CRISTO SI E FERMATO AD EBOLI TRAMA

CRISTO SI E FERMATO AD EBOLI TRAMA

CARLO LEVI


VITA DELL’AUTORE

Nato a Torino nei 1902, Carlo Levi si è laureato in medicina, manifestando però ben presto spiccati interessi politici: frequentò Piero Gobetti e scrisse su “Rivoluzione liberale” e sul “Baretti”, fu tra i fondatori a Parigi del movimento di Giustizia e Libertà, venne più volte incarcerato e nel 1935-36 confinato per motivi politici in Lucania: in Cristo si è fermato a Eboli ha descritto appunto questa esperienza. Accompagnando l’attività dì scrittore a quella di pittore, ha pubblicato nel 1950 L’orologio, che – più vicino dell’opera precedente alle strutture del genere romanzesco – costituisce un bilancio lucidamente critico della società italiana dell’immediato dopoguerra. Negli scritti raccolti nel volume Le parole sono pietre (1955), reportages di alto livello di viaggi e incontri in Sicilia, sono fermamente denunziate la violenza e l’offesa della dignità umana perpetrate sulle classi subalterne. Cronache di viaggio ricche di illuminanti intuizioni delle varie realtà sono: Il futuro ha un cuore antico, 1956 (Russia); La doppia notte dei tigli, 1959 (Germania); Tutto il miele è finito, 1964 (Sardegna). È morto a Roma nel 1975.

CONTESTO STORICO

Per comprendere il contesto storico in cui il libro si inserisce bisogna analizzare due periodi: quello che riflette le date nel testo e quello in cui scrisse l’autore Carlo Levi. Il primo periodo storico comprende gli anni intorno al 1935 ed è il periodo dell’avvento del fascismo e dell’imperialismo italiano; il secondo è invece quello della fine della seconda guerra mondiale, con la disfatta della Germania nazista e della liberazione dell’Italia.

I PERIODO: IL VENTENNIO FASCISTA

L’epoca di cui si parla nel libro si ricava da alcune frasi, come “La guerra dei briganti è finita nel 1865; erano dunque passati settant’anni“: facendo un rapido calcolo si arriva al 1935. Ma più chiara è la frase scritta per commentare la fine dell’anno: “Così finì, in un momento indeterminato, l’anno 1935 […] e cominciò il 1936“. Inoltre l’autore ricorda che iniziò il 1936 con “un segno funesto, una eclissi di sole“. Un altro fatto che ci fa comprendere la data in cui la vicenda si svolge è l’evento storico della guerra d’Abissinia.

Il malcontento alquanto diffuso del primo dopoguerra scuote la situazione politica italiana. Il successo della rivoluzione russa e i fermenti di rivolta in Germania fanno apparire imminente l’instaurazione di un regime proletario anche in Italia, mentre l’argomento della “vittoria mutilata” viene utilizzato dai partiti combattentistici per infervorare gli animi degli italiani. Tutti i partiti vogliono un rinnovamento della classe dirigente e sorgono ovunque focolai di ribellione che portano il paese nel disordine. In questo contesto si instaura il partito fascista di Benito Mussolini, con una politica di mantenimento dell’ordine garantito dalle squadre d’azione e con un programma espansionista in politica estera e socialisteggiante in politica interna.

Uno sciopero generale viene indetto a seguito delle violenze fasciste ed allora Mussolini dichiara che se la situazione non venisse risolta dal re, ci penserebbero i fascisti a ristabilire l’ordine con ogni mezzo. Il re non interviene ed allora viene fatta nel 1922 la “marcia su Roma”, in seguito alla quale il re inviterà Mussolini a formare da solo il governo. Il 3 gennaio 1925 con un discorso Mussolini da l’inizio della dittatura: il capo di stato non è più responsabile di fronte al parlamento, solo il re può deporlo. A causa di un attentato a Mussolini vengono emanate delle leggi eccezionali in seguito alle quali non è più possibile condurre apertamente la lotta al fascismo, tutte le sedi dei partiti avversari vengono chiuse e tutti i direttori dei giornali destituiti. I maggiori esponenti dei partiti e gruppi antifascisti vengono esiliati e si riuniscono a Parigi dove sorge la Concentrazione antifascista. Gli esponenti minori vengono confinati distanti dalle grandi città.

