CICERONE OPERE FILOSOFICHE

CICERONE OPERE FILOSOFICHE

Cicerone iniziò a trattare e scrivere di filosofia dal 46 a.C. La data è significativa, perché ci aiuta a capire il contesto in cui Cicerone si dedicò all’elaborazione delle sue opere filosofiche: siamo nel periodo in Cicerone era stato allontanato dalla vita politica, che era sempre stata il fulcro anche della sua vita privata. Inizia con i Paradoxa Stoicorum, un’esposizione delle maggiori tesi stoiche in contrasto con la morale comune, per Marco Bruto). Dal 45 a.C. la sua produzione fu ancora più fitta, pure in seguito alla morte dell’adorata figlia Tullia in quell’anno.
Lo scopo non era solo quello di elaborare un suo proprio sistema filosofico, o meglio una sua idea filosofica, ma anche quello di far conoscere alla società romana il meglio della filosofia greca, accuratamente selezionata in rapporto all’ambiente romano. affronta vari aspetti della riflessione greca, con un approccio anche morale e sempre riferendosi all’ambito dei doveri del cittadino.

Una caratteristica costante dei suoi lavori è la ricerca della ricaduta pratica in termini di azione e partecipazione politica. Da un punto di vista di puro pensiero, non si può accreditargli troppa originalità, visto il carattere compilativo delle sue opere; la vera originalità di Cicerone sta nel taglio e nella scelta degli argomenti. L’obiettivo che qui si pone è quello di riunire insieme le parti migliori del pensiero ellenistico e creare una guida adatta alla società romana. Una cosa da osservare è il fatto che Cicerone non dice mai espressamente quale posizione sia la migliore, si limita a porre a confronto le varie possibili, dando giudizi su questa o quella filosofia, tanto in positivo che in negativo.
Dalle sue opere si vede che la tendenza dominante nel suo operato è il sincretismo, che lo porta a cercare di creare un dialogo costruttivo fra le varie posizioni. L’unica filosofia che sempre rigetterà in ogni modo è quella epicurea, in primis per il rifiuto della vita politica che essa propone, in secundis per l’errata interpretazione che si diede in antichità dell’epicureismo come filosofia del piacere.
Il modello privilegiato è quello del dialogo platonico (ossia un dialogo composto da domande e risposte, attraverso cui si arriva alla verità), talvolta contaminato con il dialogo aristotelico (ossia una tendenza al monologo da parte di un personaggio, che esprime la tesi centrale e la dimostra, senza interventi esterni).
Ci limitiamo a trattare nel modo più sintetico possibile alcune delle opere maggiori di questo gruppo:
  1. De finibus bonorum et malorum (45 a.C.): dedicato a Bruto, sono cinque libri, all’interno dei quali si collocano tre dialoghi. Il tema dell’opera è l’individuazione del sommo bene e del sommo male: fra i due, il primo è ciò che porterà l’uomo alla felicità e vengono date una serie di norme di comportamento per l’uomo romano. Fra le filosofie affrontate ci sono l’epicureismo e lo stoicismo: il primo viene energicamente rifiutato, il secondo invece solleva alcune perplesssità all’autore. Esso infatti fornisce una solida base morale, tuttavia si vogliono evitare atteggiamenti troppo rigorosi o anacronistici per il tempo e si propone un atteggiamento moderato.Alla fine dell’opera il sommo bene viene identificato con la virtù.
  2. Academica (45 a.C.): propongono problemi gnoseologici (ossia riguardo la teoria della conoscenza). Di questa opera furono approntate due redazioni diverse: Academica priore, in due libri, e Academica posteriore, in quattro libri. Oggi sono rimasti il secondo libro della prima edizione e il primo libro della seconda. Aderisce qua al cosiddetto “probabilismo platonico”, che affondava le sue basi nelle teorie di Platone sulla realtà sensibile (sulla realtà sensibile non si possono formare giudizi certi, ma solo opinioni). Il probabilismo riprendeva anche le teorie degli scettici, per i quali non si poteva mai arrivare ad una verità precisa e certa, ma quantomeno garantiva la possibilità di avere una conoscenza probabile del mondo sensibile.
  3. De officiis (44 a.C.): è una delle opere più conosciute di Cicerone ed una delle più imitate. Si compone di tre libri e costituisce una riflessione morale, che possa servire da guida all’aristocrazia per riprendere il controllo della società. Le fonti di Cicerone sono il filosofo greco Panezio e probabilmente altri autori fra cui il filosofo greco Posidonio. Contiene anche una precettistica dettagliata sul modo di comportarsi. Officium rimanda alle azioni giuste da compiere, ossia l’esercizio della virtù. Il primo libro tratta dell’honestum, il secondo dell’utile, il terzo del rapporto fra honestum e utile. L’honestum sono le parti della virtù, l’utile sono invece i modi di conseguire il potere e il consenso. Le due cose non sono in contrasto fra loro, anzi il secondo è conseguenza del primo. Panezio dava un giudizio positivo sugli istinti, quando essi siano tenuti sotto controllo e diventino virtù vere e proprie. Molto importante è la riflessione sulle quattro parti da cui è composto l’honestum. (per una trattazione più ampia vedi QUI).
  4. Cato maior sive de senectute (44 a.C.): fu scritto poco prima della morte di Cesare, nel periodo più duro per Cicerone; nonostante il perdono ricevuto dal dittatore infatti, Cicerone era comunque escluso dalla vita politica. Ambientato nel 150 a.C., il tema principale qua è la vecchiaia; ci viene mostrato un Cicerone con un’aria più dimessa e pensosa, decisamente più affranto. Il personaggio chiave di questa opera è Catone il Censore, non però il rigorissimo aristocratico legato alla tradizione, bensì un Catone ammorbidito, più “umano”. La vecchiaia viene vista come impedimento alla vita politica, in quanto viene a mancare il vigore e la forza del corpo. 
  5. Laelius sive de amicitia (44 a.C.): scritto dopo la morte di Cesare, è per l’autore un momento centrale perché segna il ritorno di Cicerone nella vita politica. Ambientato nel 129 a.C., poco dopo la morte di Scipione Emiliano, ha come protagonisti Lelio e un gruppo di interlocutori, che discorrono fra loro di quale sia la vera amicizia, opponendola al regime clientelare e alle amicizie utilitaristiche di Roma.