CORRENTI FILOSOFICHE E SCIENTIFICHE SUL FINIRE DEL MEDIOEVO

CORRENTI FILOSOFICHE E SCIENTIFICHE SUL FINIRE DEL MEDIOEVO

Nonostante già si conoscessero alcune opere di Aristotele, l’intero corpo dei suoi lavori, che rende ben conto della complessità, globalità e sistematicità del suo pensiero, viene conosciuto nel corso del XII secolo. E’ il primo sistema che abbraccia nel suo complesso tutte le branche del pensiero e della conoscenza. Il fascino che l’aristotelismo iniziò ad esercitare fu enorme. Anche tra i cristiani (particolarmente quando gli Scolastici conobbero la Metafisica di Aristotele) sorse un forte moto di ammirazione: il sistema aristotelico poteva rappresentare il complemento filosofico, ciò che la Chiesa aveva sempre cercato, al Cristianesimo stesso, un corpo di dottrine che avrebbe finalmente culturalmente nobilitato il Cristianesimo (che, fino ad allora, si era affidato, oltre alla povera ed “incolta” Bibbia, alle pie ma parziali visioni di Platone e dei neoplatonici).Sfortunatamente in Aristotele, più che in Platone, mancava l’idea di Dio. Questo fu il motivo per cui l’aristotelismo ebbe alterne vicende durante il 1200. Intanto già nel 1169, il Concilio di Tours aveva vietato ai monaci di leggere i pericolosi testi di fisica. Tra il 1210 ed il 1215, il Concilio provinciale di Parigi vietò l’insegnamento delle dottrine aristoteliche, condannate in blocco (i più accaniti contro l’aristotelismo furono i francescani). Quindi altre condanne: il Concilio lateranense del 1215 (con Innocenzo III) e con la riaffermazione di Onorio III e di Gregorio IX (1231), infine, qualche anno dopo, di Urbano IV. Ancora tra il 1270 ed il 1277 sia il vescovo di Parigi Étienne Tempier ( ? – 1279) che quello di Canterbury condannarono ben 219 proposizioni tratte dall’opera di Aristotele e dagli aristotelici, il più importante dei quali era Averroè. Per comprendere cosa si discuteva, riporto alcune delle proposizioni riconducibili ad Aristotele, sostenute soprattutto da averroisiti come Sigieri di Brabante (1235-1282), Boezio di Dacia (1245-1285) ed altri, condannate da Tempier

Che la causa prima non può produrre una pluralità di mondi.

35. Che senza l’agente proprio, cioè senza un uomo – il padre -, un uomo non potrebbe essere fatto da dio.

49. Che dio non può muovere il cielo con un movimento rettilineo, in quanto rimarrebbe un vuoto.


Che un accidente esistente senza soggetto non è accidente, se non in senso equivoco; e che è impossibile che una quantità o una dimensione esista per sé, in quanto sarebbe essa stessa una sostanza.

141. Che dio non può far sì che un accidente esista senza soggetto, né che più dimensioni esistano simultaneamente.

147. Che quanto è assolutamente impossibile non può essere prodotto da dio o da un altro agente. Si ha errore se ci si riferisce all’impossibile secondo natura.

Che chi genera il mondo nella sua totalità, pone il vuoto, in quanto il luogo precede necessariamente ciò che nel luogo viene generato; che quindi prima della generazione del mondo sarebbe esistito un luogo senza corpo collocato, che è il vuoto.

(Chartularium Universitatis Parisiensis, pp. 543-58)

Il contrasto tra aristotelismo e Cristianesimo (insignificanza del posto di Dio, eternità del mondo con conseguente negazione della Creazione, inesistenza del libero arbitrio in un mondo dominato dal movimento delle sfere celesti, la non immortalità dell’anima, il rigido determinismo, …) fu appianato da Tommaso, come vedremo oltre, un frate dell’ordine dei domenicani che si definivano i cani da guardia dell’ortodossia.    Intanto nel 1233 Gregorio IX aveva fondato il Tribunale della Inquisizione che (1235) venne affidato come privilegio ai Domenicani e poi esteso ai Francescani [si iniziò subito con la pratica della tortura che fu ufficialmente autorizzata e riconfermata da successivi Papi: Innocenzo IV (1252), Alessandro IV (1259), Clemente IV (1265)].