A seguito della crisi del 1929, l’Italia è segnata da forti squilibri fra le floride città e le degradate campagne, tra il ricco Nord e il povero Sud, ma dovunque si accende di uno spirito patriottico come non accadeva dai tempi dell’unificazione: Mussolini esalta il popolo italiano di santi ed eroi, ricordando le gesta dell’Impero Romano. Questo spirito imperialista si manifesta in politica estera: sorge l’impero italiano, con la conquista di Fiume, la sottomissione di Libia, Albania, Dodecaneso e parte della Turchia, con i programmi di conquista della Corsica, Tunisi e dei Balcani ma soprattutto con la guerra in Abissinia. Infatti, a seguito del danneggiamento di pozzi italiani a Ual-Ual, Mussolini decide di invadere l’Etiopia. Grazie alla superiorità di mezzi e di uomini, l’esercito italiano riesce ad entrare nel maggio 1936 ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. A seguito di questo fatto la Gran Bretagna infligge delle sanzioni all’Italia, la quale non ne risente grazie all’appoggio di Stati Uniti e Germania.

In politica estera Mussolini si impegna anche nel mantenere la pace in Europa, pace scossa dalla Germania nazista di Hitler, e, data la scarsa fiducia nella Società delle Nazioni, nel 1933, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia stringono a Roma il Patto delle Quattro Potenze per il mantenimento della pace. Ma questa pace dura poco, perché la Germania, spinta da un forte spirito espansionistico, nel 1939 invade la Polonia: è l’inizio della seconda guerra mondiale. L’Italia in un primo momento non entra in guerra, ma quando sembra che la Germania sia ad un passo dalla vittoria, con la conquista della Francia, Mussolini decide di intervenire, nel giugno del 1940.

II PERIODO: FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Il periodo in cui è stato scritto il libro è quello che comprende gli anni della fine della guerra: infatti, essendo il libro stato pubblicato nel 1945, si presuppone che sia stato scritto qualche anno prima.

La guerra non si è svolta secondo i piani di Hitler e Mussolini: la Gran Bretagna ha resistito ai continui bombardamenti tedeschi, la Russia, aggredita senza dichiarazione di guerra, grazie anche al sopraggiungere dell’inverno è riuscita a resistere: i carri armati tedeschi, non costruiti per resistere a temperature così basse, si rompono e le forze italiane mandate a combattere prive di mezzi e di rifornimenti sono costrette a ripiegare nelle gelate pianure della Russia in cui solamente il Corpo di Armata Alpino esce invitto, come recita un bollettino di guerra russo.

Il colpo letale è dato dall’entrata in guerra degli Stati Uniti a favore degli alleati: nel Nordafrica inizia, ad El-Alamein, una vittoriosa controffensiva britannica e statunitense, che porta alla riconquista di tutta la zona e del conseguente sbarco in Sicilia: inizia la lenta liberazione dell’Italia.

Nel frattempo Mussolini viene deposto e Badoglio diventa capo del governo, cosa che provoca l’invasione dell’Italia da parte dei nazisti: Mussolini è liberato e viene creata la Repubblica di Salò, sottomessa alla Germania. L’Italia è spaccata in due e non si capisce più se il nemico siano i tedeschi, con i fascisti, o gli americani: questo provoca lo sviluppo di una resistenza clandestina: inizia la lotta partigiana.

Gli Alleati con la conquista dei Balcani e lo sbarco in Normandia, iniziano a liberare l’Europa. A est la Russia avanza fino a Berlino dove, conscio della fine del suo sogno di impero tedesco e della sua futura condanna a seguito della guerra razziale, Hitler si suicida in un bunker. L’Italia e la Germania vengono liberate e gli alleati scoprono l’orrore dei campi di sterminio. Mussolini, catturato da alcuni partigiani mentre cercava di scappare travestito da soldato, viene impiccato insieme ad alti esponenti del partito a Milano: è l’ultimo degli orrori della guerra in Europa. In Europa torna la pace ma le perdite umane e materiali sono incalcolabili.

