D’Annunzio Il Piacere riassunto e commento dell’opera

D’Annunzio Il Piacere riassunto e commento dell’opera


 

Opera emblematica non solo per la produzione romanzesca

di D’Annunzio ma anche per tutto il Decadentismo italiano, Il Piacere viene pubblicato a Milano nel 1889 da Treves. Più tardi, nel 1895, il romanzo verrà ripubblicato nella silloge narrativa chiamata dall’autore

stesso “romanzi della Rosa”, in cui comparirà a fianco de L’innocente e de Il trionfo della morte.

L’alter ego Andrea Sperelli:

Le esperienze del poeta e della sua magnifica vita prendono forma nella persona di Andrea Sperelli un esteta dotato di buon gusto in opere d’inchiostro, carismatico, eloquente e dalla dirompente passione. Una personalità camaleontica, colma di ardore e voluttà, alla ricerca di appagare un eterna sete di piacere che la mediocre società borghese del tempo non può saziare.

Le figure femminili nel romanzo:

Il giovane trascorre il tempo lontano dal “grigiore” della quotidianità, circondandosi di cose raffinate e lussuose, immerso in attività fuori del comune. La sua esistenza viene però turbata dall’abbandono dell’amante, la bella e misteriosa Elena Muti, la femme fatale, che Andrea, nonostante le numerose avventure frivole, non riesce né a sostituire né a dimenticare.

La figura dell’esteta:

Il Piacere rappresenta in assoluto il più significativo dei romanzi D’annunziani, la sua puntuale, chiara, precisa e minuziosa descrizione degli ambientii, stati d’animo, contesti e sentimenti delineano un quadro lucido e spregiudicato della sua personalità poliedrica e raffinata.

Il tentativo del Protagonista di fare della sua vita ciò che si fa d’un opera d’arte ricalca la tematica affrontata dallo scrittore inglese Oscar Wilde nel

Ritratto di Dorian Gray, anche se D’Annunzio riesce ad esprimere il concetto in maniera più esplicita, fluida e soddisfacente.

Riassunto dettagliato:

Il testo è formato da soli 4 libri, ma la struttura intera non è di immediata comprensione. Il protagonista dell’opera è Andrea Sperelli, innamorato della bellissima Elena Muti, sua amante. Andrea Sperelli è un nobile romano che ha la sua dimora presso Palazzo Zuccari a Roma. Il suo amore per Elena Muti, anch’essa nobile, conosciuta ad una festa mondana, è ormai finito, poiché lei lo ha misteriosamente abbandonato.

A partire da quel momento Andrea, per tentare di dimenticare la donna, si lascia andare ad incontri amorosi. Ferito durante un duello, viene ospitato dalla cugina nella villa di Schifanoja a Francavilla, dove conosce la ricca Maria Ferres, moglie del ministro di Guatemala, di cui subito s’innamora e dalla quale viene ricambiato. Andrea, appena guarito, torna a Roma e si rituffa nella sua solita vita mondana.

Anche Donna Elena è tornata a Roma dopo due anni, durante i quali aveva preso in seconde nozze Lord Heathfield. Andrea è combattuto tra due amori: Elena Heathfield e Maria Ferres, che si è definitivamente trasferita a Roma con la sua famiglia. Presto Andrea viene a sapere di una crisi finanziaria del marito di Maria che è costretta a lasciare Roma date le difficoltà economiche. Prima di partire, Donna Maria vuole concedersi per l’ultima notte ad Andrea, ma lui, essendo troppo innamorato di Elena, durante l’incontro si lascia sfuggire il nome di Elena, Maria fugge inorridita.

Ad Andrea non resta che la solitudine.

Da “Il piacere”: ritratto del protagonista

Nel primo capitolo del Piacere, D’Annunzio ci presenta Andrea Sperelli, il protagonista del romanzo, mentre a Palazzo Zuccari, la sua residenza romana, attende l’arrivo di Elena, la donna di cui è ancora innamorato e che l’ha abbandonato per sposare un altro uomo. La descrizione dettagliata

dell’ambiente mette in evidenza la ricercata e raffinata eleganza di cui il giovane ama circondarsi:

Le stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch’esalavan ne’ vasi i fiori freschi. Le rose folte e larghe stavano immerse in certe coppe di cristallo che si levavan sottili da una specie di stelo dorato slargandosi in guisa d’un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine nel tondo di Sandro Botticelli alla galleria Borghese. Nessuna altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa o amorosa offerta.

Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un’amante. Tutte le cose a torno rivelavano infatti una special cura d’amore. Il legno di ginepro ardeva nel caminetto e la piccola tavola del tè era pronta, con tazze e sottocoppe in majolica di Castel Durante ornate d’istoriette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme d’inimitabile grazia, ove sotto le figure erano scritti in carattere corsivo a zàffara nera esametri d’Ovidio. La luce entrava temperata dalle tende di broccatello rosso a melagrane d’argento riccio, a foglie e a motti. Come il sole pomeridiano feriva i vetri, la trama fiorita delle tendine di pizzo si disegnava sul tappeto.

Ma chi è Andrea Sperelli? Lo veniamo a sapere nel secondo capitolo del

romanzo che inizia con un’ aperta dichiarazione di ostilità di D’Annunzio nei

confronti del mondo borghese, responsabile di sommergere sotto il grigio

diluvio democratico (nel 1882 si sono svolte elezioni a suffragio

allargato) molte cose belle e rare, e fra queste anche l’antica nobiltà italica,

dedita alla cultura, all’eleganza e all’arte:

Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d’eletta cultura, d’eleganza e di arte.

D’Annunzio detesta la società moderna perché la ritiene volgare, nemica della bellezza, della buona educazione (urbanità), del linguaggio elegante e colto che regnavano sovrani nel secolo scorso, rendendo amabile la vita. Il protagonista del romanzo, Andrea Sperelli, appartiene per tradizione familiare a questo mondo raffinato (classe arcadica) che sta ormai scomparendo:

A questa classe, ch’io chiamerei arcadica perché rese appunto il suo più alto splendore nell’amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli. L’urbanità, l’atticismo, l’amore delle delicatezze, la predilezione per gli studii insoliti, la curiosità estetica, la mania

archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa degli Sperelli qualità ereditarie.

Andrea segue la tradizione familiare: è un gentiluomo colto ed elegante che ha ricevuto una straordinaria educazione estetica perché ha alternato lunghe letture con lunghi viaggi in compagnia del padre. Da lui ha ereditato il culto appassionato della bellezza, il disprezzo per la mediocrità e i pregiudizi, il desiderio sfrenato di piacere, le passioni estreme e l’abbandono a fantasticherie simili a quelle ricorrenti nelle opere di George Byron, il più importante poeta inglese, noto per la vita sregolata e fuori dagli schemi (inclinazione byroniana):

Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo, il legittimo campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, ultimo discendente d’una razza intellettuale.

Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di studii varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò, fino a’venti anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e constrizioni di pedagoghi. Dal padre a punto ebbe il gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizii, l’avidità del piacere.

Questo padre, cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica, sapeva largamente vivere; aveva una scienza profonda della vita voluttuaria e insieme una certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico. Lo stesso suo matrimonio era avvenuto in circostanze quasi tragiche, dopo una furiosa passione. Quindi egli aveva turbata e travagliata in tutti i modi la pace coniugale. Finalmente s’era diviso dalla moglie ed aveva sempre tenuto seco il figliuolo, viaggiando con lui per tutta l’Europa.

Andrea è curioso, sempre pronto a intraprendere nuove esperienze (prodigo di sé) e a viverle fino in fondo, seguendo l’indicazione che il padre gli ha dato fin da bambino: fare la propria vita come si fa un’opera d’arte, cioè esprimere il proprio sentire in assoluta libertà, non avere rimpianti, possedere senza essere posseduti (habere, non haberi). E Andrea, dotato di una sensibilità estrema (grade forza sensitiva) ma privo di forza di volontà (natura involontaria), si abbandona totalmente alle massime volontarie del padre senza accorgersi della loro potenza devastante e distruttiva:

