DEI SEPOLCRI TRADUZIONE LETTERALE

DEI SEPOLCRI TRADUZIONE LETTERALE


-Il sonno della morte è forse meno pesante all’ombra dei cipressi e dentro le urne cenerarie confortate dal pianto dei vivi? Dove il Sole non feconderà più, per me e alla terra, la flora e la fauna, e quando le ore del futuro non passeranno davanti a me piene di promesse lusinghiere, e neppure da te , caro amico (Pindemonte), potrò più ascoltare la tua poesia e la malinconica musicalità che l’accompagna, e l’ispirazione delle vergini Muse e dell’amore, unico sollievo alla mia vita di esule, non parlerai più al mio cuore, quale conforto darà alla vita perduta una lapide che tenga distinte le mie ossa dalle infinite altre che la morte dissemina per terra e per mare? E’ proprio vero, o Pindemonte! Persino la speranza, ultima a morire, si allontana dai sepolcri: e la dimenticanza avvolge tutte le cose nella sua oscurità; è una forza attiva le agita di movimento in movimento, e il tempo trasforma l’uomo, le sue tombe, le sue estreme sembianze, i resti delle terre e del cielo ( in questi primi 22 versi, il poeta, attraverso tesi materialistiche, afferma che le tombe sono inutili ai morti, per i quali si è spenta per sempre ogni sensazione intorno alla vita. Da notare che Foscolo, proprio quando sembra rattristarsi per la drammatica fine a cui è soggetto ogni uomo, esalta la bellezza della vita: la vita risulta bella perché gli uomini possono godere delle gioie dell’amore e della bellezza della poesia. A partire poi dal verso 18 Foscolo per giustificare ulteriormente la tesi che le tombe sono inutili ai morti, porta avanti la concezione meccanicistica della realtà : inutile costruire le tombe dal momento che, il tempo, trascorrendo ridurrà in polvere ogni cosa).

A partire dal verso 23, il poeta oppone all’arida tesi meccanicistica che vanifica ogni cosa, il sentimento intorno alla tomba e al culto dei defunti. Ma perché prima di morire, l’uomo non si crea l’illusione che egli potrà continuare a vivere ancora su questa terra? Non continua forse a vivere ancora sottoterra, quando sarà spenta per lui ogni armonia del giorno, se può risvegliarla con dolce affetti nella memoria dei suoi cari? E’ divina questa corrispondenza di “amorosi sensi”, è una dote senz’altro celeste per gli uomini, e spesso grazie ad essa si vive con l’amico morto e l’amico morto vive con noi, se mericordiosa la terra che lo accolse fanciullo e lo alimentava, porgendo nel suo grembo l’ultimo rifugio, rende sacri i suoi resti, dall’imperversare della tempesta e dal piede profano del viandante ignaro e una lapide conservi il suo nome, e un albero dai fiori profumanti dia conforto alle ceneri con le sue dolci ombre. (A partire dunque dal verso 23 il Foscolo supera la concezione materialistica dei primi 22 versi, affermando che la tomba, inutile ai morti, e utile ai vivi i quali, grazie a una corrispondenza d’amorosi sensi fanno rivivere nella loro mente, attraverso il ricordo, l’amico estinto. Per questa via, la tomba viene ad essere nodo di “affetti familiari”).

Solamente chi non lascia dietro di se un buon esempio ha pochi vantaggi della tomba; e se pensa a quello che gli accadrà dopo la morte, vede la sua anima vagare tra il pianto comune dell’aldilà pagano, oppure rifugiarsi nella fede cristiana che prevede il perdono di Dio: ma abbandona i suoi resti tra le ortiche di un campo abbandonato, dove mai una donna innamorata pregherà per lui, ne un viandante solitario sentirà mai il sospiro che la natura invia a noi dalla tomba (a proposito di quest’ultimo verso, pare che il poeta alluda alle esalazioni che fuori escono di sera dalle tombe nei cimiteri).

(Dal verso 51 fino al 90, il poeta dopo aver sostenuto che la tomba è utile ai vivi perché essa è un nodo di affetti familiari, apre una polemica nei confronti del Trattato Napoleonico di Saint-Cloud, emanato nel 1804, ma entrato in vigore nel 1806, il quale ordinava di seppellire i morti in fosse comuni, privando in tal modo gli uomini di una singola tomba).

