civiltà etrusca riassunto

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Marino Martignon – Modulo 7 – Gli Etruschi, una civiltà italica preromana


Introduzione

Perché studiare gli Etruschi ?

In primo luogo per recuperare l’attenzione ad una civiltà che solitamente viene trascurata nella programmazione didattica, eppure lo studio degli Etruschi è fondamentale per comprendere la vita delle popolazioni italiche prima del dominio di Roma. Roma stessa deve molto agli Etruschi, come vedremo.

Un secondo motivo è legato all’occasione che un tale studio ci offre per conoscere meglio alcune civiltà che si affacciavano sul Mediterraneo e che si svilupparono tra i secoli X e V a.C., prima del domino assoluto di Roma.

  1. Storia della civiltà Etrusca

1.1 Origine e periodo villanoviano (X-VIII sec. a.C. )

Fino a qualche anno fa si riteneva che gli etruschi provenissero da una popolazione orientale, solo casualmente alcuni rappresentanti di quella popolazione, navigando il Tirreno, sarebbero approdati sulle coste dell’attuale Toscana dando così origine alla civiltà etrusca. Oggi sappiamo che l’origine della civiltà

etrusca è di carattere autoctono1.

Agli inizi dell’età del Ferro nella penisola italiana si verificò una diversificazione delle “culture” (rispetto alla precedente uniformità); nell’Italia centrale, in un territorio comprendente l’attuale Toscana e parte del Lazio2, si sviluppò la cultura villanoviana3 dalla quale avrà origine la civiltà etrusca.

Un aspetto che caratterizzò la cultura villanoviana, fenomeno di cui abbiamo dei riscontri già verso la fine dell’età del bronzo, è l’aumento della concentrazione della popolazione nei centri abitati; tale fenomeno si accentua all’inizio dell’età del Ferro tanto che la popolazione nei maggiori centri arriva, in questo periodo, anche a migliaia di individui. Gli abitati più numerosi sono collocati al centro di territori molto vasti nei quali troviamo distribuiti distinti nuclei abitati, più piccoli. All’interno delle aree controllate da ciascun grosso centro gli abitati più piccoli sono posti talvolta nelle zone di confine, probabilmente con funzione di controllo del territorio. Nelle aree controllate dai grossi centri sono presenti risorse di natura diversa: colture, pascoli, aree metallifere; spesso il centro egemone sorge nei pressi di importanti assi viari, fluviali, od in prossimità di approdi costieri.

1.2 La fase orientalizzante (VIII-VII sec. a.C.)

I primi contatti con le colonie greche

Nell’VIII secolo a.C. la colonizzazione delle coste meridionali da parte dei Greci esercitò una forte influenza sulla popolazione etrusca, questa entrava per la prima volta in contatto con una civiltà molto più progredita. L’incontro accelerò e condizionò, in particolare nelle zone costiere dell’Etruria Meridionale, il processo di sviluppo sociale, culturale ed economico. Dai Greci gli Etruschi appresero conoscenze tecniche di grande importanza nel settore agricolo e per l’artigianato. Durante questa fase di sviluppo la società si struttura principalmente attorno a due ceti:

  • il ceto degli aristocratici (che detengono il controllo delle terre)
  • il ceto dei subordinati, legato da varie forme di dipendenza ai primi

Il controllo sul mar Tirreno e lo sviluppo del commercio

In questo periodo l’Etruria raggiunse un controllo completo militare sul mare Tirreno (“Thalassocrazia”), e ciò le consentì una notevole espansione commerciale, basata soprattutto sull’esportazione.

Verso una progressiva urbanizzazione

Nella prima metà del VII secolo a.C., sotto la spinta del “modello” greco, le città dell’Etruria, in particolare nella parte meridionale si evolvono rapidamente verso una maggiore urbanizzazione. Dalla progressiva unione dei diversi villaggi nascono le città. In questa fase si affermano per potenza e ricchezza città come Caere, Veii, Tarquinia, Vulci, Vetulonia, sfruttando anche la favorevole posizione di vicinanza al mare.