L’educazione d’Andrea era dunque, per così dire, viva, cioè fatta non tanto su i libri quanto in conspetto delle realità umane. Lo spirito di lui

non era soltanto corrotto dall’alta cultura ma anche dall’esperimento; e

in lui la curiosità diveniva più acuta come più si allargava la

conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo di sè; poichè la grande

forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori

alle sue prodigalità. Ma l’espansion di quella sua forza era la

distruzione in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso

non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non si accorgeva che la sua

vita era la riduzion progressiva delle sue facoltà, delle sue speranze,

del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia; e che il circolo gli si

restringeva sempre più d’intorno, inesorabilmente se ben con lentezza.

Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale:

“Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la

vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.”

Anche, il padre ammoniva: “Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza. La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: ― Habere, non haberi.”

Anche, diceva: “Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato. Bisogna sopra [p. tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni.”

Ma queste massime volontarie, che per l’ambiguità loro potevano anche essere interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria, in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva era debolissima.

Così, nell’ultimo capitolo del romanzo, al termine di una torbida vicenda amorosa che lo ha visto diviso fra due donne, Andrea si ritroverà solo, svuotato di ogni energia morale e creativa:

Aveva la sensazione, in bocca, come d’un sapore indicibilmente amaro e nauseoso che gli montasse su dal dissolvimento del suo cuore.


Riassunto Il Piacere D’Annunzio

di Gabriele D’Annunzio

Riassunto

Andrea Sperelli ama la bella e dissoluta Elena Muti. Non la vede da circa due anni. Nel frattempo, la donna è andata sposa a lord Heathfield; Andrea però intende riannodare i fili di una relazione su cui il lettore viene informato da un ampio flashback. Il rifiuto di Elena induce il deluso Andrea a rituffarsi nel libertinaggio amoroso, nella cornice galante e raffinata dell’aristocrazia romana, di cui risaltano alcuni momenti esemplari (come la corsa dei cavalli). Ferito durante un duello da un amante tradito, Andrea trascorre la convalescenza in casa di una cugina. Qui conosce la bella e dolce Maria Ferres, una donna sposata che impersona una femminilità opposta a quella dirompente e aggressiva di Elena. Andrea instaura con Maria una relazione di natura spirituale, mentre il desiderio di elena si fa in lui sempre più prepotente. Si arriva così all’epilogo Andrea pronuncia incautamente il nome di elena proprio durante il primo incontro amoroso, tanto atteso, con Maria, la quale fugge via abbandonandolo.

Come nacque il romanzo e il significato

Il romanzo Il piacere (1889) segna il momento più estetizzante di D’Annunzio. L’autore si autoritrae nel giovane Andrea Sperelli, ultimo discendente d’una razza d’intellettuali, educato dal padre a fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Andrea è un esteta, che disprezza ogni forma volgare di vita; la sua casa romana, nel cinquecento Palazzo Zuccari, è ricca di oggetti d”arte, descritti con la precisione di un antiquario dilettante. Figura artificiosa e finta, egli intrattiene un rapporto ambiguo, ora passionale ora distaccato, con gli oggetti e le persone (soprattutto donne) che lo circondano

Il narratore pare talora prendere le distanze dalle deviazioni e incoerenze del protagonista, come accadeva in ritroso di Hysmans. Ma è solo un’impressione, perchè in realtà D’Annunzio vuole calamitare i lettori verso una sbalordita ammirazione per il bello, di cui il romanzo confeziona molteplici immagini: dagli ozi edonistici del protagonista agli scorci monumentali della Roma barocca.

Nato, a detta dell’autore, come studio dal vero di un caso psico patologico, il racconto vorrebbe proporre una sorta di itinerario morale: Andrea desidera infatti riscattarsi, passando dall’amore troppo sensuale per Elena (la femmina-sirena, vestita di porpora) a quello più puro per Maria (la bianca figura cui si addice l’ermellino). Il tutto però rimane un po’ astratto, privo di veri sviluppi. Il piacere rivela, in realtà, scarse capacità introspettive, anche se non mancano pagine suggestive. L’analisi del protagonista si riduce all’alternanza, in lui, di desiderio e stanchezza dei sensi; le figure femminili sono appena abbozzate, quasi dei fantasmi nati dalla voluttà (desiderio di abbandonarsi al piacere) di Andrea.

