COMMENTO LA NASCITA DI UN ESTETA

COMMENTO LA NASCITA DI UN ESTETA

Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d’eletta cultura, d’eleganza e di arte.

Nel brano la nascita di un esteta, D’Annunzio traccia i suoi ideali artistici nei confronti dell’attuale società italiana che è ormai, secondo l’artista, ha perso i valori estetici. D’Annunzio in realtà riflette la paura di un mondo decadente (la nobiltà e la borghesia) che ha rinunciato ai suoi grandi ideali risorgimentali e si è arroccato nei propri privilegi e non vuole che altre fasce della società partecipino alla vita attiva dell’Italia. Ma la storia è ormai in progresso e D’Annunzio e la società decadente che rappresenta se ne sono accorti, perciò non può far altro che trincerarsi nel suo “bel mondo”, ma così non farà altro che chiudere la porta alla storia.

Già nelle prime pagine del brano si può notare l’avversione del giovane D’Annunzio, che in realtà era la stessa avversione di una gran parte della società borghese europea, per la nuova società che si andava prepotentemente affermando: il proletariato. Il poeta, proprio perché vuole emergere dal mondo indistinto e anonimo della borghesia, si distacca da questo processo

storico, che ancora non comprende. Lo definisce grigio diluvio democratico che sommerge la bellezza dell’arte, perché con il suo procedere distrugge anche l’antica nobiltà italica che detiene ancora ciò che ha fatto grande il nostro paese.

Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo Vaccino per l a Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caracci, come quello Farnese; una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese; una villa, come quella d’Alessandro Albani, dove i bussi profondi, il granito rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni, le statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a un qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albo di confessioni mondane, accanto alla domanda « Che vorreste voi essere? » egli aveva scritto « Principe romano ».

Nel brano si scorge l’animo del giovane Andrea che è un esteta, tutto dedito al piacere e alla bellezza, infatti alla Roma che conquista e diventa grande con il sudore e il sangue (la Roma dei Cesari), preferisce la Città lenta e calma dei Papi: una Roma che gode delle vittorie altrui.

Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uom d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.» Anche, il padre ammoniva: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza. La regola dell’uomo d’intelletto, eccola:-­‐ Habere, non haberi.» Anche, diceva: «Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato. Bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni.» Ma queste massime volontarie, che per l’ambiguità loro potevano anche essere interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria, in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva era debolissima.

Andrea è figlio di questa nobiltà che sta lentamente scomparendo, di una nobiltà che ha smesso di produrre (così come denunziava Parini) e si è

trincerata nel gusto del bello. Possedere e non essere posseduto habere( non

haberi) era il motto del padre, motto che Andrea cercherà di fare suo, ma proprio per la debole volontà, nella sua vita verrà tutto capovolto. Cercherà di avere e di non essere posseduto da Elena, ma la passione lo travolge, vorrà possedere Maria, ma la donna lo abbandonerà. Anche la storia travolgerà l’esteta. Ecco perché D’Annunzio trasforma la sua arte e quindi se stesso da opera d’arte che si rifugia nel bello, a opera d’arte che affronta la storia e la trasporta entro il suo mondo. Solo il superuomo potrà realizzare appieno il motto latino habere non haberi. Ma ora che ci troviamo nella fase estetica, il suo eroe è destinato a perdere a essere posseduto dallesue passioni e travolto dalla storia.