Nel resto del mondo il Giappone, alleato tedesco, combatte ancora contro gli Stati Uniti ma si giunge alla pace dopo il lancio di due micidiali bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.

La pace torna a regnare nel mondo.

CONTESTO POLITICO – CULTURALE

Il cotesto politico-culturale in cui il libro si innesta è quello del dopoguerra, con la caduta del fascismo, e del neorealismo anche se l’autore stesso, in una lettera al suo editore, rivela che “il Cristo si è fermato a Eboli fu dapprima esperienza, e pittura e poesia, e poi teoria e gioia di verità, per diventare infine e apertamente racconto“. La giustificazione del motivo della realizzazione del libro compare sempre nella stessa lettera: “Ogni momento, allora, poteva essere l’ultimo, era in sé l’ultimo e il solo: non v’era posto per ornamenti, esperimenti, letteratura: ma soltanto per la verità reale, nelle cose e al di là delle cose.” Da questo si capisce come mai lo stile sia neorealista.

Neorealismo: tendenza manifestatasi nella cultura italiana (letteratura, cinema, pittura, architettura) tra il 1930 e il 1955 circa. La distanza e il contrasto fra l’ottimistica Italia del fascismo e la realtà del paese, sconvolto da drammatici squilibri sociali, economici, culturali, inducevano sempre più gli scrittori ad abbandonare le evasive esercitazioni di stile e a ritrarre il mondo con la maggior dose possibile di verità. Fu poi negli anni ’40, con l’orrore della guerra, che questo divenne “impegno”, come cronaca nuda degli avvenimenti, nella convinzione che fossero i fatti stessi a parlare e che essi fossero tanto più eloquenti quanto meno mediati nella forma letteraria.

RIASSUNTO

Il libro, autobiografico e scritto in prima persona, narra la storia di un confinato nei primi tempi del ventennio fascista in Italia. Lo stile che prevale è quello descrittivo e lo scrittore, grazie anche alle sue conoscenza pittoriche, riesce a descrivere in modo dettagliato, ma mai superfluo, i paesaggi e le persone con cui viene a contatto di volta in volta.

Il pittore e medico di Torino Carlo Levi, protagonista e narratore, chiamato per rispetto Don Carlo dagli abitanti del paese, viene esiliato per idee politiche, di cui si sa ben poco dal libro, in Lucania, regione contadina del Sud Italia, più propriamente della Basilicata.

Il primo incontro del dottor Levi con i contadini di Gagliano, che in verità si chiama Agliano ma che lui scrive come si pronuncia nel dialetto del posto, con l’iniziale aspirata, avviene lo stesso giorno del suo arrivo: appena entrato nella casa di una vedova presso la quale aveva trovato provvisoriamente alloggio, in attesa di una sistemazione definitiva, alcuni contadini vengono a chiamarlo perché un loro parente sta morendo per un attacco di malaria. Levi si schermisce gentilmente, adducendo il fatto che egli da tempo non esercita la professione di medico, ma quelli insistono, dicendo che i due medici del paese sono più che altro dei “medicaciucci” che non dei validi medici. Sul malato purtroppo Levi può fare ben poco perché è ormai in fin di vita. Nonostante la morte del suo paziente, la dimestichezza che dimostra con il mestiere gli procura subito buona fama come medico.

Poi la prima cosa che fa, dopo aver cercato di comprendere e parlare il dialetto del paese, è quello di far conoscenza con gli abitanti di Gagliano: viene prima a conoscenza dei signori del paese: il sindaco Don Luigino, sua sorella Caterina, suo zio il dottor Milillo, il rivale di quest’ultimo dottor Gibilisco, il gobbo della posta Don Cosimino, il prete Don Tajella e un’altra sfilza di signori, la maggior parte emigranti rientrati dall’America dove avevano accumulato una piccola fortuna e avevano imparato un mestiere che poi hanno portato in patria. Tutti questi signori hanno delle caratteristiche comuni: tutti, ad esclusione degli “americani”, hanno studiato e successivamente hanno assunto delle cariche in paese di cui sono molto gelosi, come i due medici rivali che, sebbene del tutto inesperti e incompetenti, guardano male il povero Levi che tenta, con i pochi mezzi che ha a disposizione, di fare il meglio che può per gli abitanti di Gagliano.