L’intreccio del romanzo già piuttosto esile, viene reso più fragile dal frequente ricordo ai flashback: rievocazioni di memoria e salti nel passato che producono forti scarti temporali tra i vari momenti della vicenda. Il racconto si allontana così dall’oggettività cara al romanzo ottocentesco anche per le numerose disquisizioni filosofiche, estetiche, psicologiche, attraverso cui l’autore esplora il mondo intellettuale del protagonista e ritrae l’ambiente mondano della Roma umbertina.

Tutto ciò potrebbe preludere a una narrativa nuova e quasi novecentesca, in cui appunto tenderanno a prevalere questi elementi saggistici e filosofici. Purtroppo, però nel Piacere, il giovane autore è interessato soprattutto a eventi mondani, descrizioni di oggetti (quadri, statue, palazzi, ecc.), divagazioni poetiche ed erudite. Lo stile risulta levigato e manierato, sempre lontano dal linguaggio comune Il piacere finisce così per apparire una sorta di museo letterario, da cui lo scrittore estrae pezzi e impressioni: è il limite più vistoso dell’estetismo dannunziano.

L’attesa di Elena (Libro I, capitolo II)

E’ l’ultimo giorno dell’anno del 1886. Il protagonista Andrea Sperelli attende, in casa sua, la visita di Elena, la donna amata, che non vede da due anni.

Il protagonista Andrea Sperelli attende la visita di Elena, la donna che amò in passato e che non rivide da ben due anni. Nelle stanza di palazzo Zuccari, dove abita, tutto è stato preparato con cura per rivivere l’atmosfera degli incontri di un tempo, ma l’attesa rende nervoso il protagonista, che cerca di calmarsi attizzando il fuoco: questo gesto risveglia in lui, il ricordo di Elena, che compare qui per la prima volta, nel romanzo, nella memoria dell’amante.

Il piacere è un romanzo estetico, un romanzo d’arte e di lusso. In esso gli oggetti sono citati solo in quanto opere d’arte, le fisionomie dei personaggi devono richiamare dipinti o sculture, mentre ai luoghi (saloni, parchi, gallerie d’arte, sale da concerto, chiese barocche) è affidata una funzione quasi esclusivamente scenografica, di magnifico sfondo che nobilita chi ci abita. Tutto ciò viene preannunciato nella pagina d’apertura. Descrivendo l’interno della casa di Andrea, il narratore indugia infatti sulla preziosità dell’ambiente, degli oggetti che lo abbelliscono, indice sicuro del gusto del padrone di casa: l’esteta, appunto, Andrea Sperelli. A un certo momento la riflessione estetica (Nessuna altra forma di coppa eguaglia) finisce per staccarsi dal contesto propriamente narrativo, secondo un modulo saggistico discorsivo che è anch’esso tipico del romanzo d’esordio dannunziano.

Il ritmo del romanzo avanza con lentezza, alternando narrazione e descrizione e assegnando a quest’ultima il rilievo maggiore.

L’estetismo di Andrea non si rivolge alla classicità (la Roma degli imperatori), ma all’età tardorinascimentale e barocca, ovvero a un’epoca e a un tipo di arte che presentavano elementi eccessivi, sontuosi e un po’ torbidi. Più avanti la stessa. Elena si dichiarerà consonante con Andrea, su questo punto, allorché affermerà :<<voi abitate in un luogo ch’io prediligo>>.

Nel brano si riscontra anche una particolare concezione della natura: infatti la casa di Andrea è ricca di elementi naturali, come i fiori o i motivi decorativi dell’arredamento.

Nella terza sequenza, quella dell’attesa, l’autore fa entrare il lettore in una situazione narrativa in movimento. Il testo (siamo nel primo capitolo del romanzo) non è solo il punto di partenza di ciò che seguirà, ma anche il punto di arrivo di una ricca serie di fatti precedenti. Come risultato, sulla pagina la realtà dei fatti si mescola continuamente, con la memoria, l’attesa, il desiderio.