Il contrasto tra aristotelismo e Cristianesimo (insignificanza del posto di Dio, eternità del mondo con conseguente negazione della Creazione, inesistenza di libero arbitrio in un mondo determinato dal movimento delle sfere celesti, …) fu appianato da San Tommaso che semplicemente corresse Aristotele dove questi risultava in contrasto con le dottrine della Chiesa (l’interpretazione averroistica di Aristotele – negazione dell’anima individuale – continuava ad essere in forte contrasto con la Chiesa). Solo quattro anni dopo la morte di Tommaso, nel 1278, i domenicani assunsero ufficialmente la dottrina di Tommaso che piano piano divenne la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa (la cosa fu ratificata da Papa Pio V che, nel 1567, in piena Controriforma, nominò Tommaso Dottore della Chiesa). Fu così che Aristotele iniziò ad essere considerato addirittura un precursore di Cristo nelle cose naturali e quindi ad essere considerato una indiscutibile autorità nelle questioni filosofiche, scientifiche e teologiche (soprattutto per merito degli insegnamenti nelle varie Università di domenicani e francescani). Ma, fatto di maggior importanza, Tommaso è convinto che non vi sia nessuna contraddizione tra scienza e fede di modo che incita a studiare la scienza perché ciò serve a consolidare la formazione religiosa e a sradicare errori e superstizioni. La scienza a cui si fa riferimento è una scienza empirica poiché il modo che noi abbiamo di conoscere è fondamentalmente legato ai nostri sensi, all’esperienza che loro fanno durante la nostra vita.
Nonostante questa apertura, la scienza non decollava per svariati motivi. In primo luogo San Tommaso e gli altri pensatori come Alberto Magno erano lontanissimi dal livello culturale della quasi totalità della gente; in secondo luogo l’insegnamento medioevale era centrato quasi esclusivamente sullo studio dei classici, ispirando rispetto per la loro autorità; in terzo luogo l’illimitata venerazione di cui godeva Aristotele non permetteva passi in avanti sostanziali; infine, e questo è un aspetto molto importante, da una parte non si disponeva di una adeguata conoscenza della matematica (che si avrà solo nel Cinquecento) e dall’altro nessuno pensava ad intersecare processi di misura con la conoscenza della natura (non è la quantità che ci permette di conoscere l’Essenza delle cose). 

ALCUNI FATICOSI E FONDAMENTALI AVANZAMENTI

Mentre si disquisiva di queste cose, che se si confrontano con i livelli delle problematiche raggiunti con Archimede, Euclide, Apollonio, … mettono in imbarazzo, altri lavoravano per ricomporre un quadro di razionalità soprattutto nella matematica che era andata perduta, anche nelle sue operazioni più elementari.

La matematica, avevamo notato anche commentando gli stupendi successi alessandrini, soffriva di un problema di fondo, il non agile simbolismo. La questione del simbolismo era rimasta la stessa a Roma. A questo problema ne va aggiunto un altro che, a posteriori, capiamo molto bene: la mancanza dello zero in una chiara numerazione di posizione ed in una non scelta di base di numerazione. Tutto ciò aveva in qualche modo fermato lo sviluppo della matematica alla geometria che, comunque, non poteva avanzare ed essere sistemata senza proprio quel simbolismo. Cosa accade in questi anni di risolutivo e di interesse ?

Seguiamo un percorso che si snoda da lontano per intersecarsi con l’Europa in questi anni. Quando Giustiniano fece chiudere le scuole non cristiane, molti studiosi, come abbiamo accennato, si diressero verso Oriente. E che in Oriente vi fossero scuole avanzate di matematica ci è testimoniato dal vescovo cristiano e siriano Severo Sebokt che nel 662 ci informa che non soltanto i greci potevano vantare conoscenze scientifiche, ma anche altri popoli (con riferimento all’India) possono vantare dei calcoli fatti con 9 simboli. Ritrovamenti archeologici ci dicono che questo modo di scrittura matematica con 9 simboli è risalente almeno al 595. Si tratta di un sistema posizionale e decimale in cui ancora non figura lo zero. Ancora un ritrovamento archeologico ci dice che certamente lo zero si conosceva in India nell’anno 876 ma non si sa se il simbolo (un segno a forma di uovo) era connesso alle altre nove cifre. Altre ricostruzioni (ad esempio: Van der Waerden) parlano ancora di quella migrazione di scienziati greci verso Oriente. Da Alessandria, dove sarebbe nato, lo zero fu trasferito in India. In ogni caso un chiaro ragguaglio sull’uso dello zero nella letteratura scientifica indiana è contenuto nel Compendio di calcolo del matematico indiano Srīdhara (991 – ?). Ma debbono passare molti decenni prima che una qualche eco di ciò giunga in Spagna per vie arabe. Le prime notizie in Europa di una numerazione indù le troviamo nel Codex Virgilianus(976), scritto nella parte cristiana della Spagna. Ancora molti decenni dopo, intorno alla metà del XII secolo, compare un trattato Prologus N. Ocreati in Helceph ad Adelhardum Batensem, magistrum suum di un certo Ocreatus, un matematico o inglese o francese probabilmente allievo di Adelardo di Bath, in cui si trova l’uso dello zero combinato con quello dei numerali romani. Questa traduzione fu una delle principali fonti di Leonardo Fibonacci, e quindi della matematica europea.