Don Carlo viene poi a conoscenza della massa contadina, soprattutto grazie alle sue visite in qualità di medico: quel che lo colpisce è l’umanità contadina, che non si sente cristiana, perché “Cristo si è fermato ad Eboli“, ultima stazione ferroviaria e simbolicamente città dove finisce la società, perché cristiano nel linguaggio contadino significa uomo. Levi comprende l’esistenza di una civiltà contadina autonoma, che vorrebbe e dovrebbe organizzarsi come tale, ma che è invece soffocata dallo Stato e dalla Chiesa, che non riescono a comprendere le reali necessità dei contadini. Questa civiltà è distaccata dal mondo e dai suoi fatti e unanime negli atteggiamenti e nei pensieri: nessun contadino, a differenza dei signori, è iscritto al partito fascista, ritengono vere e giuste solo le loro credenze, le loro leggende, i loro miti religiosi e tutti insieme patiscono e questa è una caratteristica tipica dei contadini, insieme con la speranza. La mattina si alzano presto ed “emigrano” per andare a coltivare i campi nella valle che sono impestati dalla malaria, malattia dalla quale fin da bambini sono affetti e a causa della quale il loro viso ha un perenne colorito giallastro. Il distacco dal mondo fa loro mancare senso di patriottismo ed in particolare entusiasmo verso la guerra contro l’Abissinia, e quindi solo pochi nel paese andranno volontari per la guerra, nella speranza di guadagnare qualche soldo e dicendo “è la nostra ultima carta“. Questo accade perché per i contadini è esistita solo una unica e grande guerra, quella dei briganti, dei quelli si sentono i successori, in perenne dissidio con lo stato, e le imprese dei briganti sopravvivono nelle loro storie.

Nei primi mesi Levi è affascinato dalla nuova vita che comincia per lui e passa la maggior parte del suo tempo facendo interminabili passeggiate con il suo cane Barone, ma questo fascino scema velocemente a causa della monotonia dell’esistenza paesana e ben presto aumenta in lui il rimpianto per il paese dove era stato esiliato prima: Grassano, borgo più grande e quindi più ricco di vitalità.

Una piacevole sorpresa è rappresentata dall’arrivo della sorella che si trattiene con lui quattro giorni e racconta al fratello le peripezie compiute per ottenere del materiale medico a Matera, città fantasma, i cui abitanti vivono solitari in grotte.

Levi riesce poi a trovare una sistemazione in un vecchio palazzetto e cerca una donna che custodisca la casa, ma la mentalità contadina non permette che una donna entri sola in casa di un uomo ed allora Don Carlo, sotto consiglio di Caterina, assume una “strega”, la Giulia, una donna molto servizievole e gentile che lo introduce all’arte della magia. Difatti, i contadini di Lucania, ereditari di una millenaria credenza popolare e pagana, considerano la magia come unico mezzo per alleviare le pene a cui sono soggetti e controllare allo stesso modo gli eventi del mondo.

In questa casa pone il suo studio di pittore per la realizzazione di dipinti che raffigurino la natura dei luoghi e le facce della popolazione, cosa molto gradita ai bambini che spesso posano per lui. Gli stessi bambini chiedono a lui, letterato del Nord, di insegnare loro a scrivere, siccome il loro maestro nonché sindaco, Don Luigino, è troppo occupato a insegnare loro gli atteggiamenti fascisti che non ha tempo per istruirli a leggere e a scrivere.

Dopo un gradito ritorno a Torino e un altrettanto gradito ritorno al paese di Grassano, dove ritrova vecchi amici e si diverte con una rappresentazione di una compagnia teatrale, ritorna a Gagliano.

