Dante De Monarchia Liber III
XV
[…] Duos igitur fines providentia illa inenarrabilis homini proposuit intendendos: beatitudinem scilicet huius vite, que in operatione proprie virtutis consistit et per terrestrem paradisum figuratur; et beatitudinem vite ecterne, que consistit in fruitione divini aspectus ad quam propria virtus ascendere non potest, nisi lumine divino adiuta, que per paradisum celestem intelligi datur. Ad has quidem beatitudines, velut ad diversas conclusiones, per diversa media venire oportet. Nam ad primam per phylosophica documenta venimus, dummodo illa sequamur secundum virtutes morales et intellectuales operando; ad secundam vero per documenta spiritualia que humanam rationem transcendunt, dummodo illa sequamur secundum virtutes theologicas operando, fidem spem scilicet et karitatem. […] Propter quod opus fuit homini duplici directivo secundum duplicem finem: scilicet summo Pontifice, qui secundum revelata humanum genus perduceret ad vitam ecternam, et Imperatore, qui secundum phylosophica documenta genus humanum ad temporalem felicitatem dirigeret. Et cum ad hunc portum vel nulli vel pauci, et hii cum difficultate nimia, pervenire possint, nisi sedatis fluctibus blande cupiditatis genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, hoc est illud signum ad quod maxime debet intendere curator orbis, qui dicitur romanus Princeps, ut scilicet in areola ista mortalium libere cum pace vivatur. Cumque dispositio mundi huius dispositionem inherentem celorum circulationi sequatur, necesse est ad hoc ut utilia documenta libertatis et pacis commode locis et temporibus applicentur, de curatore isto dispensari ab Illo qui totalem celorum dispositionem presentialiter intuetur. Hic autem est solus ille qui hanc preordinavit, ut per ipsam ipse providens suis ordinibus queque connecteret. […]
[…] Dunque due fini da perseguire additò all’uomo l’inenarrabile Provvidenza: la beatitudine di questa vita, che consiste nell’attuazione della propria virtù e raffigurata attraverso il paradiso Terrestre, e la beatitudine della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio, alla quale non si può ascendere con la propria virtù se non (è) aiutata dall’illuminazione divina, e che è dato di essere capita attraverso il paradiso celeste. A queste due beatitudini certamente, come per differenti conclusioni, è necessario giungere con diversi mezzi. Infatti arriviamo alla prima attraverso i documenti filosofici, purché li seguiamo operando secondo le virtù morali ed intellettuali; invece alla seconda attraverso i documenti spirituali che trascendono l’umana ragione, purché li seguiamo operando secondo le virtù teologali; cioè la fede, la speranza e la carità . […] Perciò fu necessaria all’uomo una duplice guida conformemente al suo duplice fine: e cioè il sommo Pontefice che, secondo le (verità ) rivelate, conducesse il genere umano alla vita eterna; e l’Imperatore che, attraverso i documenti filosofici, guidasse il genere umano alla felicità temporale. E poiché possono arrivare a questo porto o nessuno o pochi – e questi con molta difficoltà – se non dopo aver sedato i flutti della carezzevole cupidigia e il genere umano vive affrancato nella serenità della pace, essa è quell’obbiettivo al quale soprattutto deve tendere il curatore del mondo, che è chiamato il Principe Romano, ossia che in codesta aiuola di mortali si viva in libertà e pace. E poiché la disposizione del mondo terreno è determinata da quella inerente al movimento circolare dei cieli, è necessario perciò, affinché gli utili insegnamenti della libertà e della pace si adattino opportunamente ai luoghi e alle circostanze, […]