  • Con il termine autoctono si intende l’essere originari del paese in cui si vive.

 

  • Tracce della cultura villanoviana si trovano anche in Emilia, in Romagna, nelle Marche e in Campania.

 

  • Il nome “villanoviana”, con cui si distingue tale cultura, deriva dal luogo in cui ne furono trovate testimonianze, a metà dell’Ottocento, la località è Villanova di Castenaso vicino a Bologna.

 

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Le città etrusche meridionali si espandono in Campania, fondando in questa regione delle vere e proprie colonie (tra queste Capua), in concorrenza con i greci che già da diversi anni avevano delle colonie in Campania.

1.3 Il massimo splendore (VI secolo a.C.)

Nascita di un ceto intermedio e aumento delle ricchezze

Nel VI secolo a.C. si manifestarono al massimo grado gli effetti del precedente sviluppo economico e progresso sociale. Si forma un ceto intermedio tra quelli visti precedentemente, questo ceto si dedica ai commerci e all’artigianato, e da queste attività ricava una discreta ricchezza.

Continua lo sviluppo delle città verso la struttura di “metropoli”, potenziate di mezzi e arricchite di monumenti e opere d’arte (ispirate queste ultime alla cultura “ionica”, diffusa dalle regioni greche dell’Asia Minore).

Inizio delle ostilità tra le diverse città etrusche ed espansione territoriale

In questo periodo si accentua anche il contrasto tra le stesse città etrusche, l’aumentata potenza e il conseguente moto espansivo conducono spesso allo scontro tra di loro. E’ da dire che nei diversi periodi i rapporti di collaborazione tra le diverse città etrusche furono in ogni caso più apparenti che sostanziali, e anche questo fattore contribuirà alla fase di decadenza, come vedremo.

Il notevole sviluppo spinse gli etruschi all’espansione territoriale, alla ricerca di nuove terre da coltivare e di nuovi mercati per ampliare i propri scambi, per mantenere la supremazia sul mar Tirreno si allearono con i Cartaginesi, contro i Greci, riuscendo a sconfiggerli.

1.4 Crisi e decadenza (V-II sec. a.C.)

Nel corso del V secolo la società etrusca entra in crisi. I motivi della crisi sono di varia natura, alcuni vengono da molto lontano, altri sono interni alle stesse città etrusche vediamo i principali:

  1. Drastica riduzione degli scambi commerciali con i Greci

Nel V secolo a.C. i Persiani conquistano la Ionia e questo provocò una forte contrazione dei commerci e la fine degli scambi tra Etruria e mondo greco. Le città etrusche più colpite da questa situazione sono quelle marittime dell’Etruria meridionale (tra queste Caere).

  1. Perdita dei domini in Campania

Per raggiungere via terra la Campania gli Etruschi dovevano necessariamente attraversare il Lazio, ora inizia in questo periodo la perdita del controllo nel Lazio a causa dell’ascesa della potenza di Roma.

La possibilità di raggiungere i domini campani via mare viene compromessa nel 474 a.C. quando nelle acque di Capo Licola, presso Cuma (Campania), la flotta etrusca viene completamente distrutta da quella siracusana Di Gerone di Siracusa alleato con i “cumani”.

E’ da dire che alla crisi delle città dell’Etruria meridionale non corrisponde una uguale crisi di quelle settentrionali, anzi queste incentivano l’espansione verso la Pianura Padana alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali nell’Italia settentrionale. E’ in questo periodo che si consolida la presenza etrusca nel porto

veneto di Adria (Rovigo).

  1. Crisi interna alle città

La fase di notevole sviluppo delle città, in particolare di quelle meridionali, provocò un accentuarsi dei contrasti tra gli oligarchici al potere e la classe più povera, anche questi contrasti contribuirono alla decadenza delle città.