Piano piano si elaborarono simbolismi e si introdussero metodi di calcolo soprattutto attraverso l’opera degli arabi di Spagna che introdussero quel formidabile strumento che è l’algebra. Nel 1145 l’ Al-jabr wa’l muqābalak cioè l’Algebra che al-Khwārizmī (c. 780 – c. 850) scrisse a Baghdad intorno all’830 (insieme ad una Aritmetica in cui compaiono diffusamente spiegate ed utilizzate le notazioni numeriche indiane, cioè: base decimale; notazione posizionale; un simbolo diverso per ciascuna delle dieci cifre – vedi figura) è tradotta in latino da Roberto di Chester (XII secolo) e Gherardo da Cremona con il titolo Liber algebrae et almucabola.

Si andava quindi avanti nello sviluppo della matematica con un impulso fondamentale dato dai commerci (aritmetica) e dalla navigazione (trigonometria).

Tutti gli autori concordano nel ritenere che, a partire da un certo momento storico (tra il Quattrocento ed il Cinquecento), i portati della tecnica nei campi della meccanica e dell’architettura civile e militare fecero riconoscere nella matematica uno strumento indispensabile. Particolarmente in Italia, dove meccanica, architettura ed arte in genere avevano uno sviluppo clamoroso, si ponevano problemi di misurazioni sempre più accurate di lunghezze, angoli, aree. Occorreva calcolare i volumi, fare degli studi prospettici, di simmetrie. Si passò così dalle cose realizzate per mera intuizione alle cose progettate razionalmente con l’uso di proporzioni, simmetrie ed armonie. Fu nel Quattrocento, in Italia, che si iniziò la pubblicazione di svariate opere che facevano largo uso della matematica: opere di Brunelleschi, di Leon Battista Alberti, di Piero della Francesca (che ci fornì la ‘divina proporzione‘, la sezione aurea), di Giorgio Martini, di Luca Pacioli. Come si vede si tratta (a parte Pacioli) di architetti ed artisti di varia natura che per la prima volta ci offrono opere che nascono ampiamente studiate e progettate con l’ausilio della matematica. E’ chiaro che la ricerca era delle migliori proporzioni, dell’armonia; è quindi evidente che sullo sfondo campeggia l’immaginerei Platonismo, sia nella sua veste pitagorica che in quella eudossiana. Elemento di grande importanza è che svariati autori iniziano a pubblicare trattati di matematica scritti in modo divulgativo, molto chiaro, accessibile a molti.
La matematica comincia anche ad entrare come insegnamento impartito nelle Università, anche se non allo stesso rango di logica o dialettica (si pensi che come ‘matematico’ Galileo guadagnava dalle cinque alle dieci volte meno dei suoi colleghi filosofi che insegnavano nella stessa Università). Gli studenti cominciano a diventare curiosi ed esigenti. Prima ci si accontentava dell’esposizione degli Elementi di Euclide, ora si volevano conoscere tutte le applicazioni pratiche della matematica, si volevano apprendere cose che poi, appena terminati gli studi, sarebbero state di immediata utilità. La domanda era così grande che addirittura sorse la professione di matematico pratico (il primo manuale di matematica pratica è l’Aritmetica di Treviso del 1478 in cui compare la prima chiara spiegazione della
moltiplicazione e divisione !).
E nel frattempo venivano pubblicate, in traduzione latina, opere di classici greci fino ad allora sconosciute. E’ stato necessario attendere la fine del Medioevo per poter disporre però di traduzioni in latino e della stampa di alcuni classici greci di carattere, in senso lato, scientifico prima poco o per nulla conosciuti. La cosa è comprensibile se si pensa che gli umanisti che fecero i grandi lavori di traduzione, da una parte avevano maggior interesse per opere di carattere letterario e filosofico e dall’altra non capivano molto di ciò che avevano davanti in testi scientifici. Sta di fatto che queste traduzioni e stampe diedero un grande impulso sia alla matematica che alla fisica. La prima edizione latina a stampa di Euclide vide la luce a Venezia nel 1482.

Nella prima metà del Cinquecento vennero pubblicate da Francesco Maurolico (1494-1575), monaco siciliano, traduzioni latine di Archimede, Apollonio e Diofanto e da Federico Commandino (intorno al 1560) traduzioni di Euclide, Apollonio, Pappo, Erone, Archimede ed Aristarco. Pian piano i seguaci di Archimede crebbero. Ed ecco Nicolò Tartaglia, Guidobaldo dal Monte, Giambattista Benedetti, Giambattista Della Porta, Gerolamo Cardano. Sono tutti grandi matematici che porteranno l’algebra, la geometria e l’aritmetica a risultati del tutto insospettabili solo qualche decennio prima e nel periodo più fulgido dei matematici greci. Si realizzò anche una svolta decisiva che vide l’algebra prendere il primato sulla geometria a seguito proprio dei suoi più recenti successi (Tartaglia ci terrà a sottolineare che le sue elaborazioni non sono tratte né da Platone né da Plotino). Ed ecco ancora Raffaele Bombelli (1526-1572), insieme all’intera scuola dei matematici bolognesi, che riesce ad affrancare la matematica dal suo uso pratico ed a farla marciare per sue linee di sviluppo totalmente indifferenti ad ogni applicazione pratica.

/ 5
Grazie per aver votato!