Conseguenze della Guerra di Successione Spagnola

Conseguenze della Guerra di Successione Spagnola


Il Trattato di Utrecht del 1713 poneva fine alla Guerra di Successione Spagnola: in base agli accordi il Regno di Napoli finiva sotto il controllo di Carlo VI del Sacro Romano Impero, insieme con la Sardegna; la Sicilia invece andava ai Savoia, con la condizione che, se estinta la discendenza maschile, l’isola e il titolo regale sarebbero tornati alla Spagna. Con la Pace di Rastadt un’anno dopo anche Luigi XIV di Francia riconobbe i domini asburgici in Italia.

Nel 1718 Filippo V di Spagna tentò di ristabilire il proprio dominio a Napoli e in Sicilia con il sostegno del suo primo ministro, il cardinale Giulio Alberoni: contro la Spagna intervennero però Inghilterra, Francia, Austria e Olanda che, nella cosiddetta Guerra della Quadriplice Allenza, sconfissero l’esercito di Filippo V nella battaglia di Capo Passero. La Pace dell’Aja che seguì nel 1720 decretò il riavvicinamento della Sicilia al regno di Napoli: pur mantenendosi come entità statale separata, passò insieme a Napoli sotto la Corona Austriaca; il Regno di Sardegna andava a risarcire i Savoia della perdita della Sicilia, e Carlo III di Borbone veniva designato erede al trono nel Ducato di Parma.

I Viceré

I primi viceré austriaci furono Georg Adam e Virico Daun, seguiti dall’amministrazione del cardinale Vincenzo Grimaldi che, favorevole ai circoli anticuriali napoletani, attuò la prima politica di risanamento finanziario, tentando di ridurre le spese di governo e al sequestro delle rendite dei feudatari meridionali che a seguito dell’occupazione austriaca erano contumaci.

I viceré che gli succedettero tra il 1710 e il 1719 (Carlo Borromeo Arese e il Daun al secondo mandato) trovarono un lieve bilancio positivo nelle entrate del regno, grazie anche al saldo delle spese che le operazioni militari avevano richiesto.

Nel 1728 il viceré Michele Federico Althann (1722-28) istituì il pubblico Banco di San Carlo, per finanziare l’imprenditoria privata di stampo mercantilistico, ricomprare le quote di debito pubblico e liquidare la manomorta ecclesiastica. Lo stesso viceré si guadagnò l’inimicizia dei gesuiti per aver tollerato la pubblicazione delle opere degli anticurialisti Giannone e Grimaldi.

Un nuovo tentativo di invasione però operato da Filippo V di Spagna, sebbene si concluse con la sconfitta di quest’ultimo, riportò il bilancio del regno nuovamente in deficit: il problema persistette per tutta la successiva età della dominazione austriaca; nel 1731 Aloys Thomas Raimund (1728-1733) promosse l’istituzione di una Giunta delle Università per controllare i bilanci dei piccoli centri delle provincie, assieme alla Giunta della Numerazione per il riordino delle amministrazioni finanziarie, istituita nel 1732.

I nuovi catasti furono però ostacolati dai proprietari terrieri e dal clero, che voleva scongiurare i propositi del governo di tassare i beni ecclesiastici. L’ultimo dei viceré austriaci, Giulio Visconti, vide l’invasione borbonica e la conseguente guerra, lasciando però ai nuovi sovrani una situazione finanziaria molto migliore rispetto a quella lasciata dai viceré spagnoli.

Società e cultura

L’Austria, costretta ad affrontare una situazione finanziaria disastrosa, segnò una profonda riforma nelle gerarchie politiche dello Stato napoletano e un discreto sviluppo dei principi illuministici e riformatori. Furono da allora reperibili a Napoli, oltre che i testi cartesiani, le opere di Spinoza, Giansenio, Pascal e le espressioni della cultura tornano in diretto contrasto con il clero cittadino, sulla strada dell’anticurialismo napoletano già aperta da giuristi famosi come Francesco d’Andrea, Giuseppe Valletta e Costantino Grimaldi.

Durante il vicereame austriaco, nel 1721, Pietro Giannone pubblicava il suo testo più celebre, la Storia civile del Regno di Napoli, che divenne celebre in tutta Europa (fu ammirato anche da Montesquieu), per come ripropone in termini moderni il machiavellismo e subordina il diritto canonico al diritto civile. Scomunicato dall’Arcivescovo di Napoli, Giannone trovò rifugio a Vienna, senza più poter tornare nell’Italia meridionale.

Tra Napoli e il Cilento, visse anche Giovan Battista Vico, che nel 1723 pubblicò i suoi Principi di una scienza nuova; e Giovanni Vincenzo Gravina, studioso di diritto canonico, che  fondò a Roma, con Cristina di Svezia, l’Accademia dell’Arcadia, riproponendo una lettura laica dei classici.

Allievo di Gravina fu Metastasio, che proprio a Napoli formò sul Tasso e sul Marino le innovazioni poetiche che diedero al melodramma italiano una fama internazionale.

/ 5
Grazie per aver votato!