Dalla civilta elitaria all’ uomo massa

Dalla civilta elitaria all’ uomo massa

Pietro Melograni 1995


Un secolo fa usciva il libro di Gustave Le Bon che avrebbe influenzato Mussolini, Hitler e Lenin ma anche Freud, Jung e Schumpeter .

Il libro che Gustave Le Bon dedico’ alla “Psicologia delle folle” fu pubblicato nel 1895, a Parigi. Oggi, a un secolo di distanza, merita di essere celebrato come uno dei maggiori contributi allo studio dei comportamenti collettivi che siano mai stati scritti. Sigmund Freud disse di averlo molto apprezzato. Carl Gustav Jung affermo’ che le sue idee sull’ uomo massa coincidevano con quelle espresse da Le Bon. E un grande economista come Joseph A. Schumpeter attribui’ a Le Bon il merito di avergli aperto gli occhi “su realtà che tutti conoscevamo, ma che nessuno desiderava ammettere”. Oltre che da questi scienziati, il libro di Le Bon fu attentamente analizzato, per scopi pratici, da molti capi politici della prima meta’ di questo secolo. Benito Mussolini considerò l’ autore della “Psicologia delle folle” come uno dei suoi maggiori maestri. “Ho letto tutte le opere di Le Bon”, dichiarò nel 1926, “e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. E un’ opera capitale, alla quale ancora oggi spesso ricorro”. Anche Adolf Hitler conobbe bene l’ opera di Le Bon e ne seguì i consigli. Quanto a Lenin, se scorriamo i quaranta e pii volumi delle sue opere, non troviamo citato il nome di Le Bon neppure una volta. Ma un segretario di Stalin poi fuggito in Occidente rivelò nelle sue memorie di aver chiesto alle segretarie di Lenin quali fossero le opere che il loro capo preferiva leggere. Ed esse gli risposero che Lenin leggeva Le Bon. Dato e non concesso, dunque, che la “Psicologia delle folle” possa essere oggi giudicata un’ opera datata, superficiale e limitata, resta il fatto inoppugnabile che essa ha esercitato un influsso considerevole su pensatori e politici.

