Ciclo di Aspasia e ultimi canti

Ciclo di Aspasia e ultimi canti

LEOPARDI


Il 29 aprile del 1830, grazie ad un prestito degli amici “liberali fiorentini”, Leopardi riuscì a lasciare per sempre Recanati e a tornare a Firenze. Qui riallacciò vecchi rapporti e ne strinse di nuovi: importanti, soprattutto, sono quelli con Antonio Ranieri (che diverrà “compagno di vita” fino alla sua morte) e con Fanny Targioni Tozzetti, della quale si innamorerà follemente, patendo però una grande delusione. Riuscì a trattenersi a Firenze fino al 1833, dopodichè si spostò a Napoli assieme a Ranieri, dove rimase fino alla morte che lo colse nel 1837. 

L’ultima fase della vita leopardiana è caratterizzata dalla rottura col suo passato di sdegnosa solitudine, a cui fa contro un tentativo di immergersi nel “mondo della storia” e di stringere legami, sino ad allora preclusi, con gli altri. Egli, infatti, avvertiva un prepotente bisogno di diffondere le proprie idee, le sue verità sconsolate, di combattere le illusioni ottimistiche e progressiste caratteristiche del suo tempo. Di qui, la polemica delle filosofie spiritualistiche, svolta nella Palinodia al marchese Gino Capponi, dove Leopardi di scaglia contro l’ingenua fiducia dei “liberali fiorentini”. Seguono gli ultimi canti: quelli del cosiddetto “Ciclo di Aspasia” (Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e Morte, A se stesso, Aspasia), ispirati dall’amore negato e sofferto per Fanny; le due canzoni sepolcrali, ferma riflessione sulla morte (Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi e Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima); infine, Il tramonto della luna e la memorabile Ginestra

In questi ultimi canti, Leopardi applica una nuova poetica anti-idillica fondata non più sulla rassegnazione e sull’isolamento, ma sulla volontà di propugnare la propria filosofia disperata ma vera” contro le mediocrità dei contemporanei. Il primo adempimento di questo proposito viene raggiunto nel Ciclo di Aspasia, dove l’amore è vissuto nella pienezza del presente e non è più rievocato attraverso la “rimembranza”. Il ciclo è la storia di un amore, ma è anche una riflessione filosofica sull’amore stesso, sull’”inganno estremo”, l’ultima, la più forte delle illusioni. Tematica che emerge soprattutto in A se stesso, dove è possibile, inoltre, rinvenire la nuova componente stilistica dell’ultimo Leopardi: non più una musicalità vaga e indefinita, bensì una poesia fredda, essenziale, dove una sola parola è bloccata dal resto della sintassi e caricata di forte valore. 

La chiusura dell’opera è affidata alla Ginestra (se si escludono l’Imitazione e lo Scherzo): il canto riprende i temi consueti della tradizione leopardiana, ma con formulazioni nuove, sia ideologiche che stilistiche. Da un lato troviamo il tema del dolore cosmico, rappresentato dal desolato paesaggio vesuviano, contrapposto alla freddezza dell’universo, simboleggiata dalle stelle che risplendono in cielo; dall’altro abbiamo la polemica contro il “secol superbo e sciocco che crede nelle “magnifiche sorti e progressive”, ignorando la feroce crudeltà della natura, matrigna distruttrice. Ma il titanismo leopardiano non è più soltanto una feroce accusa, esso, infatti, si sposa in questo senso con un’idea di pietà universale verso i propri simili: gli uomini, condannati ad un medesimo destino di infelicità, devono sostenersi gli uni con gli altri in “social catena”, in modo tale da annullare quantomeno i contrasti tra di loro. Quella della ginestra è infine l’ultima figura offerta da Leopardi, il suo “testamento spirituale”: un fiore modesto, verso il quale il poeta si rivolge con sommo rispetto, che non aspira ad alcun riscatto contro lo “sterminator Vesevo”, sulla cui schiena è stato partorito, accettando senza ritegno il suo triste destino, il grembo terrificante del nulla da cui sarà avvolto.