D’ANNUNZIO IL MITO DEL SUPERUOMO 

D’ANNUNZIO IL MITO DEL SUPERUOMO 

Tra il 1892 ed il 1900, rifacendosi al pensiero di Nietzsche, D’Annunzio elabora la versione italiana di uno dei miti centrali del decadentismo europeo, quello del superuomo, che rimarràfondamentale nell’esperienza etico-politica dello scrittore. Ma anche la lettura dannunziana di Nietzsche1 (come quella di Huysmans e di altri autori) è una lettura superficiale e parziale, che svuota il pensiero nicciano del suo contenuto filosofico e della sua sostanza tragica, ne riduce la portata e il significato complessivo, accentuando solo le norme di comportamento e di morale connesse all’idea di superuomo. Si ha così l’innesto dell’estetismo con l’ideale e la morale superomistica.

L’ideologia superomistica che trova la sua esposizione programmatica ne “Le vergini delle rocce” e nel “Fuoco”, presenta alcune caratteristiche fondamentali: 

Al di sopra della plebe, avvinta alle sue mediocrità, si leva il superuomo che coltiva il culto della forza, la volontà di affermazione e di dominio, il disprezzo del pericolo e l’amore per il rischio,la violenza, la guerra. Collegata con la forza è “l’esuberanza sensuale, il libero disfrenarsi dei dirittidella carne e della natura umana, e accanto ad essi si pone – senza contraddizione – il culto della bellezza, valore che pochi sono in grado di comprendere e di creare, linea discriminante degli eletti dalla plebe” (Salinari).

E’ quella del superuomo una concezione aristocratica del mondo che porta al conseguente disprezzo della plebe, dell’uguaglianza democratica, della potitica come ordinaria amministrazione, del regime parlamentare. “Lo Stato dev’essere un istituto perfettamente adatto a favorire la graduale elevazione d’una classe privilegiata verso un’ideal forma di esistenza”; d’altra parte la folla, considerata materia bruta, diventa l’oggetto da possedere e da conquistare, da plasmare e forgiare da parte del dominatore e signore con la parola e il gesto.

Totalmente negativo è il giudizio sull’Italia post-unitaria; occorrono energie nuove che le sollevino dal fango, in grado di realizzare una missione di potenza e di grandezza.

Infine, la polemica contro la volgarità della nuova borghesia dell’industria , del commercio e della prima speculazione edilizia, e con essa, la polemica contro i principi di libertà e di uguaglianza introdotti dalla rivoluzione borghese. Tale volgarità, per Claudio Cantelmo, protagonista delle “Vergini delle rocce”, trova il suo simbolo nella Roma deturpata dalle speculazioni edilizie.

 
 

LA POETICA DANNUNZIANA 

Il fine dell’opera d’arte è per D’Annunzio quello d’imporre la propria bellezza, suscitando sensazioni eccitanti ed effetti magnifici sui lettori.

Questo è il nucleo dell’estetismo dannunziano: “il verso è tutto” proclama Andrea Sperelli. Estendendo il motto, si può dire che nell’estetismo dannunziano, la parola è tutto, la parola poetica crea la realtà, sostituisce il mondo e sta per esso.

L’aspetto che a prima vista colpisce di più nella pagina dannunziana è la raffinatezza “classica” della scrittura e la sovrabbondanza degli aspetti formali e stilistici; in realtà il pregio della sua arte finisce spesso per esaurirsi in questi valori esteriori: se le eleganti forme della poesia classica erano subordinati ai messaggi e ai contenuti che stavano a cuore al poeta, il particolare classicismo dannunziano si mostra invece  sostanzialmente indifferente ai messaggi e ai valori.