Purtroppo una nuova disposizione ordina di seppellire i morti lontano dalle mura cittadine, privandoli del loro nome. ( I nomi di ciascun morto venivano incisi su una lapide, posta all’ingresso del cimitero) e senza una tomba dorme Giuseppe Parini o Talia, ( è la Musa della poesia satirica, a cui si è ispirato Giuseppe Parini per comporre “Il Giorno”, un poemetto satirico contro la nobiltà.

Parini era nato a Bosisio nel 1729 e morirà a Milano nel 1799. Il suo corpo sarà gettato in una fossa comune, vittima, secondo il Foscolo, del trattato di Napoleone, il quale dettava l’uguaglianza anche nella morte. Un’uguaglianza che il Foscolo non accetta, in quanto distrugge una reputazione di un uomo grande come il Parini), che dedicandosi a te, nella sua povera casa, fece crescere un alloro, dopo lunga dedizione, e componeva, bellissimi versi ; e tu gli adornavi i canti con la tua ironia, quei canti che molestavano il Giovin signore lombardo (Foscolo lo chiama Sardanapalo, medievalizzazione di Assurbanipal, effeminato sovrano Assiro vissuto intorno al VIII secolo a.C.), per il quale è gradito soltanto il muggito dei buoi, che, dalle stalle dell’Adda e del Ticino, lo allietano in mezzo a prelibate vivande. O bella Musa, dove sei tu? Non sento il profumo dell’ambrosia, segno della tua presenza divina in mezzo a queste piante, dove io dimoro e sospiro per la tua lontananza della casa materna. E tu venivi e sorridevi a lui sotto quel tiglio ( Foscolo allude ai tigli di Porta orientale a Milano, dove Parini era solito andare a riposarsi) che ora, con i rami abbassati, freme perché non copre o Dea la tomba del vecchio Parini, per il quale dispensò un giorno ombre e riposo. Forse tu, o Dea guardi, girando, in mezzo alle fosse comuni, alla ricerca del corpo del tuo Parini? Milano dispensatrice immorale di favori nei confronti di cantanti castrati, non costruì, tra le sue mura ne una tomba, ne un’incisione; e forse il ladro, che lasciò sul patibolo i suoi delitti, sporca con il suo capo mozzato le ossa del Parini ( Foscolo, continuando la polemica a favore del Parini, rimprovera Milano per essere stata dispensatrice di favori nei confronti di uomini immorali come i Castrati (si tratta di cantanti che, per conservare la voce bianca e poter quindi sostituire la donna sulla scena, si facevano evirare, questo fino a tutto il ‘700 poi alle donne è stato ammesso di salire sulla scena).


Verso 71 fino al 90

Puoi sentire raspare tra le macerie e gli sterpi la cagna randagia, mentre, affamata, va’ ululando sopra le fosse; e puoi sentire l’upupa (uccello notturno che la Bibbia prima e Parini e Foscolo dopo ritengono un uccello lugubre), mentre esce dal teschio, dove si era rifugiata per sfuggire alla luce della luna e mentre svolazza sopra le croci sparse per la campagna cimiteriale e mentre l’upupa accusa con il suo lugubre singhiozzo i raggi delle stelle che dimostrano misericordia nei confronti di queste sepolture dimenticate. Invano, o Dea, invochi che scenda la rugiada sulla tomba del tuo poeta. Sopra i morti non spunta mai un fiore, se questo non è coltivato dall’affetto e dalla stima degli uomini (tale è una campagna cimiteriale, là dove mancano le tombe dei defunti, soprattutto quando mancano le preghiere dei vivi).