La quarta sequenza narrativa è la più estesa, dedicata al ricordo.

Per quanto riguarda lo spazio, il narratore restringe progressivamente il campo visivo si va dal generale al particolare,

parallelamente allo spazio, si precisa anche il tempo, mediante l’artificio del sono delle campane.

Ritratto d’esteta (Libro I, Capitolo II)

D’Annunzio ci presenta in questo secondo capitolo, il ritratto del suo protagonista: un vero esteta, come si coglie dall’educazione ricevuta, dal suo gusto, dal mondo in cui vive. Rimasto orfano da poco, ricchissimo a soli ventun’anni, Andrea Sperelli ha posto dal 1884 la sua residenza a Roma, la città che merita la sua speciale predilizione. Vive in uno splendido palazzo e coltiva i suoi gusti signorili ed esclusivi, tra cui l’amore passionale. L’esordio del romanzo ci mostrava in azione il personaggio, nell’ultimo giorno del 1886, mentre attendeva,

in casa sua, l’arrivo dell’ex amante Elena; ora l’autore presenta la storia precedente del personaggio, come un flashback dell’autore stesso.

Il passo delinea il ritratto dell’esteta: rievoca la sua formazione intellettuale, letteraria e artistica, e contemporaneamente mette a fuoco le sue aspirazioni superiori, che lo distinguono dagli altri uomini.

Due caratteri fondamentali contraddistinguono il giovane personaggio:

-Da una parte, la forte sensibilità estetica: Andrea è tutto impregnato di arte; possiede il gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza;

-Dall’altra, la sua scelta di vivere secondo gli istinti: dotato di grande forza sensitiva, egli fu fin dal principio… prodigo di sé, disposto, com’era il padre, alla vita voluttaria, all’avidità del piacere.

Il narratore precisa che Andrea non è nato così, cioè esteta e sensitivo: è invece, il prodotto di un apposito programma educativo, di un’educazione estetica. Fu infatti suo padre, un gentiluomo aristocratico cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica, a insegnare al figlio il gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza. Lo scopo è quello proprio della classe nobiliare: distinguersi dalla rozzezza del popolo, incapace di bellezza. Sempre il padre ha educato Andrea al sofisma, ovvero a non accettare nessuna verità come assoluta, a voler criticare sofisti. Tale distacco dalla morale corrente è, assieme all’accesa sensibilità estetica, l’altro principio basilare dell’estetismo.

Una simile educazione, secondo il giudizio del narratore, ha prodotto danni gravi nel carattere del giovane Andrea. Lo scrittore definisce infatti incauto educatore quel padre che ha finito per deprimere, nel figlio, la forza morale, fino al puunto da creare in lui una potenza volitiva…debolissima.

In realtà, però, D’Annunzio aderisce al modello di uomo delineato in Andrea Sperelli. L’autore si compiace del fatto che l’espandersi della forza sensitiva (cioè istinti, capacità percettive, sensazioni)finisca per annullare, in Andrea, la forza morale. Tutto il brano, e tutto il romanzo, non fanno che amplificare le sensazioni, le impressioni, i gusti di chi nella vita tiene fede solo al principio del culto della bellezza.

In questo brano il narratore interrompe la narrazione d’intreccio per costruire, a beneficio dei lettori, un vero e proprio ritratto del protagonista. Ma si tratta di un ritratto speciale, ovvero di un ritratto d’esteta.

Il narratore sembra censurare la debolezza morale del suo personaggio, anche se poi si mostra in piena consonanza con lui. In tal senso è assai indicativo il trinomio (gruppo di tre termini) che figura nel primo capoverso del brano.

Eppure il narratore non teme di orchestrare un ambiguo gioco di luci e di ombre, notando come Andrea sia interiormente malato, debole, incapace di riprendere su sé stesso il libero dominio.

Andrea predilige nettamente la Roma barocca, la Roma delle grandi famiglie aristocratiche e soprattutto la Roma splendida e un po’ corrotta dei papi rinascimentali.