DONATO DI PASCUCCIO D’ANTONIO DETTO IL BRAMANTE

DONATO DI PASCUCCIO D’ANTONIO DETTO IL BRAMANTE


Per rispondere nei vari campi dell’arte alle aspirazioni artistiche dell’Umanesimo, si  era  diffusa  in  quell’epoca  la  tendenza  a  un ritorno alle origini nel tentativo di conciliare il mondo cristiano con quello dell’età che l’aveva preceduto: nell’ambito dell’architettura, il maggiore artista di questo gusto dev’essere considerato il Bramante. Prima di lui, Brunelleschi e Alberti  avevano creato o diffuso una nuova tipologia strutturale. Col Bramante, questo linguaggio raggiunge la sua piena maturità, e il Rinascimento si modella sullo spirito classico. La sua vocazione autentica si manifesta tardivamente: fino all’età di trentacinque anni Bramante presta la propria opera in qualità di pittore al servizio di  Ludovico il Moro, al quale era stato ceduto sette anni prima (1472) dal duca di Urbino.

Come era avvenuta la sua prima formazione? Ci si  attiene  soltanto  a ipotesi; l’artista avrebbe preso parte alla trasformazione del Palazzo Ducale di Urbino (a partire dal 1466) dove sarebbe stato influenzato dal dalmata Luciano Laurana (1420 – 1479).  Le  sue  rare opere pittoriche a Milano (al Castello Sforzesco, in casa Fontana e, soprattutto, in casa Panigarola, queste  ultime  ora  conservate  alla pinacoteca di Brera) mostrano un Bramante assai vicino alla maniera di Melozzo da Forlì (1438-94); vi si riscontrano lo stesso vigore di colori e la medesima grandezza monumentale dell’allievo di Piero della Francesca. Bramante conosceva certamente il  trattato  di  prospettiva pittorica di quest’ultimo, complemento del Della pittura di Alberti.

Sulla facciata della chiesa di Abbiategrasso, la profonda nicchia, con i suoi due ordini sovrapposti, ricorda infatti il tempio di Rimini; anche Santa Maria presso San Satiro subisce l’influenza di Sant’Andrea di Mantova; quest’opera lo occuperà per vent’anni e  verrà  interrotta soltanto dalla sua partenza da Milano. Qui l’artista ovvierà alla mancanza di spazio creando una finta prospettiva; ma non ha ancora raggiunto la sobrietà che caratterizzerà il suo stile romano, e la deliziosa sagrestia ottagonale appartiene allo stile fiorito e delicato del milanese, dal quale trarrà ispirazione il Rinascimento francese. A motivo della sua fama, viene chiamato come consigliere per la fabbrica del duomo di Milano, e il duca gli affida diversi lavori.