  1. Espansione di Roma e conseguente caduta definitiva della civiltà etrusca (IV-II secolo a.C.)

Senz’altro fu questa la causa determinante nella definitiva scomparsa della civiltà etrusca. Già tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. le città etrusche si scontrarono ripetutamente con Roma. Nonostante gli Etruschi avessero formato anche coalizioni con i Galli per fermare Roma, non riuscirono nel loro intento, una dopo l’altra tutte le città-stato, a partire da Veii nel 396, caddero sotto il controllo di Roma4. Nulla poterono le rivolte nate all’interno delle città contro i nuovi dominatori romani.

Nel 91 a.C. gli etruschi ottennero, come gli altri italici sotto il dominio di Roma, la cittadinanza romana che di fatto li portò all’integrazione nello stato romano e nello stesso tempo segnò la fine definitiva della civiltà etrusca.

  • Non sempre le città opposero resistenza alla conquista, spesso gli aristocratici locali cercavano alleanze con Roma contro gli avversari politici interni. Ricordo poi che gli ultimi tre re furono di origine etrusca.

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  1. La società

2.1 Le città-stato

I “costruttori di città”

Gli etruschi vengono ricordati dai romani come coloro che per primi introdussero in Italia il modello di struttura urbana (li definirono “costruttori di città”), codificandone caratteristiche e norme costruttive.

La città centro di potere

Ciò che realmente caratterizza gli etruschi, tuttavia, è non tanto l’abilità nel costruire le città, quanto il considerare la città come centro di potere, in cui trovano espressione, concentrate e organizzate:

  • le strutture di governo
  • le forme di culto
  • i centri di gestione dell’economia e della produzione
  • le massime espressioni artistiche.

Molte città etrusche hanno origine in età villanoviana, dall’unione in un’unica comunità di più nuclei abitati (tale fenomeno si definisce “sinecismo”) dislocati in località particolari (che ne consentivano una migliore difesa). L’impulso a formare città nasce da una interna esigenza legata ad una migliore organizzazione economica e sociale.

La struttura urbanistica delle città

Nel periodo più antico le città presentavano spesso un assetto urbanistico irregolare, essendo costituite dall’aggregazione di più nuclei distinti e dovendo perciò adattarsi all’andamento del terreno su cui tali nuclei si erano sviluppati.

L’applicazione di sviluppi urbanistici regolari si ha solo dopo che gli etruschi vengono a contatto con le esperienze urbanistiche greche; le città di nuova fondazione seguono i nuovi criteri costruttivi; un esempio

  • la città di Marzabotto (vicino a Bologna) fondata attorno al 500 a.C.. La sua struttura è ortogonale, con ampie vie e stretti vicoli a formare una serie uniforme di isolati rettangolari allungati.

Le città etrusche, nel periodo del massimo splendore della civiltà:

  1. si forniscono di mura difensive

 

  1. costruiscono le necropoli fuori della cinta urbana
  2. possiedono un’organizzazione tipica delle città-stato
  1. A partire dal VII sec. a.C. le città-stato si muniscono di mura difensive, tali mura sono, in genere, nella parte inferiore di pietra e in quella superiore in mattoni.
  1. Le necropoli sono sempre ben distinte dal centro abitato, spesso al di là di un corso d’acqua quasi a distinguere nettamente il mondo dei vivi da quello dei morti.
  1. Le diverse città disseminate sul territorio dell’Etruria si comportavano come tanti piccoli stati autonomi, tra di esse il passaggio dall’alleanza al conflitto è piuttosto frequente.

Nascita della “metropoli”

Nel corso del secolo VI il processo di potenziamento di alcune città-stato avviene a scapito dei centri limitrofi minori, si forma la “metropoli5” dominante su un ampio territorio parzialmente abbandonato dalla popolazione che viene accolta nella città egemone, questa si adopera per smantellare le strutture “decentrate” presenti sul territorio, compiendo spesso azioni distruttive dei centri secondari, con trasferimento forzato degli abitanti entro i confini urbani.

Nonostante la presenza di città particolarmente potenti, non emerse però mai in Etruria una città sulle altre con la funzione di leadership, ciò facilitò la conquista da parte di Roma.