Verso 91 fino al 150

Dal verso 91 fino al 150, Foscolo richiamandosi alle concezioni di Gian Battista Vico, sostiene che, dopo che sono sorte le istituzioni del matrimonio, della giustizia, della religione, gli uomini hanno incominciato a praticare il culto dei defunti. Passa poi a parlare dei diversi culti che si sono manifestati lungo il corso della storia e dice di preferire il culto dei defunti che è stato praticato nel passato in Grecia. Presso questa civiltà le tombe servivano a ispirare l’animo dei vivi a nobili imprese. Tornando poi al presente, esalta i cimiteri inglesi, non solo per l’igiene con cui essi sono mantenuti, ma soprattutto per il valore patriottico che essi rivestono presso la Nazione inglese. Presentando poi la tomba, dove giace Orazio Nelson, ha la possibilità di manifestare i suoi sentimenti antifrancesi. ( Si ricordi che Orazio Nelson, ha sconfitto Napoleone a Trafalgar).

Verso 151

Da qui per altri 12 versi ci sono i versi più famosi.:

(A partire dal verso 151, l’ispirazione del Foscolo lascia di descrivere le tombe come nodo di affetti famigliari, per concepirle come nodo di affetti politici e civili. Egli, per dare questa impronta politica e patriottica, si esalta davanti alle tombe dei grandi situate nella Chiesa francescana di Santa Croce in Firenze); le tombe degli uomini grandi incitano l’animo del visitatore a compiere nobili imprese, oh Pindemonte e rendono sacra e famosa, al visitatore, la terra che li ospita. Io quando vidi nella Chiesa di Santa Croce dove riposa il corpo di Niccolò Machiavelli (1468-1527), il quale mentre dimostra di insegnare l’arte di Governo ai Principi, ne sfata le glorie, e rivela ai popoli le lacrime e il sangue che si celano dietro il fasto del potere; (il poeta, parlando di Niccolò Machiavelli attribuisce alla sua opera “il Principe” un’ispirazione romantica. Secondo lui, Machiavelli, scrivendo il Principe, non avrebbe voluto insegnare ai sovrani l’arte di governare, ma avrebbe pensato di svelare ai popoli il trucco del potere, il quale non è tutto splendore come si pensa, ma è frutto di violenza e sofferenza). E la tomba di colui che innalzò a Roma, nella Cappella Sistina, un nuovo Olimpo per le divinità cristiane ( è Michelangelo Buonarotti, nato a Firenze nel 1475 e morto a Firenze nel 1564). E di Galileo Galilei (1564-1642) che vide sotto la volta celeste, ruotare più pianeti mentre il sole stando fermo lì illuminava, per cui aprì per primo le vie del cielo a Isacco Newton (1643-1727), che proseguì con ingegno in quelli studi, proclamai. o Firenze, te felice, per i tuoi venticelli sereni e per i ruscelli che l’Appennino riversa dai suoi monti su di te.

Grazie alle tue limpide aree, la cima riveste di luce chiarissima le tue colline ricche di viti, e le tue vallate popolate di case ed oliveti mandano al cielo i profumi di mille fiori: e tu per prima, o Firenze, ascoltavi la divina commedia che placò lo sdegno a Dante Alighieri (Foscolo definisce Dante esule ghibellino per le sue forti simpatie verso l’imperatore, evidenziate nella “monarchia”), e desti i natali e la lingua a Francesco Petrarca, il quale adornando l’amore sensuale dei greci e dei latini di spiritualità, restituiva a Venere Celeste; ma più felice perché in un solo tempo conservi le glorie italiche, forse le uniche da quando le maldifese Alpi e le alterne vicende delle sorti umane ti assalivano, invadendo ogni cosa, le tue ricchezze, i tuoi eserciti, le chiese e la Patria. E se un giorno presso gli animi più sensibili nascerà un desiderio di indipendenza, da queste tombe noi prenderemo l’ispirazione. E presso questi marmi in S. Croce venne spesso Vittorio Alfieri per cercare l’ispirazione. (Vittorio Alfieri, poeta molto amato dal Foscolo, era nato ad Asti nel 1749 e morto a Firenze nel 1803, dopo una vita combattuta in difesa dell’arte e di idee d’indipendenza. Scrisse sonetti e tragedie tutte ispirate al dissidio fra Tirannide e Libertà).