La notte di Natale, in occasione della Santa Messa, don Tajella è ubriaco, cosa non rara viste le sue abitudini, e questo provoca l’indignazione del sindaco che chiama a raccolta i suoi compagni fascisti iniziando a correre intorno alla chiesa cantando per soffocare la voce del prete che nel frattempo aveva architettato una specie di miracolo grazie al quale riesce a fare una splendida predica. Purtroppo per lui questa è la goccia che fa traboccare il vaso e le minacce di trasferimento che i gaglianesi spesso gli avevano rivolto si traducono in realtà: al suo posto viene chiamato l’arciprete Pietro Liguari.

Nonostante l’ottimo lavoro di Levi come medico la burocrazia non accetta che lui, confinato politico, eserciti una qualche azione comunitaria ed allora, dopo il ritorno di Don Luigino da un viaggio a Matera, Don Carlo riceve una lettera con una triste notizia: la questura di Matera, probabilmente istigata dai medici del paese, proibisce a Don Carlo di esercitare la professione di medico. Questo fatto scatena la rabbia dei contadini che sfocia in rivolta quando, presentandosi un caso grave, ed essendo richiesto il suo intervento, Levi è costretto a perdere un sacco di tempo prima che le autorità gli concedano il permesso di andare e ciò causa la morte del malato. Ci vuole tutta la buona volontà di Don Carlo per fermare i contadini che avevano iniziato ad interpretare la rivolta come una rinnovata guerra contro lo Stato, come lo era stata la guerra dei briganti. Per fortuna il tutto si conclude con una rappresentazione teatrale a base satirica che denuncia gli atteggiamenti dei signori di Gagliano, ma non fa di più.

L’esilio di Levi si conclude quando l’Italia esce vittoriosa dalla guerra d’Africa con la conquista dell’Abissinia: lo Stato concede a lui, come a molti altri confinati, la libertà e Levi lascia perciò, forse a malincuore, il paese di Gagliano e il territorio aspro e duro della Lucania. I contadini, molto amareggiati per la sua partenza, lo invitano a restare, consigliandogli di sposare Concetta, la più bella ragazza del paese, ma non riuscendo a convincerlo, si fanno promettere che sarebbe venuto a ritrovare loro, promessa poi non mantenuta.

ANALISI DEI PERSONAGGI PRINCIPALI

CARLO LEVI

E’ l’autore stesso, essendo il libro autobiografico.

Personaggio principale e narratore, egli è un medico e un pittore di Torino. Arriva in Lucania perché esiliato per ragioni politiche e subito si fa apprezzare dai contadini per le sue capacità mediche, ma più che altro i contadini vengono colpiti dalla sua umanità.

In quanto medico viene subito richiesto il suo intervento ma lui vorrebbe evitare di esercitare la professione di medico, perché non era il suo mestiere, ma poi si fa convincere perché “Le donne mi pregavano, mi benedivano, mi baciavano le mani. Una speranza, una fiducia assoluta era in loro”. La questura di Matera gli negherà la possibilità di fare qualcosa per i malati di Gagliano, ma lui continuerà a lavorare di nascosto.

Il suo unico vero amico è il cane Barone, assieme al quale compie lunghe passeggiate nei luoghi intorno a Gagliano. Ama molto anche stare in compagnia dei bambini, dipingendoli e insegnando loro a leggere e a scrivere. Pensa spesso al paese, Grassano, dove era stato per poco tempo esiliato prima di venire a Gagliano, ma poi, una volta conosciutolo meglio, inizia ad amare anche il paese dove dimorerà fino alla fine del suo esilio, fine che arriverà grazie alla vittoria italiana in Abissinia e la conseguente liberazione di molti confinati.

Il fatto che è esiliato lo fa sembrare fuori dal suo tempo e in un certo modo sempre contemporaneo. Inoltre riesce a guardare e ad analizzare le persone e il mondo intorno a lui in modo distaccato e realistico. E’ per questo che riesce a cogliere gli aspetti fondamentali della mentalità e della civiltà contadina.