2.2 Struttura sociale

  1. Le forme del potere

Età villanoviana

In età villanoviana la società etrusca aveva al proprio vertice un re-sacerdote (chiamato anche Lucumone), questi era a capo dei capofamiglia rappresentanti le famiglie della comunità. Questa forma di gestione del potere viene superata abbastanza rapidamente, in concomitanza con lo sviluppo economico,

  • Metropoli deriva dal greco e significa “città madre”, non “città grande” come comunemente si pensa.

 

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verso delle forme di governo in cui il potere è in mano non più ad una sola persona, ma ad un gruppo di persone, gli “aristocratici”.

La differenziazione sociale nel VII secolo

Il processo di differenziazione sociale si sviluppa nel VII sec. a.C., in concomitanza con lo sviluppo delle città-stato, con esse, infatti, si forma un ceto emergente che si arricchisce attraverso forme di sfruttamento e di divisione del lavoro, il nuovo ceto basa sulle ricchezze private la richiesta di potere, e fa convergere su di sé le strutture giuridiche e istituzionali della città. Nascono in questo modo potenti nuclei di famiglie gentilizie che si impadroniscono, anche con il ricorso alla forza, di grandi proprietà terriere e organizzano attorno a sé gruppi “clientelari” di cittadini che si mettono sotto la loro tutela offrendo servigi di vario tipo, dai lavori agricoli alla milizia privata, in cambio di protezione e favori.

La struttura oligarchica

Negli anni successive al periodo villanoviano la forma istituzionale dominante sarà quella oligarchica. La divisione del potere viene attuata mediante cariche elettive fatte da un consiglio ristretto di pochi cittadini, rappresentanti le famiglie più potenti; tali cariche potevano venire ricoperte solo da membri delle famiglie aristocratiche.

  1. Classi sociali

Dall’originaria assenza di classi, al formarsi dell’aristocrazia

Agli albori della storia di questo popolo, nel periodo Protovillanoviano (età del Bronzo) e nel successivo Villanoviano iniziale (età del Ferro), non si notano segni di una distinzione in classi all’interno della società; una tale distinzione appare invece evidente nel Villanoviano evoluto, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., i corredi funerari di tale periodo cominciano a mostrare netti segni di differenziazione: aumentano gli oggetti di corredo in quantità e qualità, appaiono vasi ed ornamenti d’importazione.

I cambiamenti nella società etrusca si vedranno amplificati alla fine dell’VIII secolo a.C. e nel successivo, quando appare lo splendore della società orientalizzante, con all’apice le ricche aristocrazie dalle grandi tombe a tumulo e dai sontuosi corredi, che basavano il proprio potere e prestigio sul controllo dei commerci con l’Oriente e sulla gestione delle attività agricole e pastorali.

Nascita del ceto medio nell’Etruria meridionale nel VI secolo

Verso la fine del VII secolo mentre nelle città dell’Eturia settentrionale permangono le forme di potere legate alle famiglie gentilizie, nelle grandi città dell’Etruria meridionale prende corpo nella comunità urbana un nuovo ceto, che si contrappone a quello dominante, formato da artigiani, commercianti, piccoli possidenti, una specie di “classe intermedia” che accoglie anche benestanti stranieri; tale ceto basa il proprio potere economico non tanto sui beni immobili, ma sul denaro e su altri beni. Tale “classe intermedia” sarà la più colpita dalla crisi che le città meridionali vivranno agli inizi del V secolo a.C.

Gli schiavi

Fanno parte della stratificazione sociale anche gli schiavi (“lautni”), importati come merce o catturati durante le numerose battaglie per il predominio nel Tirreno; a volte si rinvengono i luoghi di sepoltura di questi esponenti della classe servile, cremati e posti in recipienti di terracotta, tumulati in piccole nicchie scavate nelle strutture sepolcrali dei padroni.