Sdegnato contro i numi tutelari delle Patria, passeggiava silenzioso dove l’Arno è meno popolato, mentre contemplava ansioso le pianure e il cielo; e dal momento che nessun aspetto contemporaneo gli attirava l’attenzione, l’austero veniva presso queste tombe per riposarsi; e aveva sopra il suo viso il pallor della morte e la speranza .Ora egli abita per l’eternità in compagnia di questi uomini illustri e le sue ossa fremono per amor di patria. E’ proprio vero, da quella pace dei Sepolcri vien fuori l’ispirazione di un Dio: quella stessa che alimentava contro i Persiani nella pianura di Maratona il valore e lo sdegno dei soldati greci, dove Atene elevò un tempio sacrale ai suoi valorosi soldati.

(Dunque, Firenze può ritenersi fortunata per il bellissimo paesaggio che la circonda, per aver dato i natali a Dante Alighieri e per aver dato la lingua a Francesco Petrarca [ Foscolo attribuisce al Petrarca il merito di aver spiritualizzato l’amore che i greci e latini avevano concepito da un punto di vista sensuale], ma è ancora più fortunata perché nel tempio Francescano di S. Croce accoglie le glorie italiche).

(Nei versi 202-225, il poeta celebra l’eroismo dei soldati greci manifestato nella pianura di Maratona nel 490 a.C. contro i Persiani. Verso quei luoghi che riecheggiano ancora gli urli di quella battaglia combattuta per l’indipendenza greca, e in viaggio, mentre Foscolo compone il poemetto, Ippolito Pindemonte, il caro amico, la cui disputa sui cimiteri, gli ispirò la stesura dei Sepolcri. E manifestando una certa invidia nei suoi confronti, perché sta affrontando un viaggio turistico, il Foscolo fa un confronto con le proprie condizioni di esule).


Verso 226

E le Muse, ispiratrici del pensiero degli uomini, chiamino me a ricordare gli eroi, me che i tempi e il desiderio dell’onore costringono ad andare esule di terra in terra. Esse siedono a custodia dei sepolcri, e quando il tempo, con la sua rovinosa potenza, avrà spazzato persino gli ultimi resti, le muse Pinfee renderanno lieti con il loro canto i deserti e la loro armonia supera il silenzio dei secoli. (A partire dal verso 226, il poeta conferisce al Carme una nuova ispirazione: introduce il tema della poesia eternatrice di ideali, della poesia che si oppone alla dimenticanza che il tempo, trascorrendo, produce. Il poeta da a se stesso l’incarico di poeta-vate, affida a se stesso il compito di eternare ciò che è destinato a perire, prima che il tempo con la sua implacabile prepotenza porti via il ricordo delle cose. Ritorna, in questi versi, come un tarlo, la preoccupazione delle concezioni materialistiche, che sembrava superata e vinta, nel momento in cui il poeta assegnava alle tombe il compito di eternare il ricordo degli uomini).

(Per giustificare la tesi che il tempo trasformi ogni cosa e che solamente la poesia può opporsi alla dimenticanza, il poeta introduce il mito della tomba di Elettra, il monumento nel quale dormono gli uomini illustri di Troia).

Ed oggi nella regione di Troia abbandonata risplende per i visitatori un luogo, eterno per Elettra alla quale fu sposo un tempo Giove, e a Giove diede il figlio Dardano, dal quale discesero la città di Troia, Assàraco, i cinquanta figli di Priamo e la stirpe romana di Giulio Cesare.

Perciò quando Elettra venne a sapere che stava per morire, inviò a Giove l’ultima preghiera:< E se a te un tempo furono care le mie chiome, il mio viso, le dolci veglie, e la volontà del destino non mi assegna un premio migliore, guarda almeno tu dal cielo la tua amica che sta per morire, affinché sulla terra rimanga il ricordo della tua Elettra>. (Elettra, poco prima di morire, era venuta a sapere dall’oracolo che la sua tomba sarebbe durata 900 anni e dopo tale tempo si sarebbe ridotta in polvere. Preoccupata per la caducità della sua tomba, si dispera. Giove, da parte sua non può fare nulla, neanche egli, pur essendo il capo degli Dei, può opporsi al volere del fato. Per evitare, però che la tomba di Elettra cada nella dimenticanza, scaduti i 900 anni, invia presso la sua ex moglie, il poeta Omero, il quale, grazie alla sua poesia potrà eternare la tomba di Elettra, sottraendola così a quel destino di distruzione a cui sono soggette tutte le cose compreso l’uomo.