ANALISI DEI PERSONAGGI SECONDARI

Barone: è il cane di Don Carlo, regalo degli abitanti di Grassano al momento della sua partenza. Viene descritto molto bello, di color bianco e molto intelligente. In un passo viene anche detto che nel momento in cui scrive l’autore egli è morto. E’ l’unico vero amico di Levi ma anche compagno di gioco dei bambini, che iniziano a frequentare la casa di Don Carlo proprio per il fatto di giocare con lui.

Giulia Venere, detta Giulia la Santarcangelese: è la donna che cura la casa di Don Carlo. Nata a Santarcangelo, di anni quarantuno, aveva avuto diciassette gravidanze da quindici padri diversi. Il marito era partito per l’America con il suo primo figlio senza dar più notizie alla moglie, aveva poi avuto due gemelli dal prete, cosa che nel paese non veniva interpretata come offesa al sacerdozio. Molti figli erano morti da piccoli, con lei viveva solo uno, Nino, di sue anni, che portava sempre con sé sotto lo scialle. Viene descritta “alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Doveva aver avuto, nella sua gioventù, una specie di barbara e solenne bellezza. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria. […] Sul grande corpo imponente, diritto, spirante una forza animalesca, si ergeva, coperta dal velo, una testa piccola, dall’ovale allungato. La fronte era alta e diritta, mezza coperta da una ciocca di capelli nerissimi e unti; gli occhi a mandorla, neri e opachi, avevano il bianco venato di azzurro e di bruno, come quello dei cani. Il naso era lungo e sottile, un po’ arcuato; la bocca larga, dalle labbra sottili e pallide, con una piega amara, si apriva per un riso cattivo a mostrare due file di denti bianchissimi, potenti come quelli di un lupo.

Accetta di venire a lavorare nella casa di Don Carlo, nella quale aveva già lavorato per il vecchio prete, perché lei è esente dalla regola comune che vieta a una donna di entrare in casa di un uomo se non accompagnata. Infatti lei è una strega e di streghe nel paese ce ne sono una ventina e Levi le definisce donne “che avessero avuto molti figli di padre incerto, che senza poter essere chiamate prostitute, facessero tuttavia mostra di una certa libertà di costumi, e si dedicassero insieme alle cose dell’amore e alle pratiche magiche per procacciarlo“. Alla fine il suo amante, il barbiere, la costringe, perché geloso, a non venire più a lavorare da Don Carlo.

Don Luigino Magalone: è il podestà di Gagliano, “giovanotto alto, grosso e grasso, con un ciuffo di capelli neri e unti che gli piovono in disordine sulla fronte, un viso giallo e imberbe da luna piena, e degli occhietti neri e maligni.” E’ il maestro delle scuole elementari, oltre che sindaco, ma il suo compito principale è quello di sorvegliare i confinati del paese. Prova rispetto e ammirazione verso Don Carlo, come si capisce quando gli dice che lui, a differenza degli altri confinati, è un signore e con lui vuole essere gentile, essendo Levi un letterato come lo è lui. Consiglia a Don Carlo di esercitare la professione di medico perché suo zio, Milillo, pure lui dottore, viene ritenuto dal nipote troppo vecchio per continuare a lavorare. Levi ci dice che è il più fascista dei sindaci della provincia di Matera e in quanto tale, preferisce insegnare ai suoi allievi gli atteggiamenti fascisti piuttosto che insegnare loro a leggere e a scrivere.

Dottor Milillo: dottore e zio di Don Luigino. Ha circa una settantina di anni, “le guance cascanti e gli occhi lagrimosi e bonari di un vecchio cane da caccia. E’ imbarazzato e lento nei movimenti, più per natura che per età. Le mani gli tremano, le parole gli escono balbettanti, tra un labbro superiore enormemente lungo, e uno inferiore cadente. La prima impressione è di un buon uomo, completamente rimbecillito“. Non è molto felice dell’arrivo di Levi, ma lui lo rassicura dicendo che non ha intenzione di fare il medico, cosa che rende il dottore felice. Tenta di esprimere la sua cultura ma Levi dice che “attraverso il suo balbettio capisco una cosa sola: egli di medicina non sa più nulla., se pure ne ha mai saputo qualcosa“. Ha studiato all’università di Napoli, ma i ricordi delle cose studiate sono spariti. I contadini ormai non si rivolgono più a lui per le visite, preferendo le cure con la magia.