Ricordiamo, per la fine policromia dei  mattoni  e  del  marmo,  Santa Maria delle Grazie e il suo chiostro e, come esempio di sistemazione di piazza, la Piazza Ducale a Vigevano. Il re di Francia, frattanto, conquista il Milanese e, nel 1499, Bramante, come anche Leonardo da Vinci, al quale è legato da profonda amicizia già da diciassette anni, fugge l’invasore e si trasferisce a  Roma; ha, ora,  cinquantacinque anni. A contatto con le rovine romane, gli si rivela un nuovo ideale artistico; l’eleganza raffinata del suo stile cede dunque il posto a una sobrietà e a un rigore che lo indurranno a realizzare opere di rara bellezza e maestria. Il  chiostro di Santa Maria della Pace (1500-04) è tra le sue prime opere di questo nuovo periodo, e attira su di lui l’attenzione di molti; poi esegue un’opera  di notevole rilievo, il Tempietto di San Pietro in Montorio (1502), a pianta circolare come gli antichi tholos o i battisteri. Nel 1503, Giulio II succede a Pio III. Il nuovo papa desidera riunire intorno a sé artisti capaci di costruirgli opere colossali, e Bramante si dimostra all’altezza del compito. Nella basilica di San Pietro, in  mezzo  alle rovine del vecchio edificio, il papa vuole che sia edificata la sua tomba. Questo programma funerario basterebbe a  motivare  l’adozione  di  una planimetria centrale, tanto cara al Bramante, ossessionato (come lo saranno altri architetti) dalla  visione  del  Pantheon.  Il  progetto comporterà una cupola, all’incrocio di quattro navate uguali che termineranno con absidi; tra le nervature, piccole cupole e campanili. Il complesso, equilibrato e leggero, ricorda un progetto eseguito  nel 1488 (con la partecipazione dello stesso Bramante) per la cattedrale di Pavia, ove si risente  l’influenza  bizantina  e  ottomana. Eppure l’essenza resta soprattutto romana: è quella stessa delle grandi terme e della villa di Adriano a Tivoli. Michelangelo riprenderà il tema del duomo, ma dopo di lui San Pietro tornerà a essere concepita come basilica. Giulio II volle anche avere un suo palazzo, e  Bramante  gli presentò un progetto grandioso, realizzato solo parzialmente. Vennero eretti tre piani di logge per la corte di San Damaso, che  sarebbero state decorate da Raffaello; poi il palazzo di Nicola V e di Sisto IV venne ricongiunto  alla  villa  Belvedere,  situata  su  un’altura,  a trecento metri di distanza, tramite due gallerie che racchiudevano un immenso cortile. Per dissimularne la posizione (era posta “di sbieco”), la villa fu mascherata con una facciata scavata da un’enorme nicchia ove, su un piedistallo, si ergeva la pigna che dà il nome al cortile, nel quale era previsto lo svolgimento di tornei. Il dislivello venne magistralmente corretto con una serie di scalinate, accorgimento, questo, che verrà ripreso a villa d’Este. Tramontata  la moda dei tornei, le scalinate vennero sostituite da un complesso trasversale che rende inintelligibile la composizione del Bramante.

Tutta Roma seguì l’esempio del pontefice: i vecchi palazzi feudali cedettero il posto alle ville (alla romana), edificate dal vecchio maestro o dai suoi discepoli. Si manifestava con urgenza la  necessità di pianificare la città e di assicurare al già rinnovato Vaticano vie d’accesso più agevoli. Bramante sfondò interi  vecchi  quartieri,  non esitando a demolire antiche vestigia, anche al fine di recuperare il materiale di cui aveva bisogno. Per soddisfare le velleità  di  Giulio II, Bramante lavorò in tutte le direzioni, ma non poté portare a compimento i suoi grandiosi progetti: si  spense  nel  1514,  dopo  un lavoro incessante durato dieci anni.