  1. Famiglia e condizione della donna

La famiglia degli Etruschi

La struttura della famiglia etrusca non è dissimile da quella delle società greca e romana. Essa è composta dalla coppia maritale, padre e madre, spesso conviventi con i figli ed i nipoti, tale struttura è riflessa anche dalla dislocazione dei letti e delle eventuali camere della maggior parte delle tombe.

Conosciamo alcuni gradi di parentela in lingua etrusca grazie alle iscrizioni trovate: papa (nonno), ati nacna (nonna), clan (figlio), sec (figlia), tusurhtir (sposi), puia (sposa), thuva (fratello) e papacs (nipote).

L’alta considerazione e la discreta libertà godute dalla donna etrusca

A differenza del mondo latino e greco, la donna godeva in Etruria di una discreta considerazione e libertà. Per i latini la donna doveva essere lanifica et domiseda, cioè seduta in casa a filare la lana, addirittura, nelle età più antiche, il pater familias (il capofamiglia) aveva su di lei il diritto di morte qualora fosse stata sorpresa a bere del vino. Per gli Etruschi non è così, la donna poteva partecipare ai banchetti

 

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conviviali, sdraiata sullo stesso kline (divano-letto) del suo uomo, o assistere ai giochi sportivi ed agli spettacoli. Un tale comportamento era scandaloso per i Romani che non esitarono a bollare questa eguaglianza come indice di licenziosità e scarsa moralità da parte delle donne etrusche (“etrusca” divenne addirittura sinonimo di “prostituta” per gli antichi romani).

Nelle iscrizioni etrusche appare evidente l’importanza data al nome della madre. Se per i romani era sufficiente indicare oltre al nome di un individuo il nome del padre, per gli etruschi era in uso indicare oltre al nome del padre anche il nome della madre; inoltre nelle epigrafi spesso il nome (oggi diremmo il cognome) della donna appare preceduto da un prenome (il nome personale), segno del desiderio di mostrarne l’individualità all’interno del gruppo familiare (a differenza dei Romani che ne ricordavano solo il nome della gens, della stirpe).

Tra i nomi propri di donna più frequenti troviamo: Ati, Culni, Fasti, Larthia, Ramtha, Tanaquilla, Veilia, Velia, Velka.

  1. Sistema economico-produttivo

3.1 Agricoltura

Un terreno particolarmente fertile

Come per gli altri popoli antichi, anche per gli etruschi l’agricoltura rappresenta la principale risorsa economica. Essi portarono ad un elevato grado di precisione la tecnica di misurazione dei campi (tale tecnica sarà poi adottata dai romani), i crocevia degli appezzamenti venivano delimitati (la struttura era ad assi ortogonali) con particolari pietre, i cippi.

Presso gli antichi l’Etruria era famosa per la fertilità del terreno, tanto da diventare fonte di approvvigionamento per Roma nei periodi di carestia e durante le guerra, l’appellativo di “granaio di Roma” indica la considerazione che questi avevano di quel territorio.

I prodotti della terra

Oltre alle coltivazioni di cereali (grano e farro in particolare), gli Etruschi coltivavano la vite e l’olivo (colture diffuse presso i greci e introdotte in Etruria verso la seconda metà del VII secolo a.C.). In particolare la produzione di vino deve essere stata abbondante, considerata la notevole quantità di anfore (usate per il trasporto di vino) trovate in diverse siti del Mediterraneo occidentale.

La bonifica del territorio e i sistemi di irrigazione

Allo sviluppo dell’attività agricola contribuirono notevolmente anche le opere di bonifica del territorio, che recuperavano alle coltivazioni agricole vaste zone paludose6. E’ da ricordare che gli Etruschi furono abili non solo nelle opere di bonifica del territorio, ma anche nella messa a punto, mediante acquedotti, cisterne, canali e fossati, di un ottimo sistema di irrigazione dei terreni coltivati.

3.2 Artigianato

Lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi: ferro in particolare

Le regioni coincidenti con l’antica Etruria sono i territori italiani più ricchi di giacimenti metalliferi, si pensi alla ricchezza di ferro dell’isola d’Elba. Oltre al ferro troviamo in questi territori abbondanza di stagno, piombo, zinco e rame.