Dottor Gibilisco: è l’altro dottore del paese. “È’ un uomo anziano, grosso, panciuto, impettito, con una barba grigia a punta e dei baffi che piovono su una bocca larghissima, piena zeppa di denti gialli e irregolari. […] Porta gli occhiali, una specie di cilindro nero in capo, una redingote nera spelacchiata, e dei vecchi pantaloni neri lisi e consumati. Brandisce un grosso ombrello nero di cotone, quell’ombrello che gli vedrò poi portare sempre aperto, con sussiego, in modo perfettamente verticale, estate e inverno, con la pioggia o col sole, come il sacro baldacchino sul tabernacolo della propria autorità.” E’ indispettito, come il dottor Milillo, dal fatto che i contadini non si rivolgano più a lui per le visite, oppure che non vogliano pagare. Anche lui ci tiene a mostrare la sua conoscenza ma “la sua ignoranza è molto peggiore di quella del vecchio. Egli non sa assolutamente nulla e parla a caso.” Egli ritiene che i contadini esistano solamente perché lui li visiti, ma curarli con una o un’altra medicina è per lui indifferente. Una volta aveva una farmacia, che poi è stata chiusa e le restanti medicine vengono vendute, allungate con sabbia o altre polveri, dalle nipoti del dottore.

Donna Caterina Magalone Cuscianna: è la sorella di Don Luigino, che la fa conoscere a Levi. “Di viso assomigliava al fratello, ma con un aspetto più volontario e appassionato. Gli occhi aveva nerissimi, come i capelli; la pelle lucida e giallastra e i denti guasti le davano un aspetto malsano“. Suo marito era partito volontario per la guerra d’Africa. Aveva un aspetto autoritario e in paese circolava voce che lei fosse la vera detentrice del potere, non il fratello e questa autorità si percepisce già della voce (“Parlava con una voce alta, stridula, sempre tesa ed esagerata“). Si occupa lei di cercare una casa a Don Carlo e di procurargli un’aiutante: la Giulia. Provava inoltre un odio esagerato verso la famiglia del dottor Gibilisco e le donne che tengono la sua farmacia. E’ anche un’ottima cuoca di dolci e marmellate, come ha modo di provare Levi quando la va a visitare a casa sua.

Don Tajella: è il prete del paese, odiato da tutti, come si può ben notare nella sua prima apparizione: “Vedo arrivare zoppicante l’Arciprete, […] nessuno lo saluta.” viene descritto come “un vecchio piccolo e magro, con degli occhiali di ferro a stanghetta su un naso affilato, all’ombra del pendaglio rosso che scendeva dal cappello, e dietro agli occhiali degli occhietti pungenti, che passavano rapidamente da una fissità ossessionata a un brillare brusco di arguzia. La bocca sottile gli cascava in una piega di abituale amarezza“. La sua abitudine al bere, che rende il suo sacerdozio inviso a tutti, unita alla poca Fede presente negli abitanti di Gagliano, fa si che la chiesa durante le messe domenicali sia sempre pressoché vuota, ad eccezione della messa il giorno di Natale, fatale a Don Tajella che, presentatosi ubriaco per la predica, provocherà la sua cacciata da Gagliano.

I contadini: vengono descritti con caratteri simili: “piccoli, neri,, con le teste rotonde, i grandi occhi e le labbra sottili, nel loro aspetto arcaico essi non avevano nulla dei romani, né dei greci, né degli etruschi, né dei normanni, né degli altri popoli conquistatori passati sulla loro terra, ma mi ricordavano le figure italiche antichissime. Pensavo che la loro vita, nelle identiche forme di oggi, si svolgeva uguale nei tempi più remoti, e che tutta la storia era passata su di loro senza toccarli. Delle due Italie che vivono insieme sulla stessa terra, questa dei contadini è certamente più antica, che non si sa donde sia venuta, che forse c’è sempre stata.” Le loro credenze, come i monachicchi e gli spiriti, colpiscono Levi, che le riporta però con una sottile ironia. I contadini ritengono che ogni cosa che viva derivi da Dio: “tutto è realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra“. Il loro è un mondo di sofferenza e, colpiti da ogni parte e da ogni cosa, ripongono le loro speranze nella magia, unico strumento utilizzabile per alleviare i dolori.

