CIVITAVECCHIA FOTO DI GUERRA
CIVITAVECCHIA FOTO DI GUERRA
il 14 maggio 1943, non fu l’unico bombardamento alleato su Civitavecchia, a 80 chilometri da Roma, ma fu certamente il più devastante, perché praticamente rase al suolo l’intera città, che era un porto strategicamente importante.
Era un venerdì, e l’estate era iniziata anzitempo. A quell’ora, le 15,15, l’ora del riposo pomeridiano, tutto era tranquillo e nulla faceva presagire una tragedia di quelle proporzioni. Improvvisamente, come provenienti dalla vicina Santa Marinella, otto chilometri in direzione Roma, fecero la loro comparsa volando bassi sul mare decine e decine (erano 48) di micidiali bombardieri B-17 americani, le temute “fortezze volanti” che, in otto ondate successive, devastarono la cittadina costiera. Le fortezze americane provenivano in realtà dalla Tunisia, sotto il comando della Naaf, Northwes African Air Forces, che contemporaneamente bombardò anche Olbia, Sassari, Alghero, Porto Torres ed Abbasanta, quest’ultima nell’interno sardo. In questo modo le comunicazioni con l’isola erano completamente interrotte, con i porti colpiti, ma per maggior sicurezza anche le navi vennero affondate alla fonda.
Gli alleati colpirono la costa nord di Roma per preparare un eventuale sbarco, visto che ancora non era stato deciso dove sarebbe dovuto avvenire. Sin dalla mattina a Civitavecchia erano arrivate truppe italiane che avrebbero dovuto imbarcarsi per la Sardegna, dove si temeva uno sbarco alleato. Gli autocarri e i mezzi militari – ma non solo – che stavano transitando sul lungomare vennero mitragliati dai caccia che scortavano i B-17, e subito dopo vennero lanciate centinaia di bombe ad alto potenziale esplosivo.
Testimoni hanno raccontato che dai monti sopra Civitavecchia si vedevano soltanto bagliori fortissimi, subito seguiti da boati terribili. Dopo alcuni minuti immense colonne di fumo si levarono dalla città devastata. In tutto l’incursione durò una ventina di minuti e a quanto pare la contraerea non sparò neanche un colpo. Moltissimi rimasero per sempre sotto le macerie, nei rifugi e nelle navi affondate, per cui il numero esatto dei morti non è stato mai accertato. Si dice che siano stati circa 500, ma si tratta solo di civitavecchiesi di cui si poté constatare la scomparsa. Ma in quel momento nel porto laziale c’erano militari, persone venute da fuori, chi si imbarcava, che era arrivato, chi era là per chissà quale motivo. Civitavecchia subì in tutto 86 bombardamenti, ma nessuno come quello del 14 maggio. Poiché si temevano altre incursioni, 20mila dei 23mila abitanti della città fuggirono sulle vicine montagne, nei centri di Allumiere, Tolfa, Canale Monterano o anche nel Viterbese che era collegato con la ferrovia. Alcune fonti parlano di oltre mille morti, poiché gli americani non bombardarono solo il porto, come avrebbe dovuto essere e gli obiettivi militari, ma bombardarono anche il centro cittadino, gli obiettivi civili, e non certo per errore, perché chiunque osservi una cartina della città vedrà che il porto è un obiettivo aereo facile da centrare.
Era la strategia del terrore attuata dagli alleati che poi venne utilizzata in tutta Italia, come è noto e come confermano i bombardamenti di qualche settimana dopo su Roma. Nel mesi successivo ci furono altre decine di bombardamenti su una Civitavecchia pressoché deserta e con un porto del tutto inutilizzabile. La città fu distrutta all’80 per cento, e prima della successiva ritirata i tedeschi ne minarono altre parti, come alcune banchine del porto e Forte Michelangelo. Quando la gente iniziò a ritornare, visse nelle caserme rimaste in piedi, senz’acqua e senza cibo, in condizioni igieniche tali che epidemie di tifo e scabbia colpirono migliaia di persone. A un certo momento, dopo lo sbarco di Anzio, il porto tornò a vivere, perché la Quinta Armata decise di rifornirsi a Civitavecchia, cosa che migliorò sensibilmente le condizioni della popolazione, grazie soprattutto alle derrate alimentari in scatola degli americani. La situazione tornò alla normalità dopo cinque anni, il comune ritornò a Civitavecchia da Santa Marinella dove si era trasferito, e gli stanziamenti del Genio civile aiutarono la ricostruzione.