La capacità di lavorare il bronzo

Molto diffuso fu l’uso del bronzo (lega ottenuta dalla fusione di rame e stagno nel rapporto 85/15), utilizzato per realizzare sia oggetti artistici, sia utensili per la vita quotidiana. Con il bronzo gli artigiani etruschi realizzavano un po’ di tutto:

  • specchi
  • boccali
  • pentole
  • suppellettili
  • ornamenti di vario genere

Gli artigiani erano in grado di lavorare sia con le lamine, unendole mediante saldatura o chiodini opportuni, sia mediante fusione, dalla fusione ottenevano armi, ma anche sculture talvolta di discrete

  • Operazioni di bonifica del territorio da parte degli Etruschi sono testimoniate anche per la zona di Adria in provincia di Rovigo.

 

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dimensioni. Le opere dell’artigianato etrusco erano conosciute, richieste e apprezzate un po’ in tutto il mondo antico, e in Grecia in particolare.

3.3 Commercio

Rapporti commerciali con altri popoli

I rapporti commerciali tra gli Etruschi e i popoli limitrofi, e non solo quelli limitrofi, iniziarono molto presto.

Le regioni interessate agli scambi commerciali furono la Francia meridionale, la Sardegna, la Campania, l’Italia settentrionale e alcune regioni del Mediterraneo Orientale. I popoli interessati furono i Cartaginesi, i Fenici, i Celti, ma soprattutto i Greci con i quali gli scambi furono notevoli.

Natura dei beni esportati

I beni esportati erano di natura diversa, ma soprattutto troviamo:

  • alimentari (vino, olio, grano, ecc.)
  • prodotti artigianali (bronzi e ceramiche sottoforma di vasellame, di oggetti d’arredo, ecc.) Le città-stato che maggiormente contribuirono agli scambi commerciali furono quelle costiere per ovvi

motivi logistici.

La flotta da guerra garantisce la sicurezza nei traffici commerciali

Per garantirsi la sicurezza nei traffici commerciali via mare, gli Etruschi misero assieme una nutrita flotta da guerra che, per diversi secoli, consentì il loro dominio sul mar Tirreno (almeno fino alla sconfitta della flotta presso Cuma nel 474 a.C.).

  1. Religione e mondo dell’aldilà

4.1 La religione etrusca

Per comprendere quale fosse la visione religiosa degli Etruschi bisogna aver innanzitutto ben chiaro quale fosse la loro opinione in merito al rapporto intercorrente tra la divinità e gli uomini; a proposito di questo tema scrive Romolo A. Staccioli nel suo libro “Gli Etruschi un popolo tra mito e realtà” (Roma,2001):

(…) La convinzione di una costante influenza delle forze soprannaturali sul mondo e sulle azioni umane, il senso assillante di questa influenza, oscura e soverchiante, per cui ogni fatto o fenomeno della vita era ricondotto a un intervento diretto della divinità, unitamente alla preoccupazione di destini e scadenze improrogabili non potevano che condurre all’annullamento completo della personalità umana dinanzi al volere divino. Il rapporto tra l’uomo e la divinità, come è stato giustamente osservato, non è quindi altro che un eterno monologo della divinità stessa cui l’uomo, privato della possibilità d’agire autonomamente, risponde con un comportamento regolato da un complesso minuzioso di norme che ha come punto di partenza la ricerca scrupolosa della volontà divina e come fine l’altrettanto scrupoloso adeguarsi ad essa.

Da ciò deriva l’estrema importanza delle arti divinatorie fondate sull’osservazione e l’interpretazione di speciali «segni» che si manifestavano con la caduta dei fulmini, con certe particolarità nelle viscere degli animali sacrificati, e in modo particolare neI fegato, con l’apparizione di fenomeni o il verificarsi di eventi insoliti di qualsiasi genere e variamente prodigiosi. Tutti questi segni (tra i quali non figurano quelli di tipo oracolare tanto importanti nella divinazione grèca e sono piuttosto trascurati quelli connessi col volo degli uccelli che erano invece alla base della più antica divinazione «augurale» romana) erano ritenuti espressione diretta della volontà degli dei, manifestazione della soddisfazione e della collera divina, presagi del futuro; in ogni caso, «avvertimenti» dai quali era impossibile prescindere.

