnati, se puoi, di farti conoscere

solo a donne o uomini cortesi,

che ti condurranno per la via più veloce. Tu troverai Amore insieme con lei Raccomandami a lui come si deve


COMMENTO

Nel diciannovesimo capitolo della Vita Nova, Dante tocca un punto fondamentale della propria autobiografia in versi. Il rinnovamento portato dal giovane poeta fiorentino alla tradizione del suo tempo è assai significativo ed emblematico. In Donne ch’avete intelletto d’amore è infatti rilevante l’individuazione, da parte del poeta, del pubblico di riferimento cui si vuol parlare: quella cerchia ristretta di intenditrici femminili della poetica dell’amore stilnovista, che, in virtù delle loro qualità morali ed intellettuali, possono comprendere la confessione di Dante (vv. 11-14: “[…] tratterò del suo stato gentile | a respetto di lei leggeramente, | donne e donzelle amorose, con vui, | ché non è cosa da parlarne altrui”).

Ma ancor più decisiva è la novità nel trattamento di una materia classica come quella della celebrazione in versi della persona amata.

Se infatti gli autori precedenti (Guido Guinizzelli su tutti, ma con particolare riferimento anche al modello di Guido Cavalcanti, uno dei principali maestri di Dante) intendevano la parola poetica come occasione per celebrare la bellezza dell’amata, qui assume sicuramente maggior peso la ‘lode’ della figura femminile che, nella seconda e terza stanza della poesia, viene avvicinata ed esplicitamente paragonata alla Madonna stessa (ad esempio, vv. 29-30: “Madonna è disiata in sommo cielo: | or vòi di sua virtù farvi savere.” e vv. 43-46: “Dice di lei Amor: «Cosa mortale | come esser pò sì adorna e sì pura?» | Poi la reguarda, e fra se stesso giura | che Dio ne ‘ntenda di far cosa nova”).

La funzione salvifica della donna lodata dal poeta, dietro cui si cela Beatrice, assume così significati e risonanze ben più complesse di quelli di semplice destinataria di una lirica d’amore.

Al tema della contemplazione dell’oggetto del proprio desiderio si sovrappone – soprattutto dalla quarta stanza in poi – la riflessione di Dante sugli effetti benefici di Beatrice nel mondo circostante (vv. 47-50: “Color di perle ha quasi in forma, quale | convene a donna aver, non for misura; | ella è quanto de ben pò far natura; | per esemplo di lei bieltà si prova”).

Secondo i canoni dello Stilnovo, il poeta che contempla la bellezza femminile (che è più spirituale che fisica e materiale) trova nello sguardo e negli “occhidell’amata il canale privilegiato per sperimentare questa esperienza sovrumana.

Dopo aver dunque definito un nuovo modello di donna e un nuovo modello di poesia, Dante, nell’ultima stanza di Donne ch’avete intelletto d’amore, si rivolge alla sua stessa “canzone”, assegnandole – secondo una tecnica consolidata nella poesia dell’epoca e in questa sezione specifica del componimento, detta “congedo” – il compito di recarsi come ancella d’Amore da colei che è la destinataria della ‘lode’ del poeta.

Nel far ciò, la canzone dovrà ovviamente evitare con attenzione la “gente villana”, per rivolgersi esclusivamente a colei per cui è stata composta; l’obiettivo è sempre quello di raccomandarsi presso Beatrice e di tributarle i giusti onori (vv. 64-68: “E se non vuoli andar sì come vana, | non restare ove sia gente villana; | ingègnati, se puoi, d’esser palese | solo con donne o con omo cortese, | che ti merranno là per via tostana.”).

Lo stile complessivo della canzone, in accordo con l’elevatezza dell’argomento e l’importanza della svolta poetica proposta da Dante, è sempre particolarmente “alto” e letterario.