Così pregando moriva. E Giove, non potendo intervenire aveva motivo di lamentarsi:< e scuotendo il suo capo immortale, faceva piovere dai suoi capelli il profumo dell’ambrosia sopra Elettra, e rese sacro quel corpo e la sua tomba. Dentro questa tomba riposò Erittonio, e assieme a lui dormono i grandi eroi di Troia, presso questa tomba le donne troiane scioglievano le loro chiome in segno di lutto, lamentandosi per l’imminente morte dei loro mariti; presso questa tomba venne Cassandra (figlia di Priamo e sacerdotessa, ricevette da Apollo il dono della profezia, ma ebbe anche in dotazione la sfortuna di non essere creduta), allora quando predisse l’ultimo giorno della sua città, e intonò sotto le ombre un canto affettuoso, e portava per mano i suoi nipoti, insegnando loro a piangere per la morte dei loro padri. Sospirando diceva:<Oh! Se il cielo permetterà a voi di ritornare dalla Grecia, dove andrete, schiavi, a pascolare i cavalli di Diomede e di Ulisse, invano cercherete la vostra Patria!. Le mura, opera di Apollo, fumeranno sotto le loro macerie. Ma i Penati (sono delle statuine che raffigurano le divinità tutelari della casa e del focolare domestico) dimoreranno in questa tomba, poiché è un dono del cielo conservare l’antica nobiltà del nome, quando si è nella miseria. E voi palme e cipressi che le nuore di Priamo presto pianteranno, e crescerete rapidamente innaffiati dalle lacrime vedovili, proteggete i miei padri: e colui che si asterrà dal portare la scure contro quelle sacre fronde, non si macchierà in casa di feroci delitti e si inginocchierà purificato sull’altare.(Il poeta, sul finire del carme, tiene in grande considerazione le palme e i cipressi, che nei primi versi del poemetto, aveva deriso per la loro inutilità. Ora sostiene che queste piante sono sacre e commetterà empietà e sacrilegio, colui che porterà la scure contro i loro rami. Richiamandosi sempre alla sacralità di queste piante, Foscolo a modo di attirare l’attenzione del lettore sulla tragica fine di Agamennone, il quale di ritorno dalla Grecia è stato ucciso dall’amante delle moglie Clitemnestra, per la colpa di aver fatto immolare la figlia Ifiginia, per ottenere così il ritorno in Patria.) . Proteggete i miei padri. ( Ora il poeta parla di Omero che con la sua poesia, quella dell’Iliade eternerà la tomba di Elettra, all’interno della quale dormono gli eroi troiani).

Un giorno vedrete un mendicante cieco (Omero) errare sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrare dentro gli avelli, e abbracciare le urne e interrogarle. Gemeranno i recessi più nascosti e la tomba racconterà della città di Troia distrutta due volte e due volte ricostruita splendidamente lungo le vie deserte per rendere ancora più gloriosa l’ultima vittoria di Achille.

Il divino poeta, calmando quelle anime tormentate, con il suo canto, eternerà i principi greci per tutte le terre bagnate dall’Oceano. E tu, o Ettore, sarai onorato con pianti dove il sangue versato per la Patria sarà ritenuto sacro e motivo di sofferenza, fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane. (Alla fine del carme, il poeta ha modo di celebrare la Poesia eternatrice di ideali. E alla poesia, Foscolo affida il compito di celebrare non solamente i troiani sconfitti, ma anche i greci vincitori, in quanto i vincitori hanno diritto della celebrazione poetica, mentre i vinti dalla poesia ricevono il dovere della pietà.

(Si conclude così questo poemetto Dei Sepolcri, attraverso il quale il poeta ha saputo costruire un inno alla vita e alla sua civiltà. Da notare l’ultimo verso, quello che dice che la poesia esisterà, a differenza della materia destinata a perire, fino a quando “il Sole risplenderà sulle sciagure umane”.

La poesia avrà sì il sopravvento su ciò che è destinato a perire, ma non potrà mai lenire la sofferenza che domina l’esistenza degli uomini).