A tal punto ogni avvenimento o fenomeno era inteso e spiegato come intervento diretto della divinità, che Seneca poté giungere a questa interessante e per noi assai significativa constatazione (Quaestiones naturales, II, 32, 2): «Tra gli Etruschi, i più abili fra gli uomini nell’arte d’interpretare i fulmini, e noi, c’è questa differenza. Noi pensiamo che il fulmine scocca perché c’è stata una collisione di nuvole; secondo loro, la collisione s’è verificata per consentire al fulmine di scoccare. Riferendo ogni cosa alla divinità, essi sono convinti non già che i fulmini diano dei segnali nel momento in cui si producono ma che quelli si producono perché hanno qualcosa da mostrare». (op. cit., pp. 132-133)

Come comprendere il volere degli dei

Nel rapporto tra uomo e divinità l’uomo può e deve solo adeguarsi alla volontà divina, da qui la ricerca:

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  1. dei “segni” mediante i quali la divinità si manifesta
  2. del modo di interpretare correttamente tali segni

Per rispondere a questo duplice interrogativo gli Etruschi si erano creati un insieme di dottrine e norme raccolte, verso la fine della civiltà, in diversi testi, i “libri sacri” (conosciuti dai romani antichi, e di cui oggi ci rimangono solo frammenti). I testi raccolti in tali libri non sono presentati come una interpretazione del messaggio divino, ma vengono presentati come una sua rivelazione diretta. Per esempio il testo contenuto nei Libri haurispicini (dedicati all’arte di interpretare la volontà divina dalla osservazione delle interiora, in particolare del fegato, degli animali) deriva dalla trascrizione esatta di quanto dettato da Tagete7 (personaggio di natura semidivina).

La religione etrusca come religione rivelata

E’ importante sottolineare il carattere di “religione rivelata” che possiede la religione etrusca, rispetto a quella greca e romana, che invece non sono rivelate.

Se i “Libri haurispicini” erano attribuiti alla rivelazione di Tagete, alla ninfa Vegonia veniva ricondotta l’origine dei “Libri fulgurales” che davano delle indicazioni sul come conoscere la volontà divina dall’osservazione dei fulmini.

L’importanza di adeguarsi al volere divino

Per l’uomo etrusco il massimo dovere consisteva nel cercare di conoscere il proprio destino e nel vivere in conformità ad esso, vita religiosa e vita civile sono perciò strettamente legate, gli stessi libri sacri contengono una serie di norme e leggi che regolamentano i rapporti tra gli uomini, dalla proprietà, all’ordinamento militare. Tutto è regolato dalla religione, vita individuale e comunitaria. Addirittura in alcuni libri sacri (i “Libri fatales”) era indicato il limite massimo di vita per l’uomo (70 anni), per coloro che oltrepassavano il limite si verificava una specie di divisione dell’anima dal corpo, i riti propiziatori e le altre forme di devozione agli dei non avevano più effetto presso la divinità. Come per l’uomo anche per lo Stato vi era un limite massimo di vita, dopo 1000 anni di vita ogni Stato era destinato a sparire. Probabilmente anche per tale motivo essi accettarono, senza opporvisi come avrebbero dovuto, la conquista da parte di Roma.