Don Pietro Liguari: è il sostituto di Don Tajella. Prende alloggio nella vecchia casa del prete e subito il giorno dopo il suo arrivo invita Don Carlo a casa sua. “Era un uomo di una cinquantina d’anni, di media statura, grosso e piuttosto grasso, di un grasso pallido e giallastro. Gli occhi erano neri, spagnoli, pieni di astuzia. Aveva un viso grande e complesso, con un naso un po’ arcuato, labbra sottili, capelli neri. […] L’Arciprete aveva un viso tipico, il più italiano possibile in quegli anni.

Altri personaggi sono Concetta, la bella del paese, Don Cosimino, impiegato delle poste, Maria, la sostituta di Giulia come donna di servizio per Don Carlo, il Sanaporcelle, gli abitanti di Grassano come il tenente della milizia Decunto, il ciclista Carmelo Coiro, il locandiere Prisco e suo figlio, il Capitano.

CRITICA LETTERARIA

Quello di Carlo Levi è un viaggio reale, perché nei suoi testi il protagonista approda veramente, con vari mezzi di trasporto, in terre a lui sconosciute, dall’Italia insulare e meridionale alla Germania all’Unione Sovietica; in Cristo si è fermato a Eboli il suo occhio indaga, curioso di capire le trasformazioni, i miti, l’immobilismo di una realtà sociale, una nera civiltà che, ai margini della Storia, immersa in un tempo immobile, non riesce a sottrarsi al dolore ed all’inconciliabilità di due mondi opposti, quello dei contadini ” in cui confluirebbero le categorie produttive ” e quello degli sfruttatori, dei parassiti, degli esattori, dei burocrati, ovvero dei “luigini”, dal nome del podestà di Gagliano, Luigi Magalone, maestro alle scuole elementari e sorvegliante dei confinati nel paese, il più giovane e il più fascista fra i podestà della provincia di Matera.

Lydia Pavan

Carlo Levi, personalmente condizionato, nel periodo del confino, dal contatto quotidiano con l’ambiente contadino, ama ritrarre la natura e la campagna, affascinato dall’esempio di molti espressionisti tra cui Emil Nolde e Franz Marc, il quale, prima di morire al fronte nel 1916, ha espresso il fascino del mondo primitivo e, sullo sfondo di paesaggi cromaticamente dinamici, ha dipinto quegli animali, tra cui i caprioli rossi, che nell’opera di Carlo Levi, convivono con gli esseri umani, partecipi della divinità: “tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra”.

Peppino Bevilacqua

COMMENTO PERSONALE

Il libro non è molto bello, a causa della monotonia dei fatti e della mancanza di una vera e propria storia. Infatti il libro si presenta come una successione di ricordi dell’autore, ma sono ricordi privi di sentimento, descritti in modo dettagliato ma molto oggettivo, anche se non stancante. Le parti migliori sono le descrizioni, forse perché l’autore, in quanto pittore, riesce a renderle meglio.

BIBLIOGRAFIA

Per la vita dell’autore:

– sito internet: http://mysite.ciaoweb.it/letteratura

Per il contesto storico:

– Atlante storico Garzanti, 1994

– Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi, ed. Einaudi, 1975

Per il contesto politico – culturale:

– Enciclopedia della letteratura Garzanti, 1997

– Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi, ed. Einaudi, 1975

Per il riassunto e l’analisi dei personaggi:

– Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi, ed. Einaudi, 1975

– Dizionario della letteratura universale, Federico Motta Editore, Milano 1979

Per la posizione critica:

– sito internet: http://mysite.ciaoweb.it/letteratura

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