Dedalo e le porte del tempio vv 14-33

Dedalo e le porte del tempio vv 14-33

Dedalo, come è noto, fuggendo dal regno Minoico, su penne veloci osò affidarsi al cielo, e per l’insolito cammino volò fino alle gelide Orse e leggero infine si fermò sulla rocca calcidica. E qui, appena toccata la terra, a te, o Febo, consacrò le ali ed eresse un tempio immane. Sulle porte era raffigurata la morte di Androgeo, quindi i Cecropidi obbligati – miserando tributo – a dare come pena ogni anno sette corpi di figli e sta raffigurata l’urna da cui si estraevano le sorti. Di contro compare la terra di Cnosso elevata sul mare: qui vi è il crudele amore del toro e Pasifae posta sotto al toro con un’astuzia e il Minotauro, razza mescolata e prole biforme, segno di un amore scellerato; qui la casa, opera famosa col suo inestricabile errare; ma in verità lo stesso Dedalo, preso da pietà per il grande amore della regina  sciolse l’inganno dei giri e rigiri nel Labirinto guidando con un filo i ciechi passi. Tu pure, o Icaro, avresti una parte importante in questo grande lavoro, se lo permettesse il dolore. Due volte aveva tentato di raffigurare l’evento  nell’oro, due volte caddero le paterne mani.

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