4.2 Nel mondo dell’aldilà

Come per le altre civiltà preclassiche del mondo mediterraneo, anche gli etruschi erano convinti che con la morte non finisse completamente l’esistenza dell’individuo, pensavano che vi fosse una forma di sopravvivenza dell’”entità vitale” , tale entità era in qualche modo legata alle spoglie del defunto nella tomba, da qui l’esigenza di porre nella tomba stessa quanto poteva agevolare la sopravvivenza dell’entità vitale. Naturalmente una tale usanza si assolveva in modo diverso in base alle possibilità materiali degli eredi, tra le pratiche più diffuse troviamo:

  • il vestire il cadavere con i migliori abiti, con ornamenti e gioielli
  • porre accanto al morto cibi e bevande
  • mettere nella tomba delle statuette raffiguranti familiari e servitori
  • costruire la tomba riproducendo la casa, compresi gli arredi
  • dipingere sulle pareti della tomba affreschi raffiguranti scene di vita conviviale, spesso banchetti

Proprio per tali usanze, le necropoli hanno rappresentato per gli archeologi la principale fonte di informazioni per conoscere la civiltà etrusca.

Nella regione dell’Etruria, nei diversi periodi, non si è adottato sempre la stessa pratica di sepoltura; nel periodo villanoviano (IX-VII sec. a.C.) si praticò prevalentemente il rito dell’incinerazione: si bruciava la salma e le “ceneri” raccolte venivano conservate in apposite urne dalle forme diverse, (vasi dalla forma particolare o contenitori di terracotta fatti a forma di abitazione). Dal secolo VIII a.C. inizia a diffondersi, in particolare nell’Etruria meridionale, la pratica dell’inumazione.

  • Secondo la leggenda Tagete apparve in un solco ad un contadino mentre stava arando, le sue sembianze erano di giovinetto, ma le parole indicavano saggezza da vecchio.

 

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  1. PRODUZIONE ARTISTICA

A proposito dell’arte etrusca scrive il professor Staccioli nel libro citato:

“Se infatti per arte si deve intendere (come comunemente si intende) un’espressione chiaramente individuabile e definibile in blocco, nelle sue caratteristiche e peculiarità e nel suo progressivo, autonomo e organico svolgimento, si potrebbe addirittura affermare (contrariamente a quello che si fa per l’arte greca) che una vera arte etrusca non è mai esistita” ( op. cit., p. 142).

“Arte etrusca” o “arte degli Etruschi”

Secondo Staccioli piuttosto che di “arte etrusca” è preferibile parlare di “arte degli etruschi”, ciò per sottolineare come sia mancato in Etruria uno sviluppo armonico originale della produzione artistica; questa è legata a sollecitazioni di natura diversa (spesso di origine esterna, in particolare quelle provenienti dalla Grecia), scrive a tal proposito:

“In quest’arte, comunque la si voglia intendere, appare determinante quello che potremo chiamare il «condizionamento» del magistero greco. Il quale fu sempre presente nel campo della cultura figurativa etrusca, in maniera diversa a seconda delle epoche, e tuttavia operante, sia che esso abbia dato luogo a fenomeni di partecipazione (come nel periodo «arcaico») o di sudditanza (come nel periodo «ellenistico»), sia che esso abbia provocato, più o meno inconsciamente, fenomeni di ripulsa e di rigetto o, più semplicemente, di incomprensione (come nel periodo «classico»)- e di contrapposizione (come spesso, nel fondo, e con maggiore evidenza quando meno era sentito l’influsso greco)” (op.cit., p. 142).

Elementi caratterizzanti la produzione artistica

Credo comunque non si debba pensare che gli etruschi si limitassero a copiare la produzione artistica greca; se osserviamo con attenzione le opere etrusche possiamo notare dei caratteri di distinzione:

  • da un punto di vista formale
  • per la predilezione di una particolare tipologia di produzione artistica

Da un punto di vista formale si distinguono dai modelli greci per la enfatizzazione dell’espressività e della spontaneità, e per la tensione drammatica che traspare dalle figure, in contrasto con l’armonia caratteristica delle figure greche.

In merito alla predilezione di una particolare tipologia di produzione artistica, è da sottolineare come l’interesse degli etruschi per il concreto della vita quotidiana li portò a prediligere forme d’espressione artistica considerate “minori” dai greci, ad esempio la lavorazione della creta e del bronzo, più vicina alla produzione artigianale (anche se di un artigianato con valore artistico) che non a quella artistica in senso stretto.