Nelle pagine del suo libro, Le Bon sostiene che sta oggi nascendo un’ epoca nuova, l’ epoca delle folle, destinata a distruggere per sempre la civiltà elitaria. Il gigantesco cambiamento deriva, a suo giudizio, sia dalla crisi delle credenze religiose, politiche e sociali tradizionali, sia dall’ avvento di condizioni di vita e di pensiero nuove, prodotte dalle scoperte delle scienze e dell’ industria. Nella fase di passaggio tra il vecchio e il nuovo, il mondo vive un periodo di confusione. E infatti: “Dato che le idee del passato, sebbene meno salde, sono ancora molto forti, mentre quelle che devono sostituirle sono ancora in via di formazione, l’ età moderna rappresenta un periodo di transizione e di anarchia”. Che cosa scaturirà dall’ anarchia? Le Bon non e’ in grado di immaginarlo. L’ unica certezza gli sembra risiedere nel fatto che ogni civiltà futura dovrà “fare i conti con la potenza nuova, la più recente sovrana dell’ età moderna, la potenza delle folle”. E Le Bon se ne preoccupa perché le folle gli appaiono impulsive, suggestionabili, semplicistiche, dominate dall’ inconscio collettivo e non dalla luce della ragione. “Per il solo fatto di appartenere a una folla . afferma ., l’ uomo scende di parecchi gradini la scala della civiltà . Isolato, era forse un individuo colto; nella folla e’ un istintivo e un barbaro”. Se Le Bon si limitasse a dire soltanto questo, potremmo giudicarlo uno scrittore conservatore, nemico delle masse, antidemocratico e antimoderno. Ma Le Bon riesce a intravedere anche le grandi qualità delle folle. Riconosce che esse, opportunamente suggestionate, si rivelano moralmente elevate e perfino eroiche. “Possono essere trascinate, quasi senza pane e senz’ armi, come al tempo delle Crociate, a liberare dagli infedeli il sepolcro di un dio o, come nel 1793, a difendere il suolo della patria. Eroismi evidentemente un po’ incoscienti, ma e’ proprio con tali eroismi che si fa la storia. Se si dovessero mettere all’ attivo dei popoli solo le grandi imprese freddamente ragionate, gli annali del mondo ne registrerebbero ben poche”. Un concetto che Le Bon ribadisce: “Se le folle avessero ragionato spesso, e consultato i loro interessi immediati, forse nessuna civiltà si sarebbe sviluppata sulla superficie di questo pianeta, e l’ umanità non avrebbe storia”. D’ altra parte Le Bon e’ consapevole del fatto che l’ irrazionalità può travolgere, oltre alle folle, anche gli individui più colti e raffinati. E questo accade per esempio nel campo della politica, dato che la politica e’ strettamente legata ai sentimenti: “In tutto ciò che riguarda il sentimento (religione, politica, morale, affetti, antipatie, eccetera) gli uomini più eminenti sorpassano molto di rado gli individui comuni. Tra un celebre matematico e il suo calzolaio può esserci un abisso dal punto di vista intellettuale, ma dal punto di vista del carattere e delle credenze la differenza e’ spesso inesistente o quasi”. Se il suffragio elettorale venisse limitato a una piccola folla di individui qualificati, non se ne ricaverebbero grandi benefici dato che: “Il voto di quaranta accademici non e’ migliore di quello di quaranta acquaioli (…) Il fatto di conoscere il greco o la matematica, di essere architetto, veterinario, medico o avvocato, non da’ a un individuo doti di perspicacia in faccende legate al sentimento”. Le stesse assemblee parlamentari possono comportarsi come piccole folle ed essere quindi semplicistiche, irritabili, suggestionabili. I deputati giacobini, durante la rivoluzione, furono dominati dai dogmi senza curarsi dei fatti. I discorsi di Robespierre brillarono per incoerenza eppure suggestionarono tanti parlamentari. Mussolini e Hitler, aggiungeremmo noi, riuscirono a ottenere la fiducia da quelle assemblee parlamentari che stavano per distruggere. Ciò nondimeno il sistema parlamentare ha continuato a rappresentare, come osserva Le Bon, “lo strumento migliore che i popoli abbiano finora trovato per governarsi e, soprattutto, per sottrarsi il più possibile al gioco delle tirannie”. Le Bon non pensa che serva a molto modificare le istituzioni e le costituzioni se non cambiano i popoli. Ma i popoli sono governati dalle tradizioni e dai loro caratteri che possono trasformarsi solo molto lentamente grazie all’ accumularsi delle esperienze. E anche questo accumulo, per sortire un qualche risultato, dovrebbe attuarsi su larga scala e ripetersi più volte, poiché : “Di solito le esperienze compiute da una generazione non giovano a quella che segue”. Non serve a molto neppure la diffusione dell’ istruzione o la lettura dei libri. Le vere esperienze non sono quelle libresche, bensì quelle che vengono sofferte sulla propria pelle. Questa visione del mondo così cruda e disincantata apparteneva a un uomo singolare, poiché Gustave Le Bon fu un anticonformista estroso, bizzarro ed eclettico. Nella sua lunga vita, oltre che di psicologia, di storia e di sociologia, si occupò di anatomia, fisiologia, igiene, antropologia, archeologia e perfino di fisica atomica. La principessa Bibesco, che conobbe un Le Bon già piuttosto anziano, ne descrisse la strana aria da stregone, la grande barba sempre nera a causa delle tinture, la voce imperiosa e i toni autoritari. L’ abitazione parigina di Le Bon, posta nella rue Vignon, era una specie di santuario polveroso e semibuio, sovraccarico di arredi esotici, raccolti durante i viaggi compiuti in Africa e in Oriente: lampade di moschee, armi costellate di pietre false, pelli di tigre, tappeti a profusione. Ogni mercoledi’ sera, il padrone di casa riuniva a cena gli amici: presidenti di consiglio come Aristide Briand, scienziati come Henri Poincare’ e filosofi come Henri Bergson. Durante queste cene, Le Bon imponeva il silenzio con un campanello e decideva l’ argomento delle conversazioni. Ma la sua ironia e la sua passione per i problemi degli uomini rendevano attraenti quei convegni e più che tollerabili i suoi atteggiamenti dispotici. Era nato nel 1842 a Nogent Le Retrou, nella Francia centrale. Morì presso Parigi nel 1931. Ai funerali, nella chiesa della Madeleine, parteciparono in pochi. Tra quei pochi c’ era una sua devota allieva e ammiratrice, Marie Bonaparte, che era anche allieva di Sigmund Freud.

 

Melograni Piero

Pagina 25

(6 giugno 1995) – Corriere della Sera

/ 5
Grazie per aver votato!