L’artista e la sua epoca

Il Bramante fu, come uomo e come artista, un genio caratteristico del Cinquecento, il secolo delle riforme, della rivalutazione dell’individualità contro lo strapotere centrale, della trasformazione di tanti valori sui quali è destinata a nascere l’Europa culturale moderna. La rivolta di Lutero costringe la Chiesa romana a rivedere le proprie posizioni sino a cercare di continuo  l’impronta  di  Dio  nel cuore di ogni uomo anziché praticare una religione che si accontenti semplicemente di verità rivelate valide  per  l’eterno.  Anche  l’arte diventa indagine, ricerca, confronto. L’artista non si accontenta più di dipingere o di scolpire gli elementi del creato ma si interroga sul suo modo d’essere nella vita e nella storia, quanto di  concorrere  al  fine  ultimo  della  salvezza spirituale. Un periodo definito “il più famoso dell’arte italiana e uno dei più splendidi d’ogni tempo”. L’epoca di Leonardo, ma anche di Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Correggio e Giorgione, mentre a Nord fioriscono Holbein e Dürer. Giorgio Vasari, che per primo postula che il Cinquecento sia il secolo classico per eccellenza identificando in Michelangelo il vertice dello spirito e della cultura, ci descrive la personalità del Bramante (molto allegra e  si  dilettò  di  giovare  a prossimi suoi). Modesto nonostante i grandissimi meriti, schietto e generoso, amava la musica e la matematica, studiava e  conosceva  alla perfezione la Divina Commedia: trascorse l’inverno 1510-11 commentando il capolavoro dantesco con  papa  Giulio  II.  Bramante  e Giulio II: due giganti che sapevano comprendersi. Il primo conosceva le regole antiche, le proporzioni e le misure delle colonne e dei cornicioni dorici, ionici, corinzi. Trascorreva il tempo a misurare le rovine antiche, a studiare i manoscritti dei classici, come Vitruvio, in cui  erano  illustrate  le  norme  degli  architetti greco-romani. La sua vera aspirazione era di progettare un edificio senza preoccuparsi dell’uso cui fosse destinato, soltanto per l’armoniosa bellezza delle proporzioni, per la spaziosità dell’interno e la grandiosità imponente dell’insieme, per la possibilità di innovare. Dal canto suo  Giulio  II  già  nel  1506  aveva  deciso  di abbattere la venerabile basilica di San Pietro che sorgeva nel luogo in cui, secondo la tradizione, era stato sepolto il primo papa. Intendeva riedificarla  in  modo  da  sfidare  le  consuetudini  e  le funzioni secolari dell’architettura ecclesiastica. Quasi una sfida in previsione della fama che avrebbe ottenuto con una costruzione  capace di superare le sette meraviglie del mondo. Ossia, un’autentica meraviglia del cristianesimo. Da qui la scelta del Bramante, che aveva dimostrato di aver assimilato e riproposto con personalità inimitabile la lezione dell’architettura classica. Bramante disegnò una  chiesa  circolare  con  una  serie  di  cappelle disposte intorno alla gigantesca sala centrale, che a sua volta doveva essere coronata da un’alta cupola sostenuta da archi colossali. Quindi contravvenendo alla millenaria tradizione dell’Occidente in base alla quale una chiesa di questo genere avrebbe dovuto avere forma rettangolare: i fedeli, guardando verso l’altare maggiore al momento della celebrazione della messa, si sarebbero  allora  trovati  rivolti verso oriente. Ma è proprio la grandiosità dell’opera a rendere necessario tanto danaro da dover ricorrere alla vendita delle indulgenze in maniera così smaccata da suscitare la prima protesta pubblica di  Lutero  in  Germania,  anche  se  la  ribellione  avverrà soltanto nel 1520. Il progetto viene avversato quindi nella stessa Roma, negli ambienti più vicini al pontefice. Quando la costruzione è già in fase piuttosto avanzata, l’idea di un edificio circolare (più esattamente: una  croce greca inscritta in un quadrato) viene accantonata. Resta il fatto che il Bramante aveva avuto l’ingegno e il coraggio di elaborare un piano ardimentoso all’altezza dei compiti  e  del  tempo: l’epoca in cui, alla scoperta dell’America, segue la riscoperta dell’uomo quale centro di ogni interesse e iniziativa. L’uomo  eterno, Ulisse, che sfida i misteri dell’oceano sconosciuto e carpisce alla natura i  reconditi  meccanismi  dell’armonia. Il Bramante, la  cui sapienza nel costruire coincide con la visione pittorica di Raffaello, riuscì comunque a condizionare il fulcro di San Pietro con i quattro piloni e gli arconi di raccordo che egli eresse  nell’ambito  della pianta centrale, passata alla storia come la concezione architettonica più grandiosa e più originale dell’intero Rinascimento. Fu calunniato, proprio come capita ai grandi, e collocato in posizione di rivalità nei confronti di Michelangelo. Invece fu suo precursore nel  concepire l’architettura come monumento e simbolo: un segno lasciato dagli uomini del suo tempo alle generazioni future.